Branko Fučić, il più grande umanista di questi territori

A colloquio con lo storico dell’arte Marijan Bradanović, docente alla Facoltà di lettere e filosofia di Fiume e autore di una biografia intellettuale incentrata sul grande studioso nato sull’isola di Veglia

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Branko Fučić, il più grande umanista di questi territori
Il prof. Marijan Bradanović. Foto Ivor Hreljanović

Sono pochi gli individui che hanno segnato la vita scientifica, culturale e sociale dell’Istria, del Quarnero, del Litorale croato e di Fiume nella seconda metà del XX secolo come lo ha fatto il rinomato storico dell’arte e della cultura, esperto di affreschi medievali e del glagolitico Branko Fučić (Dubašnica, 8 settembre 1920 – Fiume, 31 gennaio 1999), il cui immenso lascito è la testimonianza di un lavoratore infaticabile e di uno studioso di ampi interessi. A raccontare un aspetto meno noto di questo grande studioso – il suo lavoro di conservazione dei beni storico-culturali – è stato il prof. Marijan Bradanović, studioso del tardo Medioevo e della Prima età moderna e responsabile della Cattedra per la tutela, la presentazione e l’interpretazione del patrimonio in seno al Dipartimento per la Storia dell’arte della Facoltà di Lettere e Filosofia di Fiume, nel suo libro “Branko Fučić. Storico dell’arte e conservatore”, pubblicato nel 2023 come quarto volume della serie “Storici” edita dalla Società degli storici dell’arte di Fiume. Il libro è stato presentato di recente anche al Museo civico di Pisino, motivo per il quale ci siamo rivolti al prof. Bradanović per un colloquio legato al grande studioso.

Nel suo libro su Branko Fučić, l’accento è stato posto sul suo lavoro di conservatore. Come mai l’idea di dedicare un libro a questo grande storico dell’arte?

“Il mio campo di studio sono il tardo Medioevo e la Prima età moderna, ovvero il Gotico e il Rinascimento. Il mio collega Berislav Valušek, presidente della Società degli storici dell’arte, sapendo che Fučić lavorò come conservatore da giovane e dal momento che anch’io feci lo stesso lavoro per quindici anni e conoscevo Fučić, mi ha proposto di scrivere un libro su di lui. Fučić veniva spesso nella fototeca (l’archivio in cui sono custodite fotografie in bianco e nero di grandi dimensioni stampate su cartone) dell’Istituto di conservazione dei beni storico-culturali di Fiume. Una volta alla settimana, Fučić veniva in centro a prendere la sua scorta di medicine nella farmacia nei pressi dell’Istituto e poi faceva una capatina nell’Istituto per conversare un po’ e per sfogliare le fotografie. Una volta gli chiesi perché le prime cinque-sei foto che ritraevano ogni paesello in Istria erano firmate Branko Fučić, al che mi raccontò diverse cose della sua attività di conservatore. Egli trascorse effettivamente tutta la sua carriera da libero professionista: era abbastanza solitario, grande lavoratore, anche se amava presentarsi come grande buongustaio. Pochi conoscono, però, la sua operosità. Egli trascorreva intere notti lavorando in maniera sistematica e ci lasciò una vastissima e importantissima opera.
Tornando al mio libro, sentivo che fosse mio obbligo occuparmi di questo grande uomo. Il modo in cui quest’opera è concepita permette di distaccarsi un po’ dall’approccio scientifico, anche se essa contiene anche la documentazione d’archivio. Non volevo scrivere un secondo libro che contenesse i ricordi legati a questo studioso, il più grande umanista di questi territori, bensì basavo il mio scritto sulla documentazione proveniente dagli interventi di conservazione. Inoltre, ho scritto il libro in chiave di conservatore, in quanto il pubblico più vasto lo conosce in primo luogo come eccellente narratore, persona che sapeva relazionarsi con le persone ed eccellente studioso. Lo conosciamo attraverso le mostre che ha organizzato e attraverso l’ampia documentazione d’archivio. Durante la ricerca per il libro ho consultato i documenti del Ministero della Cultura e dei Media, dell’Archivio di Stato di Fiume e la biblioteca della Facoltà di Teologia di Fiume, come pure alcuni archivi sloveni”.

