Rifiuti elettronici e indice di riparabilità

Dalle cantine di casa nostra alle discariche in Africa i materiali abbandonati minacciano la salute e l’ambiente. Risposte efficaci richiedono la collaborazione delle case produttrici

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Rifiuti elettronici e indice di riparabilità

Ogni giorno Adika si sveglia alle sei del mattino. Negli ultimi otto anni, di buon’ora, è solito chinarsi su un falò fumante, intento a bruciare l’isolamento di plastica che avvolge i fili di rame. Il fumo nero fa tossire incessantemente Adika e l’aria del deposito di rottami puzza di prodotti chimici e gomma incenerita. Adika lavora come burner boy, ragazzo bruciatore, il nome dato ai bambini e ai ragazzi che si aggirano tra le pile di rifiuti elettronici ad Agbogbloshie. Una vasta discarica vicino al centro della capitale del Ghana, Accra, alla ricerca di circuiti stampati e cavi da bruciare. Telefoni abbandonati, computer ed elettrodomestici si estendono per 20 acri nel deposito di rottami che confina con lo slum in cui vive Adika. Lo slum ospita dagli anni ‘80 i ghanesi poveri delle regioni rurali del Paese e la discarica è un’opportunità economica per i giovani, figli di uno Stato che non ha niente da offrire per il loro avvenire. Come gli altri ragazzi con cui lavora, bruciati e intossicati dai fumi, Adika, è emigrato dal nord del Ghana dopo aver abbandonato la scuola a dieci anni. Gli amici che si sono trasferiti ad Accra prima di lui, gli hanno raccontato dei soldi che facevano recuperando rame e altri metalli dall’elettronica abbandonata ad Agbogbloshie.

 

Al deposito di rottami nessuno ha chiesto ad Adika alcuna qualifica quando ha iniziato a lavorare a 18 anni. Ha imparato il mestiere di smontare e bruciare i rifiuti elettronici, e-waste, dai ragazzi che erano lì prima di lui e con cui ha sviluppato un cameratismo nel guardarsi le spalle a vicenda. I ragazzi che bruciano di continuo non hanno soldi per comprare attrezzi o dispositivi di protezione, quindi il loro lavoro consiste nel rompere gli schermi dei monitor usando solo un martello o una pietra per recuperare i materiali preziosi all’interno: rame, oro, acciaio e alluminio. Quello che riescono a recuperare può essere venduto ai commercianti di rottami e ai riciclatori per l’equivalente di 2 sterline in un giorno molto fortunato. È una frazione del salario stimato per una persona in Ghana, circa 4 sterline al giorno, ma è pur sempre uno dei lavori più redditizi ad Agbogbloshie.

La Convenzione di Basilea
Con queste pratiche di sopravvivenza alcune delle sostanze chimiche più pericolose sulla Terra stanno entrando nell’ambiente e nella catena alimentare del Ghana, della Nigeria e della Costa d’Avorio. Sebbene la Convenzione di Basilea, in vigore dal 1992, controlli i movimenti oltre frontiera di rifiuti pericolosi e la loro eliminazione, definendo criminale il traffico internazionale di rifiuti pericolosi verso i Paesi in via di sviluppo, tuttavia continuano ad arrivare. Questo è possibile attraverso una scappatoia della legge che consente di inviare “la merce” nei Paesi Africani spacciandola per elettronica futura di seconda mano.

Secondo un rapporto di due gruppi ambientalisti, Ipen e Basel Action Network, che seguono lo smaltimento dei rifiuti elettronici, le uova di gallina della baraccopoli di Agbogbloshie, contengono livelli pericolosi di diossine e bifenili policlorurati (PCB) 220 volte superiori ai limiti imposti dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare. Si aggiunga anche quanto la produzione di schermi piatti, produca gas serra. Secondo l’organismo delle Nazioni Unite, alcune sostanze chimiche pericolose si introducono nel corpo attraverso il cibo e l’acqua contaminati. In particolare sui feti attraverso l’allattamento e la gravidanza, alterandone lo sviluppo neurologico, ma anche su adulti e bambini con effetti negativi sul sistema cardiovascolare, respiratorio e immunitario.

L’importanza del riciclo
Il Global E-waste Monitor dell’ONU aggiornato al 2020 informa che a livello mondiale sono stati prodotti circa 53,6 milioni di tonnellate di Raee (Rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche) e stima che nel 2030 la quantità supererà i 74 milioni di tonnellate. Le stime, che riguardano il riciclaggio di Raee in Europa, dicono che meno del 40 p.c. dei rifiuti elettronici viene riciclato. Dal sito del Parlamento europeo si apprende che nei diversi Paesi membri dell’UE le pratiche di riciclo sostenibile, e di conseguenza i quantitativi di rifiuti destinati al riciclo, variano molto. Ad esempio, in Croazia, nel 2017, sono stati riciclati più dell’80 p.c. di questa tipologia di rifiuti raccolti, mentre a Malta la percentuale si è fermata poco sopra il 20 p.c. Riciclare garantisce il recupero di materie prime rare contenute in apparecchiature elettroniche ed elettriche, con il risultato di risparmio economico dovuto a una minore estrazione e dunque alla rovina del sottosuolo. Anche l’aspetto etico è da tenere presente. Infatti, i materiali provengono spesso da Paesi in cui non vengono rispettati i diritti umani e dove l’acquisto di certi minerali rari può contribuire a finanziare guerre e conflitti.

