Vlasta Pesaressi & Milan Grabovac: la coppia d’oro dello sport fiumano

L’ex pallavolista e l’ex cestista, sposati da 48 anni, raccontano i loro successi ottenuti con le maglie de

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Vlasta Pesaressi & Milan Grabovac: la coppia d’oro dello sport fiumano
Foto: GORAN ZIKOVIC

Dieci titoli croati, altrettante Coppe nazionali e una Middle European League (più un paio di partecipazioni in Champions League). Numeri (e trofei) che fanno del Rijeka femminile di pallavolo la realtà fiumana più vincente in Croazia tra gli sport di squadra. Ma quei fasti sono ormai soltanto un lontano e sbiadito ricordo. Il presente invece è funesto, amaro, cupo. E non più in Superlega. Perdendo il play-out contro il Dubrovnik, il sestetto fiumano ha toccato il fondo retrocedendo per la prima volta nella storia del campionato croato. Perché c’è sempre una prima volta. Nel bene e nel male. La prossima stagione si ripartirà dunque dalla Prima Lega e con tantissimi punti interrogativi. Fondato nel 1947, nella stagione 1966/67, sotto il nome Partizan, il club quarnerino conquista la promozione nella massimo campionato jugoslavo vivendo il suo periodo d’oro nel decennio successivo mettendo in bacheca due titoli e quattro Coppe nazionali. Successi clamorosi considerando la qualità e la competitività del campionato di allora, come pure il fatto che in campo c’erano ragazze nate e cresciute (a pane e pallavolo) a Fiume.

Il «doblete in esilio»
“Oggi seguo poco il volley, ma ovviamente dispiace un sacco vedere il Rijeka retrocedere dopo quasi 60 anni trascorsi nella massima serie – ammette Vlasta Pesaressi Grabovac, una delle pallavoliste fiumane più forti e vincenti di ogni epoca, capitana di quella generazione di fenomeni che negli anni ‘70 ha scritto pagine indelebili del movimento sottorete femminile fiumano –. Il momento più bello è stato il ‘doblete’ conquistato nella stagione 1972/73. Tra l’altro in ‘esilio’ dal momento che le partite casalinghe le giocavamo a Pisino in quanto il palasport di Tersatto non era stato ancora ultimato. Quell’anno sono stata anche eletta la miglior sportiva dell’Istria, del Litorale e del Gorski kotar assieme a un certo Mate Parlov. Tutta quell’attenzione mediatica mi lusingava molto e avevo la sensazione di vivere tra le nuvole…. A partire dalla stagione seguente ci siamo definitivamente trasferiti a Tersatto firmando nuovamente l’accoppiata campionato-Coppa. Ricordo anche che gli spalti erano sempre gremiti. C’era tanto entusiasmo attorno a noi, sia per i nostri risultati sia per il fatto che il palazzetto era stato appena inaugurato. Ma soprattutto erano altri tempi, perché all’epoca c’erano meno contenuti e di conseguenza la sera si usciva per andare a vedere le partite”.

L’arrivo di Julia Bendeova
La svolta fu l’ingaggio della cecoslovacca Julia Bendeova, che aveva assunto il doppio incarico di giocatrice e allenatrice. “La squadra – continua l’ex schiacciatrice di lontane origini italiane, marchigiane per la precisione – era composta esclusivamente da ragazze di Fiume e dopo aver chiuso al secondo posto la stagione 1971/72, la dirigenza comprese che per compiere il definitivo salto di qualità occorreva aggiungere ancora un tassello, ovvero un rinforzo di peso. E così ingaggiarono la Bendeova, nazionale cecoslovacca che aveva anche preso parte alle Olimpiadi, anche se era ormai avviata verso la fine della carriera. Con lei svoltammo l’anno dopo vincemmo il primo storico titolo chiudendo la stagione con zero sconfitte”.
Pesaressi Grabovac ha collezionato 109 presenze con la maglia della nazionale, disputando pure un Europeo in casa. “L’edizione del 1975 si tenne in Jugoslavia e Fiume ospitò uno dei gironi. In quell’anno vinsi anche la medaglia d’oro ai Giochi del Mediterraneo ad Algeri, che è stato il punto più alto toccato in nazionale, nella quale ero entrata a soli 16 anni, ma già a 23 anni ero uscita dal giro essendomi sposata e poco dopo diventata mamma. Tra preparazione e partecipazione ai grandi eventi significava stare lontano dalla famiglia per un mese e io non me la sentivo. Purtroppo però non ho mai preso parte a Mondiali né Olimpiadi”.

