Un idroscalo… nel porto

Negli anni ‘30 del secolo scorso Fiume aveva assicurati i collegamenti aerei

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Un idroscalo… nel porto
La Riva oggi. Foto: RONI BRMALJ

Non intendiamo presentare in queste brevi note la storia dell’aviazione civile, né quella degli aeroporti. Ci saranno consentiti solo alcuni accenni prima di illustrare la situazione dello scalo aeroportuale della città di Fiume alla vigilia del secondo conflitto mondiale. Le notizie sono state ricavate dal volume “Il porto di Fiume” edito nel lontano 1939 a cura dell’Azienda dei Magazzini Generali di Fiume e dal Comitato per l’incremento dei traffici di quello scalo e riproposto più di recente dalla Società di Studi Fiumani di Roma.

Lo sviluppo dell’aeronautica civile data, in tutti i Paesi europei e negli Stati Uniti d’America, già dalla seconda metà degni anni ’20 del secolo scorso con caratteri pionieristici, per proseguire per tutti gli anni ’30, fino agli inizi della Seconda guerra mondiale con rotte studiate e mezzi sempre più sofisticati che riuscivano a trasportare una trentina di passeggeri e volare a una velocità attorno ai 300 km orari. Nella rete dei collegamenti italiani, gestiti dalla seconda metà del decennio 1930 dall’Ala Littoria, in cui erano confluite tutte le società che gestivano il trasporto aereo, aveva un posto di rispetto anche la stazione aerea realizzata nel porto di Fiume, che all’epoca non raggiungeva i 60mila abitanti, ma che sviluppava traffici importanti verso e dal bacino danubiano.

Tra i moli Adamich e San Marco
L'”aeroporto” di Fiume nel 1939 era un idroscalo, con la stazione per i passeggeri sulla riva fra i moli Adamich e San Marco. Lì salivano e scendevano i passeggeri che sceglievano il mezzo aereo per i propri spostamenti dalle acque del golfo quarnerino e il cui numero, a volo completo, non superava le 15 unità. La pagina del fascicolo che abbiamo riletto è intitolata “Comunicazioni aeree”. Queste garantivano dalla città quarnerina servizi per la Germania, l’Ungheria, l’Albania, la Jugoslavia, la Romania, la Grecia, Rodi, la Palestina, l’Iraq, altre città dell’Adriatico e gli scali dello Jonio. Da Fiume erano garantiti due voli giornalieri per Venezia, con scalo a Pola, con aerei Macchi 94, a due motori. A Pola erano poi garantire coincidenze per Lussino, Zara, Ancona e Roma. Da Venezia si poteva proseguire per Milano, Torino, Monaco, Berlino, Vienna, Budapest e altre destinazioni, “località che si raggiungono tutte con qualche ora di volo”, assicuravano i depliant del tempo. Per “incoraggiare il movimento passeggeri per Venezia sono consentiti nel periodo maggio-settembre speciali voli turistici a tariffa di favore”, garantiva una breve nota dell’epoca, che concludeva avvertendo che il numero telefonico dell’Idroscalo, cui rivolgersi per informazioni era il 3-82. Bei tempi!

I vantaggi degli idrovolanti
L’aviazione italiana prescelse gli idrovolanti anche in considerazione della conformazione geografica dello Stivale che si protende in mare per quasi 1000 km. Si riteneva che si poteva ammarare in qualunque specchio d’acqua portuale o comunque protetto in maniera più semplice e meno costosa che costruire scali aeroportuali a terra. Per questa ragione ebbero un proprio aeroporto “sull’acqua” città come Torino, nelle acque del Po; Pavia nel Ticino; Roma alla foce del Tevere, Venezia nelle acque della laguna. Le città portuali, ad iniziare da Genova, ebbero il proprio idroscalo all’interno del porto, in un angolo riparato e ben protetto che garantiva tanto la discesa quanto le manovre di avvio in acque calme. La rete degli aeroporti a terra ebbe in Italia uno sviluppo successivo, incrementato alla vigilia della guerra per ospitare squadriglie di aerei destinati al combattimento in cielo. Alla vigilia del conflitto l’Italia poteva contare su una rete di aviazione commerciale che si sviluppava lungo maglie lunghe 47mila km e che arrivavano fino a Buenos Aires. La Linea Aerea dell’Impero, gestita dall’Ala Littoria, consentiva di partire da Roma e raggiungere Tripoli e Bengasi, Khartum, Asmara, Addis Abeba e Mogadiscio. L’aviazione italiana impiegava all’epoca circa 130 aeromezzi. Negli anni 1930 avevano avuto un grande sviluppo le linee aeree lungo l’Adriatico che consentivano collegamenti veloci (sempre nel termine di alcune ore) fra le principali località della linea costiera, verso la Jugoslavia, l’Ungheria, la Romania e la Grecia. Quest’ultima veniva sorvolata anche dagli aerei che collegavano lo Stivale con le isole italiane del Dodecaneso.

Le rotte dell’Adriatico
Una particolare attenzione venne data anche alle rotte dell’Adriatico, linee ereditate dalla SISA e poi dalla SAM (Ancona-Zara-Lussino-Pola-Trieste; Trieste-Venezia; Fiume-Pola-Venezia; Trieste-Pola-Lussino; Trieste-Brindisi), per l’esercizio delle quali venne impiegato l’idrovolante Macchi C.94, in sostituzione degli arcaici Cant.10 e Cant.22. L’idrovolante C.94, in grado di raggiungere i 290 km/h e di trasportare fino a 12 passeggeri, si rilevò subito un mezzo sicuro e confortevole, divenendo presto un apprezzato mezzo di comunicazione e collegamento nell’eterogenea comunità adriatica. Una cura particolare era stata dedicata agli allestimenti di cabina, con sedili rivestiti in pelle (non più cestini di vimini), luci individuali e bocchette singole di aerazione. Da luglio a dicembre 1936 vennero consegnanti i primi sei esemplari, tutti impiegati nell’area e a partire dal 1937 anche sulla rotta Trieste-Brindisi-Haifa, il cui capolinea era stato spostato successivamente da Trieste a Roma, per accogliere un’altra notevole fetta di traffico.

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