Il piano d’azione UE 2020
Il tema della raccolta e del riciclo dei metalli preziosi in essi contenuti è fondamentale per i Paesi europei ed è in linea con l’obiettivo dell’UE di neutralità climatica per il 2050 previsto dal Green Del nel marzo 2020. La Commissione europea ha proposto anche un nuovo Piano d’azione per l’economia circolare. I rifiuti infatti vengono rimessi in commercio, rigenerati, attraverso organizzazioni che si occupano del ripristino delle apparecchiature elettroniche, ma anche messi a disposizione, spesso a titolo gratuito, per chi non ha disponibilità economiche o vive situazioni di emarginazione digitale. Le apparecchiature elettroniche come i portatili e i tablet possono essere riutilizzati ad esempio per la didattica a distanza degli studenti durante i periodi di chiusura per la pandemia o per le famiglie di stranieri che possono così continuare a mantenere un contatto con i parenti rimasti nel Paese d’origine. Una delle aziende che ha messo in campo questo percorso è Dynabook che proprio il 18 marzo, in occasione della Giornata Mondiale del Riciclo, ha voluto sensibilizzare tutte le aziende nello smaltimento sostenibile dei prodotti elettronici. Secondo Massimo Arioli, direttore dell’Unità Business per l’Italia di Dynabook, iniziative come queste sono essenziali. “Molte aziende aggiornano regolarmente la loro infrastruttura IT (tecnologia dell’informazione) e – spiega in un’intervista rilasciata al magazine online Techbusiness – dotano i propri dipendenti di nuovi dispositivi. Questo è diventato ancora più frequente nell’ultimo anno a causa della rapida diffusione dello smart working, con aziende che si impegnano nel fornire gli strumenti adeguati per poter lavorare da casa”.

Questioni di responsabilità
Mentre attendiamo che l’Agenda verde europea diventi realtà e l’Europa si prenda le sue responsabilità sul controllo del traffico di rifiuti pericolosi verso l’Africa, quanto tempo dovremo aspettare per evitare che gli animali, in futuro, “digeriscano” anche i resti dei device che ancora devono arrivare sul mercato?. Quante uova alle diossina dovranno ingerire ancora le persone della baraccopoli di Agbogbloshie nella capitale del Ghana? Quale terreno assorbirà i metalli dai rifiuti elettronici arrivati dall’Europa? I gadget scintillanti di oggi saranno i rifiuti di domani. Ripenso al mio vecchio tablet a al portatile, definito vintage nel 2005 dalla casa produttrice ancora in ottimo stato, che stanno languendo in cantina e che non trovano più il loro uso perché obsoleti nel software.

I produttori non parlano molto del loro giro d’affari quando annunciano la grande novità che sostituirà il modello precedente, per lo più altrettanto valido. La questione ormai è aperta da troppo tempo e sappiamo che non siamo noi a decidere quando un apparecchio elettronico è da sostituire. Per quanto ci sforziamo di trattare bene il nostro smartphone o il nostro computer arriva il momento in cui, come fosse uno yogurt, è da considerarsi scaduto. Si chiama obsolescenza tecnologica o progettazione di un prodotto con una durata di vita intenzionalmente limitata. Avete mai provato a far riparare il vostro televisore? I produttori di elettronica high-tech rilasciano tonnellate di nuovo hardware ogni anno e la marea di schermi e circuiti nei dispositivi scartati ci sta letteralmente fagocitando. La sensibilizzazione dell’Europa su questo argomento è mossa anche da diversi movimenti di attivisti che stanno cambiando questo approccio anche da un altro punto di vista.

L’esempio della Francia
Finalmente quest’anno il governo francese farà da apripista in Europa nel richiedere ai produttori di tecnologia di elencare un indice di riparabilità, un vero e proprio punteggio di riparabilità sulle caratteristiche dei prodotti per gli oggetti di elettronica come portatili o smartphone. Se un dispositivo può essere riparato, allora la sua vita può essere estesa, risparmiando ai consumatori denaro e al Pianeta il peso di così tanti gadget da portare in discarica. I consumatori equipaggiati di questa nuova conoscenza possono compiere scelte migliori su quali prodotti acquistare. La speranza è che più i dispositivi saranno difficili da riparare e più le loro vendite entreranno in crisi, obbligando in questo modo i produttori a cambiare le logiche di produzione. Per risolvere questo problema è fondamentale che le aziende tecnologiche più importanti guidino il cambiamento, altrimenti dovranno essere i governi a farlo. L’Europa con la Francia in testa non è la sola ad aver iniziato questo processo di cambiamento. Il movimento è attivo anche negli Stati Uniti e più di una di dozzina di Stati stanno considerando la cosiddetta legislazione “right to repair”, diritto alla riparazione, centrata sull’idea che i produttori non dovrebbero limitare l’accesso alle informazioni per la riparazione e alle componenti elettroniche permettendo così anche ai negozi indipendenti di riparare i dispositivi rotti.

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