La chiusura ad Aurisina
Prima di appendere le ginocchiere al chiodo, Vlasta ha militato per due stagioni ad Aurisina, nella A2 italiana. “Un’esperienza da… pendolare. Lavoravo a Fiume e tre volte a settimana facevo avanti e indietro per gli allenamenti, più le partite del weekend. Lo facevo peraltro insieme all’allenatore Anton Jurman, pure lui fiumano, che mi volle con sé per cercare la promozione in A1, ma alla fine non ci riuscimmo”.
Nel 1985 mette fine alla sua carriera in campo per iniziare il percorso in panchina. “Un’esperienza durata cinque anni e iniziata nella scuola elementare di Scurigne. Sono stata l’allenatrice della mia figlia maggiore Anja e ricordo ancora la soddisfazione di aver chiuso un campionato al secondo posto dietro solamente alla Mladost, nelle cui file militavano due ragazzine diventate poi due mostri sacri della pallavolo croata come Barbara Jelić e Nataša Osmokrović. Oltre a mia figlia, allevai anche Patricija Daničić, che nel 2000 partecipò alle Olimpiadi di Sydney, la prima e ancora oggi l’unica presenza della nazionale croata ai Giochi olimpici”.

Raschiando il fondo del barile
E dopo esserci fatti raccontare la storia di Vlasta, ora è la volta di quella di suo marito, Milan Grabovac, ex cestita e pilastro del Kvarner che negli anni ‘70 militava nella massima serie jugoslava, in quello che veniva considerato da molti il campionato più competitivo d’Europa. “Non so se sia stato il più forte, però ci giocavano veramente dei grandissimi campioni – spiega l’ex ala dei quarnerini –. Forse era secondo soltanto a quello sovietico e italiano. In Italia però c’erano tanti stranieri che contribuirono alla crescita del movimento, un lusso che invece i Paesi del blocco orientale non potevano certo permettersi. Oggi purtroppo il basket croato sta raschiando il fondo del barile. Senza soldi non si va da nessuna parte e se i risultati non arrivano non puoi richiamare sponsor. Le difficoltà dei club si riflettono di conseguenza sulla nazionale perché senza risultati di rilievo i ragazzini non sono interessati a praticare questo sport. Ai miei tempi soltanto a Fiume c’erano 7-8 società di basket. Da tutte queste piccole realtà Antonio Udovicich riuscì a prendere i ragazzi più talentuosi e a portarli nel Kvarner creando così un gruppo che col tempo crebbe fino ad arrivare a vincere due titoli jugoslavi juniores di fila nel 1971 e nel 1972”.

Le sfide con Jugoplastika e Cantù
Quei ragazzi entrarono quindi in prima squadra trascinandola nel 1974 alla promozione nella massima divisione. “C’era un abisso tra Prima e Seconda Lega. Non eravamo ancora maturi per un salto così grande e infatti a fine stagione retrocedemmo – ricorda Grabovac, per gli amici semplicemente Šteko –, ma l’anno dopo tornammo nuovamente tra i grandi e ci rimanemmo per tre stagioni. L’apice fu la finale di Coppa persa a Zagabria contro la Jugoplastika nel 1977. Chiudemmo quella stessa stagione all’ottavo posto, nostro miglior piazzamento di sempre, risultando pure la squadra più prolifica del campionato con una media pazzesca di 105 punti a partita. Eravamo anche impegnati nella Coppa delle Coppe e ricordo ancora con amarezza la partita persa a Tersatto contro Cantù. Quella Cantù era uno squadrone che aveva in rosa 4-5 nazionali dell’Italia, che all’epoca era una delle formazioni più forti a livello europeo. A 30 secondi dalla fine avevamo sei punti di vantaggio più il possesso, eppure siamo riusciti a dilapidare tutto. Si andò ai supplementari e Cantù vinse la partita volando in semifinale. Purtroppo eravamo orfani di Nikola Plećaš, che era ai ferri corti con la dirigenza. Con lui in campo sono sicuro che quella partita l’avremmo vinta”.

