Uno scrigno del tesoro da (ri)scoprire

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Uno scrigno del tesoro da (ri)scoprire

La Croazia vanta otto località protette dall’UNESCO in quanto Patrimonio dell’Umanità e quel genere di beni culturali appartiene chiaramente alla classe dei beni culturali materiali. Ma la cultura, lo sappiamo benissimo, è tanto spirituale quanto materiale, per cui l’UNESCO protegge e tutela il valore anche di quelli che chiamiamo beni culturali immateriali, in questo caso: musiche e danze popolari, tradizioni culinarie, usanze artigianali, culti, riti e processioni, feste in onore ai Santi patroni, persino lavori di passamaneria, insomma, tutto ciò che ha di caratteristico un territorio purché affondi le radici in un passato remoto, sia stato salvaguardato da generazioni e abbia conservato le fattezze delle origini, che si perdono nella notte dei tempi. I beni immateriali della Croazia sono uno scrigno del tesoro che andiamo a (ri)scoprire nella Chiesa-Museo dei Sacri cuori che ospita una mostra a tema allestita dal Ministero della Cultura in collaborazione col Museo etnografico di Zagabria (l’esposizione resterà aperta sino al 5 maggio).

Dovizia di dettagli

Quella che ci troviamo di fronte è una mostra quasi esclusivamente fotografica. Gli oggetti in esposizione non sono molti, in pratica soltanto alcuni strumenti musicali, qualche giocattolo, due campane in ferro battuto, alcuni centritavola di pizzo, la copia dell’anello (alka) della Giostra di Sinj, accompagnati da alcuni filmati sulle processioni religiose e laiche. Vediamo di soffermarci sui temi che l’esposizione racconta con dovizia di dettagli in immagini e didascalie nel percorso scandito da una dozzina di soste corrispondenti ad altrettanti beni immateriali da illustrare, molti sconosciuti fuori dagli angusti confini dei luoghi d’origine.

La Processione della Croce di Lesina (Hvar).

Sono cinque secoli che gli abitanti di Lesina seguono il crocifisso nella processione chiamata “Dietro alla Croce” (Za križen) in un rito religioso che si celebra in occasione della Settimana Santa. È questa un’espressione di identità religiosa, nazionale e regionale molto sentita e rispettata, unica nel suo genere e ispirata a un evento straordinario che si dice ebbe luogo nel 1510, quando da un crocefisso sgorgarono lacrime di sangue. La processione si svolge ogni anno nella notte tra il Giovedì e il Venerdì Santi. Vi partecipano i fedeli di 6 chiese parrocchiali, un fiume umano, che si raccoglie per percorrere a piedi la bellezza di 22 chilometri in una notte. Alla testa del corteo c’è il Crocifero, scalzo, un modello di virtù, di sacrificio e di fede nella Resurrezione.
Ci vuole addestramento e pazienza per stare a sentire il canto tradizionale “ojkanje” una specifica espressione di musicalità arcaica che affonda le sue radici addirittura nel passato illirico di queste terre. L’”ojkanje” è un canto vibrato, tremante, di tonalità profonde, tipico dell’hinterland dalmata, in cui una canzone dura tanto quanto dura il respiro di chi la canta. La tradizione è sopravvissuta ai secoli, ma è rimasta inalterata nelle tecniche canore, mentre gli argomenti si sono andati via via modernizzando.

Il canto a due voci e la scala istriana

Il canto a due voci e la scala istriana si ritrovano appunto in Istria e, a tratti, nel litorale (Quarnero). Si canta a due voci nelle diverse varianti della scala esatonale istriana, quindi ci troviamo nuovamente nel campo della musica non temperata, di origini assai remote. Le due linee che compongono il canto si muovono su intervalli di terza e di sesta, i generi spaziano dalle forme ad intervalli stretti, alle tecniche di tono nasale, includono variazioni ed improvvisazioni, quindi si arriva alla conclusione all’unisono e all’ottava mentre gli strumenti sono quelli della tradizione (le pive, altrimenti dette mih, i vari flauti e pifferi (roženice, šurle), i tamburelli.
E sempre in campo musicale, l’UNESCO protegge anche il canto dei cori maschili in Dalmazia (klapa). La “klapa” è in origine una compagnia di amici in cui il canto nasce spontaneo, da lì deriva il genere, ma il canto è ormai perfezionato, elegante, curato e ottimamente eseguito. È una forma di canto polifonico, a cappella, fa parte della tradizionale orale caratteristica anche per la bella presenza della compagine che si esibisce in semicerchio, vestita a festa. Il leader è generalmente il primo tenore, che dà il la al gruppo, seguito da altri tenori, baritoni e bassi in una fusione di voci molto fine, capace di trasmettere al pubblico le più sublimi emozioni d’amore, gioia, tristezza, pena, sofferenza, angoscia. Tra tutte le forme di beni culturali immateriali protetti in Croazia, il canto della “klapa” è sicuramente il più popolare.
Di stampo affatto diverso è il “bećarac” della Croazia orientale. In Slavonia a farla da padrona è la “tambura”, il mandolino dell’est, strumento musicale che le popolazioni slave presero a prestito dai Turchi e fecero proprio sviluppando un melos caratteristico di tematiche allegre, giocose, persino focose, con un corredo incredibile di allegorie, metafore, allusioni. La stessa parola “bećarac” è di origine turca e deriva da “baqara” ovvero scapolo, che all’occorrenza diventa anche il “moroso”, il fidanzato, il corteggiatore, il furbo ma anche lo zimbello del Paese.

