Rodolfina. Una strada solitaria nel cuore della Velika Kapela

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Rodolfina. Una strada solitaria nel cuore della Velika Kapela

Delle quattro viabili storiche costruite tra il XVIII e l’inizio del XIX secolo sotto il dominio austro-ungarico, con l’intento di collegare la Croazia continentale al Litorale adriatico, la meno nota (e all’epoca attuale anche la meno transitata) è sicuramente la Rodolfina, che congiunge le località di Ogulin e Novi Vinodolski. Un nome emblematico che non le portò fortuna, visto che una quindicina d’anni dopo la sua apertura al traffico, l’erede al trono, figlio di Francesco Giuseppe I ed Elisabetta di Baviera morì suicida a Mayerling, concludendo una vita, tutto sommato, abbastanza tormentata. Nemmeno la strada subì una sorte migliore; nonostante l’ottimo intento di chi la pianificò, non riuscì in alcun modo a ravvivare le attività e il commercio del legname nella regione e dopo un po’ cadde in disuso e praticamente nell’oblio.

Fuori dalla civiltà

È proprio il pizzico di mistero emanato da aree simili, così vicine, ma in effetti fuori dalla civiltà, ciò che mi spinge a percorrerla, oltre alla curiosità di attraversare un territorio di cui conosco solo i margini, ma che dal punto di vista naturalistico offre parecchi spunti interessanti. In ogni caso però, per comprendere i motivi che condussero alla sua costruzione in una regione in precedenza attraversata esclusivamente da rari e impavidi carovanieri, che trasportavano il sale a dorso di mulo verso l’interno e per lo più il grano nel cammino del ritorno, è necessario fare alcuni passi a ritroso nel tempo.

Lo spopolamento

L’occupazione progressiva dei Balcani da parte degli Ottomani, iniziata tra il XIV e il XV secolo, aveva sconvolto, oltre al resto, anche l’assetto demografico di parecchie aree, creando soprattutto nelle fasce di confine (d’altronde in continuo spostamento), uno spopolamento che nemmeno l’epoca attuale è riuscita a compensare. Escludendo le zone impervie e aride, il fenomeno aveva investito, tra le altre, anche la vasta vallata di Ogulin, d’importanza rilevante dal punto di vista geostrategico in quanto luogo di demarcazione, incontro e collegamento tra l’area subalpina, balcanica, adriatica e pannonica.

Splendidi boschi e terra fertile

Fertile e circondata dagli splendidi boschi della Velika e Mala Kapela, ha offerto sin dall’antichità condizioni di vita molto favorevoli, mentre all’epoca attuale potrebbe costituire, tramite un’infrastruttura adeguata, anche un notevole potenziale turistico. Purtroppo però, per tutta una serie di motivi, il territorio ha continuato a spopolarsi, per cui non si sono potute ovviamente ricreare nemmeno le attività umane che un tempo vi fervevano, a partire addirittura dai lontanissimi tempi della preistoria.

Incrocio di culture diverse

Fu proprio la sua posizione, segnata da un continuo transito, che ne fece un punto di contatto cruciale tra culture diverse, come testimoniano i ricchi reperti archeologici rinvenuti in loco. Utensili in pietra del neolitico, attrezzi ricavati da corna animali dell’età del ferro e frammenti di ceramica con ricche ornamentazioni appartenenti a quella del bronzo indicano una presenza umana in costante evoluzione. Dal IX secolo a.C. sino all’arrivo dei romani vi fiorì la civiltà dei Giapidi transalpini, collegati, attraverso vie e valichi tra le foreste dei monti Albii (oggi Velika e Mala Kapela) al resto della stirpe che popolava invece l’attuale Lika.

L’ascesa dei Francopani

Nell’anno 35 a.C. Ottaviano Augusto vinse l’ultima resistenza di questa tribù illirica, sottomettendo l’abitato fortificato di Metulum, che gli storici collocano sul colle di Viničica presso Josipdol, e l’intera area divenne parte dell’Impero romano. Il nuovo dominio portò con sé usi e credenze diverse, per la qual cosa le necropoli erette nei secoli successivi, ricche di manufatti e ornamenti, rappresentano una fonte importantissima per seguire l’evoluzione materiale e spirituale delle genti che abitarono la vallata e le sue adiacenze in quelle epoche lontane. L’arrivo dei popoli slavi e il successivo periodo del Medioevo si conclusero con l’ascesa dei Principi di Veglia, che successivamente presero il nome di Francopani.

