L’INTUIZIONE che fa girare il mondo

Il termine cinese che la racconta, si stringe ermeticamente a due caratteri,直zhí e jué觉 fra i quali non si interpone alcuna fenditura, nessun interstizio. Due compagni di banco, che complici si uniscono e lavorano sulla propria limitatezza. La semplicità dell’uno si trasforma in pregevole sostegno all’altro, che si consolida e si eleva. Gomito a gomito, si convertono in qualcosa che l’antica sapienza cinese indicava come la capacità naturale di percepire il vero, un’abilità avulsa da sacrificio e forzatura

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L’INTUIZIONE che fa girare il mondo
Un treno merci che attraversa il centro fiumano. Foto: ŽELJKO JERNEIĆ

Viaggiano ed esplorano taciturne. La terra è il trampolino di lancio che le libera nell’aria, ospite paziente e generosa. Sospese nell’etere, osservano il mondo, lo adornano e lo viziano di memorie, di sogni temerari, di promesse che dall’infanzia si catapultano con una fionda temporale per esprimersi più adulte e finalmente realizzarsi.

Ho sempre immaginato così l’intuizione: una mongolfiera. Imponente, piccola, monocroma, variopinta, ancorata al suolo o in trasvolata.
Tante navicelle paffute che, all’occorrenza, si innalzano, spinte dal limite estremo della mente ottusa e miope, che costringe a una resa temporanea, ma cruciale. È in quel preciso istante che il repertorio delle esperienze e delle nozioni, a lungo collezionate, accende il fuoco che le nutre e loro si risvegliano tempestive. Raramente tradiscono, sono coerenti e proporzionate al bagaglio che ognuno ha riempito di oggetti, nozioni e puro sentire.
Le mongolfiere amano l’alba e il tramonto. Non a caso, la temperatura fredda del primo chiarore e del tardo crepuscolo, in contrasto a quella calda presente nel vestito a palloncino che indossano con disinvoltura e che le rende uniche, ne ottimizza l’accensione. Richiamano le donne aristocratiche di epoca vittoriana che danzano, ma al passo di nuvole, facendo svolazzare la rigida gabbia su cui le gonne si gonfiano e si appropriano dello spazio.
Senza che ve ne sia una reale consapevolezza, l’intuizione, semplicemente, emerge e noi ci affidiamo, certi che sia la scelta migliore. In un batter d’occhio, si cade a penzoloni nel vuoto e, rapiti da un effetto incantatore, iniziamo a pensare.

A mano a mano che si ascende, tutto diventa chiaro
Raggiunta la giusta quota di navigazione, i venti l’aiutano a direzionarsi mentre il pilota, la mente, ne regola l’altezza aprendo e chiudendo la valvola che amministra la quantità di aria calda. A mano a mano che si ascende, tutto diventa chiaro. Quasi per assurdo, il panorama da lassù si dispiega dettagliato ed esaustivo. Si scoprono minuzie inserite in una visione ampia e considerevole che la mongolfiera, ossia l’intuizione, consente di afferrare.
Molti dizionari della lingua italiana ne elogiano la prontezza a captare soluzioni inerenti a problemi teorici e pratici, a districare la matassa dell’intelletto per scovare la chiave di accesso verso nuove tappe e alternative inedite.
Ma il suo cuore pulsa all’origine, nell’etimologia che le appartiene e che ne definisce la personalità. Nasce come immagine che si riflette allo specchio e che, nel tempo, diviene un’osservazione intensa del mondo interiore. “Intueor” o meglio, “in”: dentro e “tueri”: guardare, fissare, entrare con lo sguardo. È un sapere innato che si esprime con improvvisi bagliori di conoscenza, inaspettati e funzionali al momento che viviamo.
Intuizione è una parola al sapore di magia, poiché varca la soglia dell’invisibile e in esso plasma la rosa dei venti che coordina il cammino del visibile.
E lo fa da Ovest a Est.
Il termine cinese che la racconta si stringe ermeticamente a due caratteri, 直 zhí e jué 觉, fra i quali non si interpone alcuna fenditura, nessun interstizio. Due compagni di banco che complici si uniscono e lavorano sulla propria limitatezza. La semplicità dell’uno si trasforma in pregevole sostegno all’altro, che si consolida e si eleva. Gomito a gomito, si convertono in qualcosa che l’antica sapienza cinese indicava come la capacità naturale di percepire il vero, un’abilità avulsa da sacrificio e forzatura.
Zhí 直, diretto, dritto, giusto e ragionevole, franco e schietto, verticale, movimento continuo. Jué 觉, trovare, percepire, essere consapevole, risvegliarsi.