Gli scampanatori di Castua

Non poteva mancare nemmeno la rassegna annuale degli scampanatori (Zvončari) di Castua. A Carnevale, fino al Mercoledì delle Ceneri, gruppi di uomini col caratteristico costume per metà marinaro e per metà cavernicolo, col caratteristico mantello di montone, le campane, la maschera animale a dir poco terrificante, richiamano la fertilità, il risveglio della vegetazione, della natura, l’imminente primavera. Diversamente dagli scampanatori, rumorosi fino all’insostenibilità, la peculiare danza “silenziosa” (Nijemo kolo), tipica dell’entroterra dalmata, è appunto silenziosa, ma non per questo meno eloquente. Include uomini e donne, presenta figure spesso vigorose che riflettono stati d’animo, sentimenti, desideri. La danza viene trasmessa da padri a figli, ed è praticata durante il Carnevale, nelle sagre popolari, nei ricevimenti di matrimonio. In passato era un’occasione di ritrovo e un espediente per attaccare bottone con le ragazze in età da marito.

La Giostra di Sinj

E restiamo in terra di Dalmazia per ricordare la mitica Giostra di Sinj, torneo cavalleresco che ha avuto origine nel 1717 e da allora non è mai caduto in disuso, diversamente dall’analoga rassegna in quel di Barbana, più antica (è del Seicento), ma riscoperta soltanto nella seconda metà del XX secolo. Il gioco è noto: cavalieri al galoppo attraversano un percorso definito, puntano la lancia contro l’anello di ferro appeso a una corda per ricavarne il punteggio corrispondente al quadrante dell’anello colpito dalla punta della lancia. Il nome del torneo deriva dalla parola turca che significa appunto anello e riflette lo scambio culturale tra le due civiltà in passato, la cristiana e l’ottomana.

I merletti di Pago, Lepoglava e Lesina

La Croazia custodisce ancora l’arte del merletto, che in passato era coltivata dalle classi aristocratiche (gli acquirenti), ma realizzata dalle donne povere della periferia rurale. I tre centri che curano il retaggio di quest’arte al giorno d’oggi sono Lepoglava nello Zagorje (il merletto a fuselli), Pago sull’isola omonima (merletto ad ago) e Lesina (merletto realizzato con filo di pianta d’agave), dove la tradizione è stata conservata dai monaci benedettini. E sempre nello Zagorje, resiste la manifattura dei giocattoli di legno che affonda le radici nell’Ottocento ed è praticata con grande passione dagli artigiani di Laz, Stubica, Tugonica e Marija Bistrica. La collezione include la bellezza di 120 modelli di giocattoli diversi, costruiti e dipinti a mano nei colori caratteristici: rosso, giallo e blu, con l’aggiunta di ornamenti floreali e geometrici.

La Processione di primavera di Gorjani

Meno nota è invece la Processione di primavera di Gorjani, una un rito che ha luogo in occasione della solennità di Pentecoste nel villaggio della Slavonia. Si compone di sole ragazze che eseguono la rituale danza di spade con canzoni d’accompagnamento. Le partecipanti si dividono in regine e re, sono armate di tutto punto, ma anche ornate di ghirlande di fiori, una dicotomia tra l’elemento maschile e quello femminile di valenza allegorica. Poi abbiamo la rinomata Festa di San Biagio a Ragusa, il suo patrono, anche questa una tradizione che resiste ai secoli. San Biagio era vescovo in Armenia, fu torturato e ucciso al tempo dell’imperatore Diocleziano e divenne protettore di Ragusa già nel X secolo. La leggenda narra che fosse apparso nel sonno a un certo Stojko, parroco della Cattedrale, per avvisarlo di un imminente attacco della flotta veneta, permettendo così alla città di salvarsi in extremis. A seguito di quest’evento, il Senato proclamò San Biagio protettore della Città di Ragusa. La “Festa” si svolge il 3 febbraio ed è un evento imperdibile

La Dieta mediterranea

Tra i beni culturali immateriali protetti dall’UNESCO che la mostra passa in rassegna abbiamo però anche qualcosa di saporito: i biscotti allo zenzero della Croazia settentrionale e la Dieta mediterranea. Il pan di zenzero si propagò in Europa nel Medioevo con un passaparola tra monasteri che non tardò a raggiungere anche le località croate del nord. La ricetta è antichissima e non richiede che farina, zucchero, acqua e bicarbonato di sodio con le caratteristiche spezie. Le decorazioni sono rigorosamente artigianali e il modello più diffuso è quello a forma di cuore. Che dire invece della Dieta mediterranea? Uno dei simboli d’Europa più noti nel mondo si fonda sul rispetto del territorio, della biodiversità e dell’interazione sociale, perché pone i prodotti alimentari più caratteristici del Mediterraneo alla base dei costumi sociali delle località di mare italiane, spagnole, greche, magrebine, portoghesi, croate e cipriote, consolidate nei secoli e rimaste pressoché inalterate fino agli anni Cinquanta del secolo scorso. Chiaramente non si tratta di una lista di alimenti, né di un ricettario o di un menu singolare: si tratta di uno stile di vita, di pratiche sociali, di tradizioni agricole, marinare e culinarie intrecciate nei più disparati rapporti sociali della gente di mare.

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