La Storia di Jak Tre Dita

Giunto all’improvviso una sera d’inverno riuscì a salvare la preziosa bevanda. Per tanto tempo si raccontò della sua doppia fortuna e anche in questa come in ogni storia la realtà incontrò la fantasia

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La Storia di Jak Tre Dita

Erano già due giorni che veniva giù un’acqua che Dio la mandava. Sandrin, in piedi, dietro la grande vetrata di quella vecchia casa colonica che aveva ereditato, guardava sgomento il diluvio che imperversava. Gli veniva in mente suo nonno, quando tutto inzaccherato tornava dai campi, maledicendo la pioggia che non dava tregua ai giovani pampini delle viti. Soffriva ora nel vedere come le pesanti gocce d’acqua sferzassero i tralci che si piegavano. I lunghi filari, ben curati, che facevano sembrare le dolci colline come fossero pettinate dalla mano sapiente di un gigante, erano la passione di Sandrin. La grande passione, non tanto per il vino che produceva, quanto per l’abilità e la capacità di saper coltivare, capire, curare e intervenire al momento opportuno per rispondere a qualsiasi bisogno delle viti. La pioggia lo rendeva nervoso perché non poteva intervenire; non poteva fare nulla. Poteva solamente guardare quei graffi luccicanti d’acqua che rigavano il cielo plumbeo di nubi minacciose. Per fortuna era l’inizio dell’estate e i grappoli acerbi non avrebbero sofferto più di tanto. Sempre che il tempo avesse smesso di fare i capricci, come quell’anno sembrava si divertisse a fare.

Ricordando il nonno
In quelle giornate, il tempo scorreva lentamente. La campagna già verde sembrava attendesse il vero caldo per esplodere e dare piena vita al grande glicine che ricopriva l’intera facciata della masseria. Quante volte Sandrin, ancora piccolo per “faticare” in campagna, aveva atteso all’ombra del grande rampicante che suo nonno ritornasse dai campi. Aveva per lui sempre una battuta; gli raccontava fatti e momenti della sua giornata di lavoro. Conosceva vita e comportamenti di ogni creatura che abitava le colline e non mancava mai di intercalare i racconti con qualche originale fantasia che lasciava sempre Sandrin perplesso a fantasticare sul fatto.
La pioggia tambureggiante sul tetto di lamiera che riparava il ricovero del trattore e il gracchiare monotono di un angolo di questa che il vento faceva tremare erano gli unici rumori che accompagnavano i pensieri di Sandrin. Gli tornarono alla mente i racconti del nonno. Gli erano rimasti scolpiti nella memoria e nel ricordarli ora che era più avanti negli anni aveva scoperto come ogni racconto, pur essendo intessuto di avvenimenti fantastici, avesse avuto sempre una conclusione dove la realtà sottolineava le motivazioni suggerite dalla fantasia. La storia di Jak tre dita era quella che più volte lo aveva intrigato da bambino.

L’arrivo del forestiero
Jak tre dita era comparso una sera d’inverno nella piccola frazione a valle della scarpata della ferrovia, lungo la provinciale che costeggiava le colline ammantate di nebbia. Era entrato nella piccola osteria aprendo la porta quasi con rispetto, come se entrasse in una casa privata. Taciturno e poco socievole, si sistemò in una casetta lungo il torrente che i bambini della zona aggiravano con cura, affascinati però dal mistero che aleggiava attorno a quel “forestiero”. Era conosciuto da tutti come Jak tre dita. Alla sua mano destra mancavano infatti il pollice e l’indice e si vedeva bene che erano stati amputati a seguito di un trauma. Jak non parlava mai di questa sua menomazione e nessuno si azzardava a chiederglielo. In paese si erano abituati alla sua presenza, anche perché si rendeva utile a tutti nelle più svariate incombenze.
Il lavoro nei vigneti
Il nonno di Sandrin si era accorto che Jak aveva una certa pratica nei lavori che riguardavano la manutenzione e la cura delle viti. Era rimasto meravigliato quando una volta lo aveva aiutato a legare i tralci. Quelle tre dita avevano un’abilità sorprendente nell’annodare e non limitavano assolutamente il gestire della sua mano nel lavoro. Il nonno di Sandrin rimase talmente colpito dalla capacità di Jak che sempre più spesso lo chiamava per un aiuto nei campi, offrendogli infine di assumerlo come dipendente. Fu così che Jak tre dita divenne una presenza sempre più confidenziale nella vita di Sandrin. La storia di Jak uscì una sera come un torrente in piena dalla sua bocca ammorbidita da svariati bicchieri di una barbera che era l’orgoglio del nonno di Sandrin. Dapprima confusa e poi sempre più ricca di particolari, la storia prese a dipanarsi in un crescendo di immagini e di dialoghi che si materializzavano in una sequenza di flash back che la facevano sembrare un film.