Un calvario di 15 mesi
La carriera sotto canestro di Milan aveva rischiato seriamente di venire stroncata praticamente sul nascere. “Soffrivo di una malformazione cardiaca che tenevo nascosta perché non volevo rinunciare al basket. All’epoca comunque i controlli non erano accurati come oggi. Prima della fase finale di un torneo giovanile non superai un esame e da lì iniziò un calvario di 15 mesi. Alla fine sono stato operato a Belgrado ed ebbi il nullaosta per proseguire l’attività agonistica. Avevo 16 anni e una voglia matta di tornare a giocare. Nonostante l’OK dei medici da Belgrado, a Fiume inizialmente non vollero concedermi l’idoneità sportiva. Anche il mio club non mi permetteva di allenarmi perché non voleva prendersi questa responsabilità. Poi, un mese prima della fase finale del torneo per il titolo nazionale juniores a Slavonski Brod, ebbi finalmente il via libera. Mi presentai al torneo totalmente fuori condizione, ma lo vincemmo e portai a casa addirittura il premio di MVP. Poco dopo venni richiamato in nazionale riuscendo pure a riconquistarmi il posto e a essere convocato per l’Europeo juniores del 1972 a Zara. Per la prima volta la Jugoslavia vinse l’oro di categoria: in semifinale battemmo l’Unione Sovietica e in finale l’Italia, che peraltro avevamo già sconfitto nella fase a gironi. Quanto alla nazionale maggiore, ho raccolto solamente 7-8 presenze, tutte però con la selezione B”.

L’esperienza nel femminile
A soli 27 anni Milan dice improvvisamente addio al basket giocato. “Era il 1980 e a metà stagione la società, senza alcun preavviso, decise tagliare me, Milan Miličević, Ivo Maslak e Nikola Plećaš. La versione ufficiale del club fu la necessità di ringiovanire la rosa. La verità ovviamente era un’altra, ma preferisco non parlarne. La carriera da allenatore? È stato un forte richiamo, tant’è che iniziai ad allenare già a 23-24 anni fondando una scuola basket in seno al Kvarner. Tra gli altri, sono passati tra le mie mani Ivo Nakić, che stando ad alcune statistiche risulterebbe essere il cestista con il maggior numero titoli vinti a livello di club nell’ex Jugoslavia, e Aramis Naglić. Una volta smesso di giocare, ho allenato il Kozala femminile portandolo praticamente in Prima Lega in soli tre anni. Dico praticamente perché a ridosso della promozione la società voleva farmi allenatore professionista, ma a me non interessava e così le nostre strade si separarono. La squadra comunque entrò in Prima Lega. Più avanti ho vissuto una seconda esperienza sulla panchina del Kozala, che nel frattempo cambiò il nome in Rijeka. Quindi sono passato al maschile guidando il Poreč in terza divisione e infine la Jadrankolor Kantrida, che per un breve periodo ha pure militato nel massimo campionato croato”, ha concluso Milan Grabovac.

«Quella volta di nostra figlia con Clinton…»
Vlasta e Milan stanno insieme da 52 anni, di cui 48 uniti in matrimonio. “Noi ci allenavamo a Cosala, loro a Tersatto. Poi la sera ci si ritrovava tutti al Palach. Una volta prese il coraggio per accompagnarmi alla fermata dell’autobus. Lo fece poi una seconda e una terza volta, mentre la quarta salì pure lui accompagnandomi fino a casa mia a Pećine. Per poi tornare a piedi a casa sua a Podmurvice… È così che è iniziata la nostra storia”. Dalla loro unione sono nate due figlie, Anja e Ivna. “Anja è arrivata in nazionale giovanissima e ha fatto parte della squadra che ha disputato il preolimpico per i Giochi di Atlanta 1996, senza però riuscire a ottenere la qualificazione. Dopo la maturità è stata selezionata dalla California State University per un camp estivo a Long Beach. Quindi le è stata proposta una borsa di studio e così si è iscritta lì all’università. Nella stagione 1998/99 ha pure conquistato il campionato universitario, con la squadra che è poi stata ricevuta addirittura dal presidente Clinton in persona. In realtà non alla Casa Bianca bensì in un aeroporto, anche se non ricordo esattamente dove. Comunque c’è questa foto di Anja con Clinton e l’Air Force One sullo sfondo. Dopo la laurea ha giocato ancora un anno in Germania per poi chiudere la carriera agonistica dedicandosi interamente alla propria attività professionale. Ivna, la più giovane, ha invece praticato la pallacanestro, però ha smesso una volta iscritta l’università”, racconta Vlasta Pesaressi Grabovac.

«L’NBA è la mortificazione del basket»
“L’NBA di oggi è una barzelletta. Mi fa ridere vedere giocatori mettere a segno ogni volta 50, 60 o 70 punti. Ma le difese dove sono? Io vedo giocatori scansarsi! Anche ai miei tempi capitava di segnare 40 o 50 punti, ma per fare quei numeri dovevi sputare sangue e avere percentuali del 60/70% al tiro. Quando vedo LeBron James fare 60 punti tirando col 20%… Per non parlare poi dell’All-Star Game: va bene lo spettacolo, però partite che sfiorano i 400 punti sono la mortificazione di questo sport. Ecco perché non guardo più l’NBA. Oggi l’unica vera pallacanestro è quella che si gioca in Eurolega”, dice Milan Grabovac.
 

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