Un vero sortilegio
L’intuizione è prontezza, linearità nel raggiungere un traguardo finale che le questioni della vita sollecitano. È un motore propulsivo, un congegno perfetto tramite il quale il mondo umano si mette in discussione, osa e ambisce. L’intuizione si deposita discreta, stratificandosi, e invece di appesantire, alleggerisce.
A bordo della mongolfiera, accade un sortilegio.
Difficilmente si riescono a definire le sensazioni che invogliano a procedere verso una meta. Si è come ibernati in uno stato che oscilla veloce tra la veglia e il sonno, tra l’allerta e la tranquillità. È forse tra i pochi momenti in cui ci si ascolta veramente poiché, in lei, riconosciamo il potere di far rinascere dalle ceneri la speranza, la probabilità di un cambiamento.
E allora ci si affaccia dalla gondola di vimini tenendosi forti ai bordi per non cadere giù e, nonostante la paura di viaggiare senza un apparente itinerario, si guarda con eccitamento il panorama capovolto. I campi, da sterminati, si restringono in microscopici fazzoletti di terra, i mari, da distese d’acqua, in pozzanghere che lusingano la volta celeste, gli esseri viventi, da giganti imbattibili, in pedine di una scacchiera che occupa l’intero pianeta. Si percepisce un’energia sottile, ma vigorosa. E così si agisce per reagire.
Paragoni estremi o immagini metaforiche sfidano le certezze della logica e in qualche modo la snelliscono. L’intuizione, per sua indole, è portata a provocare la sfera razionale, proponendole opzioni che inizialmente la destabilizzano, ma che poi apprezza. Contiene informazioni primordiali, raccoglie un patrimonio a disposizione e investibile purché si provveda a frenare la loquacità della mente. L’intuizione è una scatola, un container in cui stipare il vissuto e lo scibile da elaborare in modo creativo. Del resto, non è poi così distante da quest’ultimo, un oggetto fisico che per l’appunto raccoglie contenuti, consentendo loro di viaggiare e raggiungere mete distribuite nella complessa geografia del mondo.

Un lampo di genio
Fu proprio un’intuizione rivoluzionaria e precorritrice che spinse, alla fine degli anni ‘50, un brillante imprenditore americano nel campo dei trasporti, Malcom McLean, a ideare un nuovo sistema in grado di ridurre i costi e aumentare l’efficienza lavorativa. Nell’osservare la faticosa attività manuale di carico e scarico dagli autocarri sulle navi, un bel giorno deve essersi chiesto: “Perché non spostare l’intero corpo del camion, ma senza ruote, sulle imbarcazioni?”.
Da una acuta osservazione scattò il cosiddetto lampo di genio, l’illuminazione che diede vita a una trasformazione radicale nel settore logistico e con esso di tutte le componenti necessarie al suo funzionamento: dalle gru alle navi, dai porti ai magazzini, dagli operai specializzati a molto altro ancora.
Il container è nato così, grazie a un impulso semplificatore che ha spontaneamente attinto da una sorgente le informazioni e le soluzioni pertinenti.
Le definizioni frequenti che inquadrano e che circoscrivono l’entità del parallelepipedo maggiormente usato sulla terra, seppur concrete, appaiano piuttosto restrittive. Si parla, in genere, di un cassone metallico per il trasporto di merci, viaggiante su mezzi navali, ferroviari, stradali nonché, impiegabile come modulo abitativo.
Ma è davvero soltanto un banale agglomerato di acciaio? Ovviamente, no.
I container sono recipienti dalle infinite possibilità e non solo strumenti con i quali trasferire mercanzie da un luogo all’altro. Sono libri su cui leggere capitoli di vita e narrazioni di storie, sono installazioni amate dall’architettura contemporanea e corteggiati da artisti che, sulle loro teli metalliche, ne testimoniano la versatilità. Appassionati girovaghi, resistono a qualsiasi condizione climatica e all’invasione dei propri spazi interiori, comportandosi da impeccabili globe-trotter. Si riempiono e si svuotano mantenendo una pazienza stoica. Possiedono uno stato vitale che gli viene dalle mani che li farciscono e che li liberano. Godono di un eccezionale spirito di adattamento, malgrado la costituzione monolitica e ingombrante.

