ROBE DE MATTEONI Il derby dei vicini molto lontani

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ROBE DE MATTEONI Il derby dei vicini molto lontani

Nel mondo del giornalismo ci sono tantissime cose “normali”, che ci possono aiutare a comprendere meglio i fatti che seguiamo. Una di queste è che giocando attivamente a calcio impari a capire la metodologia di lavoro, la vita del gruppo e i rapporti con la gente dentro e fuori al club. Nei miei 22 anni giocati con Istra, Uljanik e Bagnole, mai come professionista, che all’epoca era uno status sconosciuto da queste parti, pensavo di come sarà diverso il mondo dei grandi nel calcio. Siamo negli ultimi due decenni degli anni anta, ci godiamo le partite del calcio italiano in tv come sintesi a 90′ minuto e alla Domenica sportiva. Una finestra anche sul calcio internazionale, che all’epoca non si poteva vedere in diretta tranne la finale della FA Cup di Wembley…
Nel momento che mi sono concentrato sulla vita professionale, e ciò voleva dire viaggiare in… lungo e largo per seguire Mondiali, Europei, Champions League, ma anche incontrare le più grande stelle del calcio, allenatori famosi ed ex glorie, iniziavo a comprendere alcune cose che mi sfuggivano da dilettante. Il calcio, anche ai livelli massimi, era abbastanza simile come protocolli al nostro normalissimo modo di viverlo. Poi, andando a visitare i fenomeni croati che sono diventati giocatori dei più prestigiosi club al mondo – Boban, Bokšić, Jarni, Rapaić, Bilić, Stanić, Štimac, Viduka, Robert Kovač, Tudor, Šimić, Modrić, Kovačić e altri ancora, mi è stato più facile capire, o meglio dire confermare questo pensiero. Il calcio a tutti i livelli è simile. La differenza sta nella dimensione e nei numeri. Se il giocatore del Real Madrid gioca per 7-8 milioni di euro all’anno, quello dell’Istra lo fa per 7-8mila euro. Se il giocatore del Milan gioca davanti a 70mila spettatori, quello del Rijeka lo fa davanti a 7-8mila. Se del Barcellona si scrivono 7-8 articoli al giorno nei media nazionali e mondiali, sul club di Parenzo in una settimana si fanno 4-5 testi nei 3-4 media locali. Ma siccome il calcio è questione di umani, non di intelligenza artificiale, ho potuto da vicino, e da privilegiato, comprendere che la vita del calcio è universale al di là del blasone.
Per dire, quando Modrić o Benzema sono arrabbiati con l’allenatore, succede la stessa cosa quando Blagojević se la prende con il suo tecnico. Quando Petković non è di buon umore, allora la sua faccia è cupa come quella di Rodrygo. Se Luis Enrique diventa furioso perché la squadra non gioca come vorrebbe, non vedo diverse espressioni di Paolo Tramezzani.
Ecco, quando si giocano i derby tra club della stessa città, o tra primi vicini, allora la dinamica del prepartita, nei media e allo stadio, è simile a Londra come a Fiume, Spalato o Pola. La differenza consiste nei numeri e nella dimensione di club, giocatori, allenatori, stadi, tifoserie e via dicendo.
Domenica al Drosina si gioca la sessantesima partita tra Istra 1961 e Rijeka. Come tradizione non c’è paragone. Il Rijeka è un club con trofei conquistati, dall’ex Jugoslavia fino ad oggi in Croazia, con campionato e coppe vinte. L’Istra 1961 è una realtà nata praticamente agli inizi del millennio e con la promozione in Prima Lega nel 2004. L’Istra 1961, ex Uljanik, ha giocato due volte in finale di Coppa Croazia. La prima nel 2003 come club di seconda divisione, perdendo in due partite la finale con l’Hajduk. La seconda finale, tre anni fa in partita secca con la Dinamo a Gorica, i gialloverdi furono vicini alla clamorosa impresa, ma persero 6-3 dai campioni in carica. Le due finali non avevano molte similitudini come atmosfera e passione come ad esempio nella semifinale di dieci anni fa tra Istra e Rijeka.
Il derby del vicinato si disputò in due partite nell’arco di sette giorni. La prima a Cantrida, davanti a 5.500 spettatori e con sicuramente il più grande esodo di tifosi polesi (Demoni) in trasferta. Dopo il gol di Radonjić all’8′ esplose la gioia degli ospiti, posizionati nella tribuna est. Però il Rijeka con il micidiale Kramarić segno due gol nella ripresa (59′, 61′) e vinse 2-1. Al ritorno le tribune del Drosina erano piene, 7.500 spettatori e grandi aspettative dei locali. Pero Krstanović si confermo killer dell’Istra e i fiumani di Matjaž Kek andarono in finale.
Il Rijeka è il leader del campionato, forse inatteso in autunno, ma che con una serie di vittorie (13 su 14) si è profilato come favorito per il titolo, raggiungendo anche la finale di Coppa. In entrambe le competizioni sulla via dei fiumani è rimasto l’ostacolo più difficile, la Dinamo. Prima di vedersela con gli zagabresi il Rijeka è atteso da due trasferte insidiose. La prima domenica a Pola, la seconda a Zagabria con la temibilissima Lokomotiva. Per vari motivi sono del parere che se il Rijeka uscirà indenne dal Drosina, e ha tutti i requisiti per farlo, dalla qualità, alla forma e alla motivazione, allora sarà più facile vincere a Zagabria. Se non vincerà a Pola, tutto diventerà terribilmente più difficile.
Per l’Istra, che viaggia tranquillo all’ottavo posto, la partita è un fatto di prestigio. Ma parliamo del derby del vicinato e quindi anche la motivazione dei gialloverdi sarà altissima. Il classico… folclore che precede la partita del Drosina non mi sorprende. Ma come detto, nel calcio, tutto il mondo è paese.
Ritorno ala mia attività di dilettante, anzi ai tempi delle categorie giovanili. Come “dominatori” del calcio istriano, giocavamo sempre con il Rijeka nello spareggio per andare al torneo nazionale. Diverse nostre sconfitte, ma anche varie vittorie. Una non me la scorderò mai. Loro fortissimi, noi bravini, giochiamo al vecchio Comunale. Dopo venti minuti, pareva un sogno, eravamo sul 4-0. C’ero pure io tra i marcatori, con una punizione dalla distanza. Quando vidi il pallone finire nel sette non sapevo dove correre per la felicità. Nella ripresa, con tutti noi ancora su di giri, il Rijeka si riprese: segnarono tre gol prima dell’80’ e iniziarono i 10 minuti più lunghi che abbia mai giocato. Vincemmo e, onestamente, non vissi più un’emozione così forte, nemmeno tra i seniores.
Domenica spero che le due squadre e le due tifoserie vivranno una giornata di passione e di emozioni positive, che saranno ricordate per tante buone cose. Se non sarà così per loro sarà un peccato perché l’opportunità per produrre emozioni e memorie per il futuro non si vivono ogni giorno. Anzi…

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