«Poco efficace come conservatore»

“Il libro è un po’ asimmetrico – prosegue Bradanović – perché si concentra minuziosamente sul periodo dal 1945 al 1947, mentre gli altri periodi sono elaborati in maniera meno dettagliata. Ho rivolto particolare attenzione al succitato periodo perché nella documentazione egli veniva accusato di essere poco efficace come conservatore. Ma qual era la vera storia? Egli entrò in conflitto con un suo immediato superiore, nonostante fosse in ottimi rapporti con Ljubo Karaman – all’epoca direttore dell’Istituto di conservazione dei beni storico-culturali a livello di Repubblica – su chi avrebbe guidato l’Istituto regionale, che era collocato a Fiume e copriva il territorio che oggi è suddiviso in tre attuali Regioni: quella istriana, la litoraneo-montana e quella della Lika e di Segna. Infine, a capo dell’Istituto fiumano giunse un’altra persona, che diventò capo di Branko Fučić e si lamentava che questi non era efficiente come conservatore e che non sarebbe mai diventato uno studioso che si rispetti. Non poteva avere più torto, considerato che Fučić diventò successivamente uno studioso di fama europea e uno dei migliori storici dell’arte che avessimo mai avuto.
Fučić amava lavorare con i giovani e, durante gli anni in cui lavoravo come conservatore, dedicava la sua attenzione a guidarci in questa disciplina. Purtroppo, non si è mai trovato un posto di lavoro per lui in seno all’Università, in quanto ai tempi della Jugoslavia era considerato troppo ‘clericale’. Si tratta di un’accusa infondata. Anche se Fučić era credente, apparteneva alla corrente della cosiddetta ‘sinistra cattolica’ che nacque in Francia negli anni Trenta del XX secolo e si opponeva a tutti i sistemi totalitari, dunque sia al fascismo di Mussolini e Hitler che allo stalinismo. Già prima della Seconda guerra mondiale, Fučić aveva problemi con i fascisti, mentre dopo la guerra era sempre controllato dal nuovo regime, soprattutto quando si recava in Istria, che nell’immediato dopoguerra era suddivisa in zone. Aveva un carattere impulsivo e non ascoltava le autorità quando si trattava di tutelare preziosi monumenti del patrimonio storico-culturale. I confini e i permessi che erano necessari per entrare in Zona B o in Slovenia non lo interessavano perché il suo interesse primario erano i monumenti.
Fučić visse in condizioni di ristrettezze economiche, ma ebbe il sostegno di sua moglie, che lo incoraggiò sempre a occuparsi di ciò che lo interessava.
Un altro motivo che mi ha spronato a scrivere questo libro è stata l’affermazione dell’enorme lascito fotografico di Fučić, del quale egli andava molto fiero. Mi raccontava quanto fosse difficile portare appresso la fotocamera e lo stativo fotografico, entrambi molto pesanti, durante le sue tappe in Istria e in altre località, senza contare che non guidava, per cui doveva organizzarsi sempre molto bene per il trasporto. Vorrei aggiungere che l’inventario del fondo fotografico di Fučić nelle fototeche del Ministero della Cultura e dei Media è stato realizzato da Sanja Grković del Ministero stesso e da Damir Krizmanić dell’Istituto di conservazione fiumano. Infatti, le sue fotografie erano per decenni sparpagliate nel territorio in base all’appartenenza topografica”.

Trascurato per decenni

“Fu per decenni trascurato, mentre invece la sua opera dimostra che fu un personaggio di grande spessore, erudizione, interessi, che diede un contributo straordinario alla tutela, conservazione e comprensione dei monumenti storico-culturali e alla storia dell’arte. Per fortuna, nonostante questa sua posizione, diversi personaggi importanti lo appoggiavano. Uno di questi fu mons. Svetozar Rittig, che durante la Seconda guerra mondiale si unì ai partigiani e ricoprì la carica di ministro nel primo governo della Repubblica popolare di Croazia nell’immediato dopoguerra. Quando andò in pensione, Rittig fondò l’Istituto paleoslavo e, siccome Fučić si occupava del glagolitico, grazie al monsignore, che stanziò i fondi, ebbe la possibilità di fare le sue ricerche a Jurandvor sull’isola di Veglia (dove venne rinvenuta la celebre lapide di Bescanuova, uno dei primi documenti in lingua croata, scritto in glagolitico, nda). Ebbe pure l’appoggio dello storico dell’arte Milan Prelog, anch’egli un ex partigiano che fu pure politico. Insomma, c’erano persone che lo apprezzavano come studioso e come persona, della cui protezione godeva. All’epoca tra gli storici dell’arte era diffuso il timore che con la definizione della linea di confine tra Italia e Jugoslavia molti monumenti in glagolitico potessero rimanere in Italia ed essere distrutti, come successe all’epoca del fascismo. Ovviamente, oggi sappiamo che questa paura era infondata, in quanto l’Italia diventò successivamente un Paese democratico. A causa di questa costante paura, gli storici dell’arte ritenevano indispensabile spingersi fino alle spalle di Trieste, dove si trovano pure dei graffiti in glagolitico, con l’idea di salvarli. Al contempo, c’era sempre un grande rispetto verso la cultura italiana – che è un sentimento diffuso tra tutti noi storici dell’arte –, Paese che vanta un immenso patrimonio storico-culturale.
Vorrei ricordare che Fučić si diplomò in storia dell’arte e cultura con l’archeologia classica, ma concluse pure il corso di storia nazionale e lingua italiana.
Nella stesura di questo libro ho dovuto trattenermi per quanto riguarda la quantità di materiale in quanto, trattandosi del quarto libro della serie dedicata agli storici dell’arte della nostra regione, non poteva superare un certo numero di pagine. L’esperienza mi suggeriva che, una volta svolte le ricerche negli archivi, fosse più saggio pubblicare ciò che ho scoperto invece di lasciarlo per un’altra volta. Credo che il libro sia dinamico perché include estratti delle sue lettere e tantissime sue fotografie”.