Un souvenir speciale
A Fiume, importante centro portuale, se ne trovano molti. Fanno ormai parte del profilo cittadino. Lo ravvivano nelle giornate grigie e lo accompagnano in quelle di sole. A tratti, si inseriscono nel ritmo della vita quotidiana a bordo di un serpentone ordinato, ma dalle identità composite, che li trasporta dal terminal container di Brajdica alla stazione ferroviaria, per essere poi smistati in base a specifiche coordinate.
È una sfilata che taglia in due la città e spartisce il tratto di strada che il convoglio attraversa lentamente, e che offre ai passanti il tempo di osservarlo come se fosse un evento straordinario.
E, in effetti, lo è.
Ci si ferma per lunghi minuti. Adulti, giovani, anziani e bambini attendono che il transito sfumi, portandosi via la coda del centopiedi su rotaia. L’attesa potrebbe essere facilmente ovviata ricorrendo all’unico sottopassaggio nei pressi dei Mercati cittadini, ma non tutti lo scelgono. Una decisione, questa, che da inconsapevole si tramuta in volontaria. Anche per i piccoli che, ipnotizzati dal movimento lento, con le minuscole dita indicano ovunque, alla ricerca di risposte che possano soddisfare la propria curiosità e immaginazione. Credendosi depositari di storie singolari, condiscono e stravolgono entusiasti le spiegazioni razionali dei più grandi.
Così, la serie di vagoni si trasforma in un bruco pittoresco, in una fila di giganteschi mattoncini Lego o in un galeone carico di forzieri che i pirati aspettano alla caffetteria della stazione ferroviaria, mentre sorseggiano comodamente una Cedevita all’arancia.
I genitori, i nonni sono costretti a rispondere e, di conseguenza, forzati a osservare con meticolosità poiché ai bambini nulla sfugge! Una sensazione profondamente gradevole e, talmente anacronistica, da volerla assaporare in quanto nuova e insolita.
I frettolosi di solito corrono via per non perdere l’andatura impaziente della quotidianità, imbucandosi nel varco sotterraneo che li condurrà in breve sull’altro lato della strada. È quasi un peccato, giacché si lasciano alle spalle la possibilità di poter respirare una dimensione piacevolmente umana.
La carovana di container compie una selezione, mette alla prova. Lo percepisco nettamente ogni qualvolta mi ritrovo a essere parte di questa sfida che sospende il tempo.
Ne vedo scorrere a decine, e non mi stanco mai di leggere la riproduzione di caratteri cinesi e di algoritmi che conferiscono loro un’origine, un percorso, un nome. Seppur ripetitivi, mi sembrano sempre originali e meritevoli di attenzione.
Insieme ai container, dal marciapiede, atterro nei porti che dal Medio ed Estremo Oriente si avvicinano all’Europa. Vado a ritroso nel tempo, saltando da una città all’altra della Cina i cui essi gonfiano e rimpiccioliscono le piazzole di sosta dei moli. Mi riscopro a parlare con uno dei gruisti più anziani del porto YanTian a Shenzhen, metropoli vicina a Hong Kong, un signore, all’epoca prossimo alla pensione, simpatico e pronto a dissipare qualsiasi dubbio la mia competenza ristretta del settore generasse.

