Pronti a intervenire in qualsiasi momento

A colloquio con Marko Andrić, a capo dell’unità di Fiume del Soccorso alpino nazionale, in occasione del 70º d’attività dell’organizzazione che salva vite

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Pronti a intervenire in qualsiasi momento

Il soccorso alpino nazionale (Hrvatska gorska služba spašavanja – HGSS) ha festeggiato lo scorso 25 aprile il suo 70º anniversario. Visto che sono tante le unità presenti su tutto il territorio della Croazia, le attività con le quali è stato celebrato quest’importante traguardo, si sono svolte nel corso di tutto l’anno. Anche se a causa della pandemia ci sono stati meno eventi, e di conseguenza meno interventi, l’HGSS non dorme mai ed è all’erta 24 ore su 24. Curiosi di scoprire da vicino che cosa significa far parte di un’organizzazione di questo tipo, abbiamo interpellato Marko Andrić, a capo dell’unità di Fiume. “Circa 70 anni fa era stata istituita una prima ‘squadra’ di soccorso di cui facevano parte per lo più gli alpinisti, ovvero persone che conoscevano bene il territorio montano. In questo senso venne organizzata anche un’unità a Fiume. Il 12 giugno del 1960 fu fondata la stazione sul Platak che includeva anche i membri dei vari circoli alpini. Il tutto per venire incontro alle necessità del territorio alpino. In seguito vennero fondate le varie unità, ovvero Associazioni a sé stanti, che operano sotto l’egida dell’Alleanza dell’HGSS. Noi, ad esempio, copriamo circa 27 Unità locali autogestite che finanziano il nostro lavoro. Nella Regione litoraneo-montana siamo quindi attivi assieme all’unità di Delnice”, ci ha spiegato il nostro interlocutore.
Al giorno d’oggi, però, l’HGSS non effettua soltanto salvataggi in montagna?
“Seppure da noi questo problema non sia tanto incisivo, il Soccorso alpino è molto attivo anche nelle zone in cui ci sono fiumi, in particolar modo in caso di alluvioni”.

Quanti membri conta l’unità di Fiume?
“Siamo attorno alla cinquantina, anche se quelli costantemente attivi sono una trentina. Del numero complessivo, oltre 30 sono addetti al soccorso puramente alpino. Per arrivare a questo traguardo, però, l’iter è molto lungo. In passato vigevano regole ben precise: non dovevi avere più di trent’anni e non era permesso alle donne di far parte dell’unità. Oggi, fortunatamente, le cose sono cambiate. A Fiume abbiamo un’unità di lunga data vista la sua configurazione geografica e i diversi tipi di terreno. Alla base ci sono persone che provengono dal settore dell’alpinismo o dell’arrampicata e che hanno competenze tali da poter svolgere questo lavoro. Chi non ha l’abitudine di trascorrere del tempo in natura o non conosce i terreni alpini, difficilmente potrà adeguarsi a questo tipo di attività. Per non parlare della speleologia. Fiume offre tre circoli alpini e club di arrampicata, nonché associazioni speleologiche. Questo ci consente di trovare più facilmente nuovi membri. Per poter entrare in questo mondo è necessario che il candidato faccia parte di almeno uno di questi club. Bisogna però tener di conto il fatto che un bravo alpinista non deve per forza essere anche bravo a porgere soccorso; dev’essere competente in questo campo, ma deve avere anche carattere. Il potenziale nuovo membro deve venir proposto da due persone veterane del soccorso alpino, le quali sono chiamate a garantire per il nuovo socio. A differenza delle altre unità, a Fiume i nuovi membri possono venir accolti soltanto se approvati all’unanimità. Una volta promossi, inizia un lungo percorso di minimo due anni. All’inizio si è soltanto collaboratori e si accede al corso di Pronto soccorso per poi procedere con uno dei tre corsi base: quello invernale, quello estivo e quello di speleologia, ovvero di soccorso in queste tre circostanze. Terminato il primo corso, devono passare al minimo due anni affinché il nuovo membro possa accedere all’esame per diventare soccorritore. In questi due anni dovrà inoltre accedere agli altri due corsi e superare l’esame finale. Questo lungo processo richiede tantissimi sacrifici e riguarda soltanto l’educazione. I corsi sottointendono, infatti, come minimo una settimana di ferie, d’inverno e d’estate, mentre quello di speleologia si svolge durante i fine settimana. Bisogna quindi essere a disposizione nei periodi richiesti, indipendentemente dal lavoro o dagli obblighi familiari. Non è facile. Soltanto allora, dopo aver superato l’esame, si può ottenere la licenza di soccorritore alpino. Esistono poi altre specialità per le quali bisogna superare altri test, come ad esempio per il soccorso in elicottero, oppure con i cani da ricerca e altro”.

