«Il mio mandato è stato lineare e condiviso in maniera unanime»

A colloquio con Giuseppe de Vergottini, presidente di FederEsuli, su risultati ottenuti e progetti futuri

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«Il mio mandato è stato lineare e condiviso in maniera unanime»
Giuseppe de Vergottini. Foto gentilmente concessa da Coordinamento Adriatico

La domanda è diretta, immediata. Che cosa è stato per lei essere un de Vergottini?

“Credo abbia costituito un impegno alla coerenza con quanto fatto nel passato da quegli esponenti della famiglia che hanno dimostrato di volersi sentire profondamente italiani. Penso, per limitarmi a una brevissima citazione, a chi nel 1848 da Parenzo andò a Venezia per partecipare al governo della repubblica di Manin e Tommaseo, a chi nel 1861 fu parte attiva della Dieta del Nessuno, a chi nel 1918 è stato presidente del Comitato di salute pubblica nel passaggio di Parenzo all’Italia, a chi nel 1943 ha perso la vita in quanto esponente di spicco della nostra comunità. La famiglia de Vergottini si lega alla realtà storica di Parenzo, città nella quale stabilì le proprie sorti tra stabilità e successi ma, col cambio della storia, anche con molti dolori”.
Giuseppe de Vergottini, avvocato, docente universitario, è il presidente di FederEsuli, l’associazione che raggruppa la maggior parte delle sigle che nell’esodo hanno dato voce ai giuliano-dalmati in Italia, in particolare modo dopo l’istituzione del Giorno del Ricordo.

Quali i valori che nell’esodo non sono mai venuti meno?

“La scelta dell’esodo è stata soprattutto una scelta di appartenenza nazionale e di libertà: nel 1945 l’occupazione jugoslava aveva impedito il 25 aprile e il nazionalcomunismo di Tito metteva a repentaglio quei valori che gli italiani dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia avevano conservato e tramandato. Ovunque sono andati gli esuli hanno dato prova di onestà, laboriosità, fiducia nelle istituzioni e sincero patriottismo democratico e questi sono principi che si sono tramandati anche alle successive generazioni, che adesso stanno riscoprendo le proprie radici con curiosità ed affetto”.

Il ruolo di Presidente della FederEsuli non è né facile né semplice. Questo coordinamento al vertice, viste le mutate condizioni dell’associazionismo, cosa rappresenta e come dovrebbe evolvere anche in vista delle prossime elezioni al vertice?

“Le associazioni che vi fanno parte hanno ognuna di loro caratteristiche che vanno tenute presenti dalla Federazione. Presiedere la FederEsuli richiede pertanto una gestione collegiale delle nostre attività che tenga conto di tali specificità, ma è nei confronti delle istituzioni che ci deve essere unitarietà e l’interlocutore rappresentativo del nostro mondo deve essere unico. Fughe in avanti o battaglie di retroguardia non ci riguardano, il percorso seguito durante il mio mandato è stato lineare e condiviso in maniera unanime. Oggi le associazioni rappresentano soprattutto una testimonianza storica, una fonte alla quale attingere per trovare la memoria dell’esodo ed è un lavoro che tutte le nostre associazioni realizzano in maniera corretta e con ottimi rapporti sul territorio. Ma ad un tempo costituiscono la base per la trasmissione ai giovani della nostra memoria storica. Restano ancora aperte questioni che riguardano i diritti degli esuli ed è qui che la voce deve essere unica e riconosciuta da parte delle istituzioni, che spesso non sempre hanno la sensibilità o la conoscenza adatte per comprendere le varie sfaccettature del nostro microcosmo”.

Come considera i tentativi e gli esempi di “ritorno culturale” nelle terre dell’Adriatico orientale?

“Sono iniziative meritorie che vanno sostenute e sviluppate. Il primo passo è stato il riconoscimento delle comunità italiane autoctone come nostri interlocutori, senza pregiudizi ideologici ed evitando di rispolverare contrapposizioni e responsabilità che ricadevano sulla prima generazione di esuli e rimasti. Dimostrare una rinnovata unitarietà tra i discendenti di chi se ne andò e di chi rimase rappresenta una forza nei rapporti istituzionali, soprattutto per le Comunità Italiane, in cui le nuove generazioni stanno scoprendo le proprie radici nazionali e guardano con curiosità a chi ha conservato in esilio dialetto, tradizioni e abitudini culinarie. Da parte nostra abbiamo compreso che se non fosse rimasto quella ridotta aliquota della componente italiana nell’Adriatico orientale, oggi resterebbero solo le pietre a testimoniare il retaggio storico di quelle terre, come se fossero i ruderi di un’antica civiltà. Il ritorno culturale rafforza le radici negli esuli di seconda e terza generazione e contribuisce a promuovere eventi che ribadiscono l’italianità senza ridurla a folklore e senza rinnovare revanscismi che nel contesto europeo odierno non hanno ragion d’essere. Andare a Pola, Fiume o Zara è ormai come andare in qualsiasi località italiana, non ci sono confini, non ci sono cambi di valuta e sentire l’istroveneto ci fa sentire a casa”.

Nel corso degli anni i rapporti col Governo si sono consolidati anche se non tutti i tavoli di confronto hanno dato dei risultati. Si sono comunque raggiunti dei successi?