Una barbera squisita
“Erano gli ultimi giorni di aprile del 1945. Una divisione della Wehrmacht che si stava ritirando verso Alessandria era momentaneamente acquartierata nei pressi di Bossolasco. Al comando di un reparto preposto alla requisizione dei viveri per il sostentamento delle truppe c’era un tenete austriaco originario del Sud Tirolo che parlava benissimo la nostra lingua. Questo tenente era già da tempo che batteva con il suo reparto il territorio delle Langhe, dove riusciva ancora a requisire i viveri necessari per la divisione. Era come un cane da tartufi, dicevano i contadini. Quando avevano sentore del suo arrivo facevano sparire tutti i viveri che potevano. Il tenente era già da un po’ che aveva scovato, presso una cascina della zona, la cantina dove un vecchio contadino produceva una barbera che lui e gli altri ufficiali della divisione consideravano la quintessenza dei vini che avevano assaggiato in tutta la campagna d’Italia e che la truppa gradiva moltissimo anche se abbondantemente annacquata per esigenze di approvvigionamento. A ogni visita esigeva dei sequestri sempre maggiori e, con infiniti assaggi da damigiane e bottiglie, aveva imparato a scegliere le annate migliori.

Un vino da salvare
Era già qualche mese che, sicuramente impegnato in altri sequestri, il tenente della Wehrmacht non si faceva vedere e il vecchio contadino era preoccupato per la produzione della barbera dell’anno prima che aveva in cantina. Era stata un’annata eccezionale. A marzo aveva imbottigliato più di cinquecento bottiglie che ora erano accatastate assieme a diverse damigiane. Alcuni suoi amici partigiani gli avevano detto che sicuramente il tenente si sarebbe fatto vivo in quanto avevano notizie che la divisione sarebbe transitata proprio da quelle parti. Occorreva salvare quel vino! Non voleva farsi fregare proprio all’ultimo. Ormai la guerra era agli sgoccioli. Lo dicevano tutti e i tedeschi cercavano di rifugiarsi a casa loro, incalzati dagli anglo-americani. Già, ma come fare per nascondere tutte quelle bottiglie e quelle damigiane? Fu Jak a suggerire la soluzione.

La vecchia cava
A circa un chilometro, ai piedi di una scarpata di tufo si apriva una galleria della vecchia cava in disuso da molti anni. Il posto era mascherato da una fitta vegetazione, ma bisognava fare in fretta. Molto in fretta, per salvare quella barbera. Fu ancora Jak a trovare il modo. Con l’aiuto del vecchio, di alcuni garzoni di un vicino podere e di qualche amico procurò un paio di carri trainati da cavalli, trasbordò bottiglie e damigiane sistemandole dentro una galleria della cava. Tapparono l’entrata alla bell’e meglio, mascherarono i segni del trasloco per quanto possibile e attesero gli eventi. Questi non tardarono a verificarsi.
Le bottiglie nascoste
La mattina del 27 di aprile, dall’alto del paese di Bossolasco, fu notata una fila di cinque camion della Wehrmacht che arrancava lungo i tornanti che conducono verso Niella Belbo. Si seppe poi che la divisione tedesca avrebbe dovuto raggiungere Asti per caricare tutti gli effettivi, armi e vettovaglie su due treni che l’avrebbero condotta in Germania. Il tenente degli approvvigionamenti aveva avuto l’ordine di recarsi dal produttore di quella buona barbera e di requisire tutto il quantitativo che riusciva a trovare. Intendevano caricare tutto quel vino sul treno e trasportarlo in Germania. Dalla cascina sentirono i camion arrivare sbuffanti e, subito dopo, gli ordini secchi al reparto tedesco. Jak che parlava con il vecchio in cucina si affacciò all’ingresso della cascina e fu subito apostrofato dal tenente che gli indicava la cantina, mentre i camion facevano manovra in retromarcia con la sponda abbassata pronti a caricare.