Questo è soltanto l’inizio del percorso?
“Esatto. Una volta entrati a far parte a tutti gli effetti del soccorso alpino, bisogna dimostrare di essere in grado di portare a termine l’operazione. L’unità tiene molto di conto l’attività di ogni singolo membro, che dev’essere a disposizione 24 ore su 24. Soltanto in particolari circostanze, come ad esempio nell’impossibilità di assentarsi dal proprio posto di lavoro, l’assenza potrà essere giustificata. Tutto il resto passa in secondo piano. Non ci sono scuse. Ogni anno abbiamo 5 tipi di esercitazioni in seno all’unità, e ogni membro deve prendervi parte. Per non parlare dei turni, che richiedono la nostra presenza ai vari eventi che si svolgono ad esempio sul Platak, dove c’è la nostra base, o in altre zone montuose. In questi casi dobbiamo rimanere in loco anche per più giorni. Ad esempio sul Platak, durante la stagione sciistica, mettiamo quotidianamente a disposizione due persone. Considerando il fatto che due anni fa ci sono stati 100 giorni di neve, il conto è fatto. Noi viviamo per il Soccorso alpino e difficilmente troviamo del tempo libero soltanto per noi. Siamo una grande famiglia che funziona alla perfezione 365 giorni all’anno”.

Spesso le modalità di soccorso richiedono sforzi sovrumani

Risulta facile immaginare che nel corso degli anni gli aneddoti sono tanti…
“Ricordo una giornata in cui abbiamo avuto due interventi. La prima telefonata era giunta alle 11 del mattino: un uomo ci aveva riferito di trovarsi ai piedi del Risnjak in zona sud. Erano un gruppo di 30 persone di cui 3 erano precipitate in un burrone. Due si erano aggrappate a degli alberi, mentre con il terzo riuscivano a comunicare senza, però, riuscire a vederlo. Siamo intervenuti tempestivamente in zona e in breve tempo abbiamo tratto in salvo i tre sventurati. Fortunatamente, i primi due non presentavano ferite gravi, mentre la terza, una ragazza, lamentava dolori all’addome. In seguito si capì che si trovava soltanto in stato di shock, mentre gli altri due avevano riportato diverse fratture e una commozione cerebrale.

Mentre eravamo in attesa dell’ambulanza, ecco arrivare un’altra chiamata in cui veniamo informati che tra lo Snježnik e il Guslica una ragazza era scivolata in un burrone ghiacciato e non riusciva a muoversi. Partendo da Gornje Jelenje, abbiamo dovuto organizzare in brevissimo tempo anche questo salvataggio, che richiedeva particolari modalità di trasporto visto che c’era il pericolo di lesioni alla spina dorsale. Questi sono soltanto alcuni degli esempi di giornate movimentate, ma potrei proseguire all’infinito. Naturalmente ci sono anche chiamate divertenti, con richieste che non hanno nulla a che vedere con un salvataggio. Bisogna aggiungere che siamo addetti anche al salvataggio di animali, per lo più di cani che magari finiscono nei burroni, come pure alla ricerca di persone scomparse”.

Quanto sono cambiate le cose in questo 2020?
“Quest’anno non va neanche preso in considerazione, sia a causa del lockdown che per il fatto che tante attività sono state annullate. Di solito abbiamo una cinquantina d’interventi all’anno, per lo più durante l’inverno, quando apre la stagione sciistica. Ora invece questo numero è parecchio calato. Se non altro, abbiamo avuto modo di riposarci un pochino”.

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