Menzionato da Fulvio Tomizza

“Il più bell’episodio che ho scoperto nelle mie ricerche è riportato da Fulvio Tomizza nel suo libro ‘La miglior vita’, dove racconta come nel paesello fittizio di Radovani ci fosse una lapide funeraria con scritte in glagolitico che in realtà si trovava nel suo paese natale di Materada (vorrei specificare che quando ero conservatore ero responsabile del territorio del Buiese, per cui mi occupai della lapide in questione). Tomizza, quindi, racconta come nel suo paese giunse un professore che prese il calco della lapide ed egli, ancora piccolo, gli fece da assistente. Tomizza non riporta il nome di Fučić, ma dalla documentazione è chiaro che fu proprio lui. Questo suo lavoro era legato all’organizzazione di una grande mostra sul glagolitico a Pisino nell’immediato dopoguerra, in concomitanza con l’arrivo della Commissione interalleata per la delimitazione dei confini in Istria.
Nel mio libro ho voluto rimarcare il suo lavoro di storico dell’arte, in quanto la sua attività legata al glagolitico e alla filologia è molto più nota”.

Branko Fučić è, secondo lei, apprezzato e affermato in Croazia come merita?

“Credo che la sua figura e opera meritino più attenzione, anche perché egli non ebbe vita facile. Era trascurato e messo in disparte, ma allo stesso tempo questa sua posizione gli permetteva di lavorare più liberamente. Era spesso malato e dovette trascorrere molto tempo in ospedale, ma egli stesso disse a suo tempo che i suoi ‘soggiorni’ in ospedale gli permettevano di occuparsi di più di ricerche. Viveva in un piccolo appartamento a Fiume, nel rione di Costabella, e lavorava in una piccola stanza. Negli anni Novanta, l’allora direttore dell’Istituto di conservazione dei beni storico-culturali di Fiume, Ivan Matejčić, fece sì che Fučić potesse tornare a fare il conservatore e a guidare alcuni programmi perché si sapeva che adorava questo lavoro. Fučić realizzò diversi ottimi progetti per l’Accademia jugoslava delle Scienze e delle Arti (JAZU). All’epoca, Miroslav Krleža preparava una grande mostra sull’arte medievale nel territorio della Jugoslavia e nel suo ambito venne incluso anche il lavoro di Fučić svolto sull’isola di Veglia, che egli conosceva molto bene”.

Lei ha svolto per quindici anni il lavoro di conservatore. Come mai ha deciso di diventare docente all’Università di Fiume?