La rabbia del tenente
L’ufficiale tedesco che conosceva la strada lo precedette e spalancò la porta della cantina. Guardò dentro. Il tempo di abituare gli occhi al cambio di luce e proruppe in un “dov’è finito il vino”. Pronunciò un’altra violenta frase in tedesco e, mentre si udiva il rumore secco e metallico degli otturatori dei fucili che si armavano, prese per il bavero Jak e lentamente con una flemma che fece impallidire il vecchio rimasto nella cascina tutto tremante gli scaricò in faccia: se entro dieci minuti non mi dici dov’è il vino, do ordine di incendiare la casa e vi faccio fucilare tutti e due. Così dicendo guardò l’orologio, come per sottolineare la promessa. Jak, terrorizzato, iniziò a profferire una selva di scuse, dicendo che l’annata non era stata per niente buona, che il poco vino rimasto era stato portato via dai partigiani; che qualche bottiglia l’avevano barattata in cambio di generi di prima necessità e che, adesso ricordava, i partigiani, imbufaliti perché fornivano il vino ai tedeschi avevano distrutto gran parte delle vigne. Mentre Jak parlava il tenente si guardava attorno cercando con attenzione di scoprire qualche indizio che gli permettesse di capire la sparizione del vino.

Gli spari di pistola…
Fu attirato da alcuni profondi solchi di ruote di carro e, quasi soprappensiero, cominciò a seguirli. Dopo pochi metri fu sorpreso nel constatare che quei solchi conducevano verso una direzione illogica. Tornò indietro guardando con insistenza l’orologio. Dette un ordine in tedesco e due militari presero in consegna Jak e il vecchio contadino. Un sottoufficiale stava comandando nel frattempo un plotone di soldati a prendere posizione. Jak capì che non c’era tempo da perdere e che si stava mettendo molto male per loro. Dopotutto non valeva la pena di essere fucilati per poche bottiglie di vino. Si rivolse all’ufficiale: “Va bene, venga con me”, disse. Il tenente chiamò un graduato e si fece precedere da Jak. Lentamente, facendo finta di non ricordarsi bene la strada, Jak si diresse lungo il sentiero che conduceva alla cava, sempre seguito dai due tedeschi. Arrivato di fronte all’intrico della vegetazione, mentre spostava le fronde, si sentirono all’improvviso scariche di fucile mitragliatore e colpi di moschetto che provenivano dalla cascina. Il tenente, intuendo quello che stava succedendo, gridò schnell, schnell, rivolgendosi al graduato e indicandogli la direzione degli spari. Per nulla impaurito, estrasse la pistola, la puntò contro Jak che lo guardava sbalordito e sparò. Soltanto che la pistola non fece alcun rumore. Tirò il grilletto una seconda volta e non successe nulla. La Mauser si era inceppata.

… e la bomba a mano
Mentre si girava e iniziava a correre in direzione della cascina estrasse dalla cintura una di quelle bombe a mano con il manico di legno in dotazione alla Wehrmacht, l’innescò e la lanciò verso Jak che la vide volare e istintivamente si gettò a terra dalla parte opposta. L’esplosione fu come se si spegnesse improvvisamente la luce. Sentì un forte dolore alla mano destra e mentre perdeva conoscenza udì in lontananza l’eco degli spari che si stavano esaurendo. Un gruppo di partigiani aveva attaccato i soldati tedeschi che si difendevano protetti dai camion in attesa del tenente. Riuscirono a sganciarsi lasciando due automezzi sul posto, con uno di questi due partigiani andarono a raccogliere Jak. Lo trovarono con la mano destra insanguinata, ma era vivo. La bomba a mano gli aveva miracolosamente reciso solamente due dita. Per tanto tempo si raccontò della sua doppia fortuna: della pistola inceppata e della bomba a mano che incredibilmente non l’uccise.
Si sa come vanno a finire queste storie. C’è sempre un ritorno dove la realtà sottolinea le motivazioni suggerite dalla fantasia. Fu così che Jak diventò il salvatore del vino e, come ogni eroe che si rispetti, conquistò il titolo “tre dita”.

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