Zuì bàngle, il migliore
Amava il suo lavoro che non aveva scelto ma che, per motivi familiari, si era ritrovato costretto ad accettare. La laurea in ingegneria meccanica era un sogno tenuto nel cassetto delle aspirazioni; con il tempo, aveva imparato ad apprezzare una professione che lo aveva reso “zuì bàngle, il migliore”. Trattava le gru come colleghe, con delicatezza e rispetto. Dall’alto della cabina del carrello elevatore, impilava container con un’agilità impressionante tanto che apparivano piume colorate di un pappagallo sfarfallanti nel cielo. Mi piaceva osservarlo nel suo tocco accurato, un vero cesellatore di spazi. Tutto doveva andare alla perfezione.
Sceso a terra, si guardava intorno emozionandosi per la moltitudine di scatoloni marittimi in partenza e in arrivo.
“È un prodigio! Da qui, costruisco legami con altri Paesi. Viaggio più di te!”.
E con serietà aggiunse: “Hai mai pensato alle persone che se ne occupano prima che approdino in porto? All’umore mentre lavorano, a che tipo di vita conducono? Io, sì”.
Domande su cui, a distanza di anni, mi soffermo scrutando i container di Fiume. Annuso l’aria che li impregna e ascolto ciò che hanno da raccontare. Gli sportelli frontali si aprono come bocche parlanti, scardinando i sigilli che li trattengono. A volte, si esprimono con idiomi sconosciuti, a volte con espressioni dialettali cinesi che incasello a nord o a sud. Narrano di oceani in tempesta, di traversate divertenti, di avventure indimenticabili. Qualcuno fra loro si considera particolarmente elegante e snob, quasi rifiuta l’idea di trasportare in pancia cose di poco valore e con esse discute animatamente, dal porto di origine fino a quello di destinazione. Giocano ad alzare la voce in discussioni da cortile, non preoccupandosi affatto di essere in prima visione davanti a pedoni increduli.
Nel cavalcare la fantasia non mi sento poi così diversa da quei bimbi che, sull’altro lato del marciapiede, si esaltano per la visione surreale a cui gradualmente danno forme impensabili.
I container, però, non sono i protagonisti assoluti. Tra un vagone e l’altro, intravedo i volti, le espressioni facciali, gli sguardi delle persone che sperimentano l’attesa del loro fluire. Fanno capolino immobili, concentrati su dei particolari per distrarsi o desiderosi di indovinare, a intermittenza, la vita di chi gli sta di fronte. Un rimbalzo di occhiate piacevoli che annulla tutto il resto. Appena l’incantesimo svanisce, dei container rimane la scia di un tempo antico e si fatica a riprendere la cadenza giornaliera.
Potrebbero essere un perfetto souvenir della città, che immortala un arcobaleno di sensazioni, che seppur non fisiche come i classici cimeli, rimangono comunque indelebili.

Trasformazioni profonde
I container propongono viali a strade che sembrano cul-de-sac o addirittura inaccessibili ed è per questo motivo che il loro mondo non è soltanto al maschile. Il numero crescente di giovani donne che se ne occupa è un’evidente conferma come lo è la professionalità femminile che si potenzia e migliora grazie alla determinazione e alla perizia che oltrepassano l’esclusività di certi luoghi lavorativi. Una presenza costante e silenziosa, che compie una rivoluzione in punta di piedi.
E i container lo sanno bene, non ignorano i cambiamenti della società poiché loro stessi ne sono il frutto.
L’intuizione di un momento produce trasformazioni profonde che si materializzano davanti ai nostri occhi predisponendoci a opportunità che altrimenti non avremmo mai potuto avere. Mongolfiere e container sono i veicoli su cui essa si imbarca e sui quali si lascia andare. Nella loro diversità, soffici e ondeggianti le prime, rigidi e strutturati i secondi, si rifugia per affiorare come una lanterna che illumina la notte.
In fondo, non è forse questa l’intuizione?
Un vispo scintillio di luce nell’oscurità della mente.

*Referente Senior per Progetti Commerciali e Culturali Sino-Europei

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