“La tutela e la conservazione dei beni storico-culturali è un lavoro che appassiona. Inoltre, chi ha svolto il lavoro di conservatore ha in seguito la possibilità di ottenere una licenza per poter lavorare con i beni culturali. Questa cosa è per me molto importante perché all’Università insegno a un gruppo di corsi legati alla tutela dei monumenti. Il mio obiettivo è realizzare almeno uno studio di conservazione in due anni, per non ‘arrugginire’. Un’altra questione è se io trovi il tempo per farlo, in quanto alla Facoltà di Lettere e Filosofia le lezioni sono molte e prendono parecchio tempo. Si tratta di un lavoro meraviglioso, ma molto impegnativo.
Da conservatore, mi occupavo di beni storico-culturali mobili e immobili. Anche questo è un lavoro meraviglioso e richiede molta dedizione, in quanto il conservatore deve prendersi cura di beni culturali di tutti i profili: da una scultura in legno, alle suppellettili nelle chiese e quant’altro. Tutto ciò che è categorizzato come bene storico-culturale.
Un conservatore si occupa della supervisione di qualsiasi tipo di interventi ai beni storico-culturali, ma è anche la persona che suggerisce e incentiva la loro attuazione. Il lavoro del conservatore comprende anche la supervisione di interpolazioni e ricostruzioni nei tessuti urbani, la compilazione di elenchi di beni storico-culturali, e via dicendo.
Avendo avuto come capo lo storico dell’arte e conservatore istriano Ivan Matejčić, uno studioso straordinario, ho continuato a occuparmi di ricerche parallelamente al mio lavoro.
Un bell’esempio legato al lavoro di conservatore dal punto di vista pratico è legato ai fari lungo la costa croata. Ai tempi del passaggio alla navigazione satellitare, il governo croato aveva deciso di vendere tutti i fari per mancanza di fondi. È stato di conseguenza necessario registrare tutte queste strutture. Ricordo che non ero per nulla contento di questo compito, ma una volta quando iniziammo a visitare queste località capimmo quanto questi antichi edifici fossero straordinari. Iniziammo a parlare del loro valore e del loro potenziale turistico, insistendo sul fatto che la nostra intenzione non fosse che mantenere il controllo sulla loro ristrutturazione e modellazione. Inizialmente si credeva che noi conservatori avremmo ostacolato qualsiasi intervento, ma infine è venuta fuori una bella collaborazione che ha portato alla rivitalizzazione dei fari, di cui molti, un tempo abbandonati, hanno ora nuovamente un equipaggio che se ne prende cura. Ho molti bei ricordi legati a questo lavoro, che è molto creativo”.

Qual è la sua opinione sulle condizioni in cui versa il patrimonio storico-culturale di Fiume, dove una grande parte è legata al suo passato industriale?

“Fiume è particolare. In passato, quando i pochi dipendenti in seno all’Istituto di conservazione erano responsabili di un territorio che si estendeva dall’Istria all’isola di Pago, per il capoluogo quarnerino non c’era mai tempo. In parte è colpa nostra perché tutti noi andavamo volentieri in Istria dove le cose sono più semplici e nei paesi piccoli tutti sanno di che cosa ciascuno di noi si occupa. A Fiume, invece, bisognava ‘educare’ le persone.
Personalmente, sono molto compiaciuto per il fatto che il paradigma sia del tutto cambiato negli ultimi vent’anni. Un tempo, con le nostre visioni di tutela del patrimonio storico-culturale eravamo d’intralcio, mentre ora tutti sono consapevoli del suo grande potenziale. È stato un piacere vedere anche le trasformazioni personali di alcuni politici in questo senso. Un esempio è il complesso Benčić, oggi Quartiere artistico, che tutti i cittadini di Fiume hanno accettato e lo frequentano quotidianamente e dove vengo con grande piacere. Fin dall’inizio dei lavori al suo interno ero impaziente di vederlo in funzione. Oggi trascorro tante ore al giorno nella nostra nuova Biblioteca. Posso dire anche che, senza l’intervento dei conservatori, molte cose al suo interno, come pure nel territorio della città, sarebbero state demolite. D’altro canto, i miei colleghi conservatori hanno dovuto fare diversi compromessi affinché questo complesso venisse realizzato. Posso soltanto dire in conclusione che sono felicissimo di come questo ex complesso industriale è stato messo in funzione, anche perché questo tipo di edifici non è così tutelato all’estero e molto spesso viene demolito senza troppe cerimonie.
Per quanto riguarda i magazzini ferroviari che sono stati recentemente smantellati, non sono felice di questo stato di cose, ma i miei argomenti sono diversi da quelli proposti dagli architetti. Ritengo che a Fiume succeda la stessa cosa come in altre realtà, ovvero che esistano dei lobby che spingono per la conservazione di determinati beni storico-culturali, lasciando altri completamente privi di protezione. A dire il vero, la mia lista di beni importanti per la storia di Fiume risulta diametralmente opposta da quella promossa dall’associazione Pro Torpedo, per fare un esempio, perché sento che il mio obbligo sia proteggere i monumenti trascurati.
Un esempio è il lazzaretto nel quale da decenni si trova la caserma dei vigili del fuoco, anche se si tratta di uno spazio inadeguato a questo tipo di attività. In quegli spazi sarebbe molto più opportuno aprire, ad esempio, una birreria. Questo lazzaretto è stato un diretto investimento imperiale dell’epoca.
Inoltre, vorrei un giorno vedere aperte al pubblico le cappelle, di cui alcune sono state restaurate, dell’ex convento agostiniano in piazza della Risoluzione fiumana. In questo modo si metterebbe in mostra uno strato più antico della storia di Fiume. In generale, sono ottimista per quanto riguarda la tutela dei monumenti in questa città”.

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