Il castello di Ogulin

L’interessante castello-fortezza d’epoca rinascimentale di Ogulin, a forma di quadrilatero irregolare, collocato strategicamente sopra il primo tratto del sistema sotterraneo del Đulin ponor-Medvedica si deve infatti a Bernardin Frankopan, che lo fece erigere alla fine del XV secolo dopo la distruzione di Modruš (noto anche col nome di Castrum Thersan et civitas Modrussa). La sua funzione difensiva durò fino al 1873, anno in cui la Vojna krajina venne demilitarizzata. Restaurato, dal 1967 funge da Museo civico: oltre alla collezione archeologica, etnografica e alpinistica, ospita anche una sala dedicata alla famosa scrittrice Ivana Brlić-Mažuranić, nata nella cittadina nel 1874, ossia proprio nell’anno in cui venne costruita la Rodolfina. Tra i reperti esposti, resto piacevolmente sorpresa dalla copia di un libro che avevo da bambina; si tratta della traduzione in italiano della fiaba Neva Nevičica i Sunce Djever (Compare Sole e Comarina Candida), del compianto Erio Franchi, che fu, tra l’altro, uno dei primi direttori de “La Voce del Popolo”.

I balli delle streghe

Il Castello di Ogulin viene inoltre considerato il punto di partenza della Rodolfina, che nel suo primo tratto attraversa la valle e poi inizia a inerpicarsi lungo le falde del Klek, il mitico monte che si erge sul bordo occidentale e che dal punto di vista botanico è un vero e proprio scrigno di piante alpine rare ed endemiche. Visitato già dal Valvassore nel 1689, che fornì il primo disegno della sua caratteristica sagoma e delle sue pareti, ospitò in seguito una folta schiera di nomi illustri che si dedicarono allo studio accurato del suo particolare mondo vegetale. Il monte è avvolto anche da numerose leggende sui balli delle streghe che ne sorvolano i picchi il giorno di S. Giovanni Battista, storie fantasiose probabilmente ispirate dai potenti fenomeni atmosferici che si manifestano nelle notti tempestose d’inizio estate, quando il massiccio isolato attira a sé dense nubi e potenti tuoni e fulmini.

La «Visibaba»

A Bjelsko, prima di lasciare il Klek alle spalle, ci fermiamo un attimo, sotto una pioggia scrosciante, ad ammirare la “Visibaba”, il gigantesco masso calcareo lavorato dall’erosione, che si erge solitario in mezzo a una vasta radura. Successivamente, facciamo sosta nel polje carsico di Jasenak, a circa 600 metri d’altezza, da cui si dirama la strada che porta all’ex Centro olimpico della Bjelolasica. In completo abbandono, evitiamo quasi di osservare ciò che resta di quello che fu un punto movimentato, meta di numerosi amanti degli sport, soprattutto invernali (me compresa). Da qui si sta un attimo a raggiungere a fondo valle, la splendida falda delle risorgive e il Vrelo, che stanno eruttando copiosamente acqua, per la gioia di una coppia di martin pescatore, scatenati nella caccia subacquea.

Case forestali in rovina

Tornati sulla strada maestra, si continua a procedere nel fitto del bosco; da questa si dipartono a mano a mano numerosi sentieri montani: quello diretto alle Bijele e Samarske stijene, alle Kolovratske e al valico di Vratnik, a cui si allaccia il Velebitski planinarski put. Lungo il percorso, in parecchi punti sono ancora ben visibili i massicci paracarri in pietra e due vecchie case forestali che si stanno avviando alla rovina. La strada tocca il punto più alto a 1083 metri d’altezza, sul valico chiamato Banska vrata. Dopo un ulteriore tratto, il bosco di faggi e pecci diventa gradualmente un carpineto e quindi cessa bruscamente: lo sguardo, abituato all’ombra, ora è libero di spaziare lungo immense praterie verdi dove pascolano mandrie di pecore e cavalli allo stato brado, mentre il mare e il Velebit fanno da sfondo.

Una gemma nascosta

Si fa quindi una sosta a Ledenice per visitare l’antico camposanto dalla caratteristica forma circolare, ancora tutto da studiare dal punto di vista archeologico, visto che il primo nucleo dell’abitato, di origini millenarie, sorgeva nei pressi della strada romana che da Tarsatica, attraverso la Vallis vinearia, proseguiva per Senia e la Dalmazia. La macchia mediterranea e i muretti a secco ci accompagnano fino alle prime case di Novi Vinodolski; non sembra quasi vero di esserci arrivati percorrendo da Ogulin soli 70 chilometri. È indubbio comunque, che un territorio di inusuale bellezza continua a restare (almeno per ora), una gemma nascosta a due passi dalle frequentatissime località balneari della costa.

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