“I migliori risultati sono giunti sul versante scolastico: il Tavolo di Lavoro Ministero dell’Istruzione – Associazioni degli Esuli istriani, fiumani e dalmati ha lavorato in maniera egregia durante ogni legislatura e con qualunque maggioranza esprimesse il titolare del dicastero di Viale Trastevere. Gran parte del merito va alla professoressa Caterina Spezzano, nostra interlocutrice e collaboratrice preziosissima all’interno del Ministero: grazie alla sua disponibilità, alla passione che ci ha messo per far emergere la nostra storia nelle scuole e alle persone che hanno rappresentato le nostre associazioni al Tavolo abbiamo raggiunto risultati incredibili. Siamo partiti dal seminario nazionale di aggiornamento e da un concorso scolastico ed oggi abbiamo anche seminari regionali di formazione, una scuola estiva di alta formazione, studenti e docenti che partecipano al Concorso 10 Febbraio con sempre maggiore cognizione di causa ed un documento importantissimo come le Linee Guida per la Didattica della Frontiera Adriatica. Docenti che si sono formati in questo ambito hanno poi scritto pubblicazioni didattiche ed hanno realizzato i quaderni operativi che con un approccio multimediale conciliano le linee guida con l’esperienza immersiva di M9 – Museo del ‘900, che sta dedicando sempre più attenzione alla nostra storia. Nella scorsa legislatura non è stato invece mai convocato il tavolo tecnico Presidenza del Consiglio dei Ministri – Associazioni degli Esuli: nei mesi scorsi ha lavorato bene un tavolo di coordinamento per le manifestazioni del Giorno del Ricordo, che ha avuto nel Treno del Ricordo il suo più brillante risultato. Comunque restiamo in attesa di tornare a parlare delle problematiche ancora irrisolte che ci riguardano”.

La sua amicizia col presidente Sergio Mattarella ha portato a Giorni del Ricordo molto importanti. In quale direzione stiamo andando?

“Il progressivo avvicinamento del presidente Mattarella alla nostra storia ha consentito di rendere le cerimonie istituzionali del Giorno del Ricordo non un ripetitivo rituale, bensì un appuntamento che ha dato sempre più lustro e visibilità alle pagine di storia nazionale che ci riguardano. I nostri testimoni accolti al Quirinale e presenti in prima fila, le premiazioni degli studenti vincitori del Concorso 10 Febbraio, le brevi ma significative relazioni che i nostri rappresentanti hanno tenuto e gli interventi del Capo dello Stato hanno dato visibilità, al di là della diretta televisiva, alla nostra vicenda. Mattarella ha riconosciuto l’importantissimo ruolo delle associazioni degli esuli nella conservazione della storia e della memoria delle foibe e dell’esodo quando da pochi se ne parlava. Adesso i sondaggi dimostrano che la conoscenza si è allargata, quindi il Giorno del Ricordo e lo svolgimento delle cerimonie ufficiali non devono dimenticare i riferimenti storici, poiché di argomenti ai quali fare riferimento ce ne sono ancora tantissimi, ma bisogna guardare soprattutto alla prospettiva futura: definire l’identità degli esuli di ultima generazione, ribadire il rapporto con i connazionali di oltre Adriatico e contestualizzare foibe ed esodo come fenomeni di rilevanza europea”.

Abbiamo bisogno di dialogo con Slovenia e Croazia, quali i punti da riprendere e ridefinire?

“Con Slovenia e Croazia c’è stato il riconoscimento delle reciproche sofferenze nell’epoca degli opposti nazionalismi e dei totalitarismi ed emerge la consapevolezza che il titoismo ha arrecato lutti e oppressione per tutte le comunità nazionali della Venezia Giulia. L’identificazione e l’adeguata segnalazione dei luoghi di sepoltura delle stragi titine è un percorso che riguarda anche i tanti deportati e sequestrati italiani mai più tornati a Trieste, Gorizia, Fiume, Zara ed in Istria. Auspichiamo di essere pienamente coinvolti nelle ricerche in corso in Slovenia e Croazia per poter ottenere risultati importanti come sono stati il recupero e l’identificazione dei resti del Senatore Riccardo Gigante e delle altre vittime della fossa comune di Castua e dei marò fucilati a Ossero. I rapporti di buon vicinato hanno portato alla condivisione di politiche destinate alla sicurezza ed alla lotta all’immigrazione clandestina. Molti auspicano che si giunga a riaprire il dossier del Trattato di Osimo, in cui l’onere del risarcimento dei beni abbandonati nella ex Zona B ricade su Lubiana e Zagabria in quanto stati successori della Jugoslavia”.

Un monumento all’esodo in Istria è possibile? Auspicabile?

“La mappatura e la segnalazione con apposita cartellonistica plurilingue delle foibe e delle sepolture è uno degli obiettivi a breve termine che ci siamo posti e sui cui stiamo lavorando. In vari contesti locali la comunità italiana è perfettamente integrata nel tessuto sociale ed istituzionale cittadino e la storia della frattura rappresentata dall’esodo è conosciuta. Ricordare visivamente i luoghi delle sepolture dei civili è un obiettivo in linea con valori di civiltà europea ma soprattutto un dovere cristiano che dovrebbe essere sentito dalla componente croata e slovena del territorio. Ci auguriamo di non sbagliare. Al momento abbiamo conseguito un sicuro consenso da parte della sola Unione italiana. Vedremo.
In linea teorica ci sarebbero i presupposti affinché un monumento ricordi i concittadini che sono stati costretti ad abbandonare la propria città portandone in Italia o addirittura nel mondo la parlata, le tradizioni ed il ricordo. Tanto più che furono anche sloveni e croati a venire coinvolti nell’esodo, preferendo optare per la cittadinanza italiana che assistere al consolidarsi della dittatura di Tito”.

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