Minareti, stelle e strisce

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Minareti, stelle e strisce

Il sole sta tramontando dietro ai monti che circondano Prizren. Il caldo torrido si fa da parte per dare spazio alla fresca brezza serale, iniziano le prime proiezioni all’aperto del più grande Festival del film documentario in Europa. Ci sono come ogni anno migliaia di giovani, ci sono pure giornalisti di tutte le testate più apprezzate al mondo. Il cinema sotto le stelle è sempre stato molto suggestivo e romantico, ideale per dare un certo peso alle proiezioni. A Prizren, in Kosovo, accade però un qualcosa che, pur appartenendo alla realtà di questi luoghi, continua a suscitare la curiosità dello straniero. Ogni sera per qualche minuto la proiezione finisce in secondo piano, nessuno riesce più a seguirla, è impossibile farlo. I minareti della città si scatenano con grande vigore, invitando i fedeli alla preghiera.

Divari etnici

Nulla di strano, il Kosovo è un Paese al 90 p.c. musulmano. La guerra negli anni ‘90 ha radicalizzato ulteriormente il clima politico, originando grandi divari etnici. Un altro dato che colpisce è pure il fatto che il Kosovo è il Paese europeo con il maggior numero di ‘foreign fighters’pro capite in Siria. Nel 2014 quasi un centinaio di persone sono finite in carcere per aver reclutato o in qualche modo dato appoggio all’ISIS, tra le quali pure l’Imam della moschea centrale di Priština.
Nel Paese delle contraddizioni emerge un altro elemento interessante: gli Stati Uniti godono dell’approvazione quasi plebiscitaria dei cittadini del Kosovo. Il 70 p.c. della popolazione appoggia l’attuale governo americano, mentre la media mondiale è del 30 p.c.
In Kosovo l’America è considerata alla stregua di una religione: ci sono statue di Bill Clinton, vie intestate a George W. Bush, c’è la Wesley Clark Street, il Bill Clinton Boulevard e la Bob Dole Street. Su YouTube si può trovare perfino un reportage su un uomo che ha affibbiato il nome Donald Trump al suo lupo addomesticato, perché è sicuro che in tal modo Trump lo proteggerà. E non dimentichiamo che la pagina Facebook dell’Ambasciata americana a Priština ha 300.000 follower, praticamente uno ogni sei kosovari.
Insomma, il Paese che recluta combattenti per l’ISIS è follemente innamorato degli USA.
Può sembrare confuso, il Kosovo, ma non dobbiamo dimenticare quanto fu tormentato questo Paese che è indipendente dal 2008, mai riconosciuto da 5 paesi UE( Spagna, Slovacchia, Romania, Grecia, Cipro) e dalla Serbia. Qui il coinvolgimento degli USA è stato notevole: nel 1999 hanno inviato 7.000 soldati a vegliare sul processo di transizione dallo status di Provincia serba a Stato indipendente. Il Kosovo oggi è un Paese a metà: insabbiato in un processo di transizione mai veramente finalizzato. È di dominio pubblico l’inadeguatezza delle istituzioni agli standard europei, lo confermano pure i report di organizzazioni quali “Freedom House”. La corruzione è presente a tutti i livelli, l’economia per lo più informale e perfino il sistema di previdenza sanitaria è di carattere semi-privato.

Il sogno americano

Questo Paese ha bisogno del sogno americano, ma diverso da quello che sta vivendo, ispirato un po’ troppo ai film western. A quasi vent’anni dalla fine del conflitto serbo–kosovaro le due parti si sono incontrate più volte per trovare una soluzione quanto meno esplosiva per la situazione in cui si sono ritrovati entrambi i Paesi. Il processo meditato dall’UE, ha però dato pochi risultati. A nord del fiume Ibar, in un territorio oggi abitato da una maggioranza serba, Priština non è mai riuscita a stabilire la sua autorità.
Così abbiamo visto sedersi al tavolo delle trattative un ex ministro dell’informazione di Slobodan Milošević, vale a dire l’attuale Presidente serbo Vučić e uno dei capi della guerriglia kosovara, l’attuale Presidente albanese Thaçi.
Ora che gli USA hanno dato l’ok alla possibilità di un trattato sullo “scambio di territori” con la Serbia e mentre l’Unione Europea tentenna, sembra si sia riaperta la possibilità di un nuovo accordo sul Kosovo.

Ridisegnare i confini. Si può?

Gli occhi della comunità internazionale si sono focalizzati sul progetto volto a ridisegnare i confini nazionali e gli esperti si dividono tra chi in tutto ciò vede un barlume di speranza per la normalizzazione dei rapporti nell’ultimo vero focolaio di instabilità in Europa e chi, d’altra parte, teme che le trattative si trasformino in un vaso di Pandora, scatenando un’ondata d’instabilità mai vista a livello internazionale. I secondi non hanno tutti i torti.

Il caso della Georgia

Basta ricordare che cosa è successo in Georgia nel 2008, dopo la proclamazione dell’indipendenza del Kosovo. Dopo essersi adoperata per salvare l’unitarietà territoriale della Serbia e dopo essersi opposta all’indipendenza del Kosovo, la Russia ha cambiato disco, appoggiando apertamente l’Ossezia nella guerra d’indipendenza contro il governo georgiano. Lo ha fatto richiamandosi alle pratiche internazionali attuate in Kosovo.
L’unità d’intenti tra il Kosovo e gli Stati Uniti potrebbe non bastare questa volta. La posta in gioco è alta. L’Europa ha lasciato per troppo tempo agli Stati Uniti e alla Russia la possibilità di atteggiarsi da leader indiscussi nei Balcani. L’Unione Europea non essendo un soggetto politico monolitico ha dovuto stabilire regole ferree per tutti gli Stati membri, onde evitare grossi problemi strutturali. Queste regole, se applicate al laboratorio di demarcazione del confine tra la Serbia e il Kosovo, potrebbero portare nel tempo a un disincanto nei confronti degli “alleati” occidentali in Kosovo.
Con gli USA presi da ben altri problemi e un’ Europa già intaccata da conflitti interni e poco propensa a legalizzare ciò che parecchi Paesi membri combattono in casa (ricordiamo la Spagna e la regioni semi-indipendenti della Catalogna e dei Paesi Baschi), il Kosovo potrebbe essere costretto a trovare un nuovo alleato per “sopravvivere”. Un alleato che magari non richiederebbe la costituzione di una Corte internazionale per i crimini di guerra compiuti dagli esponenti della guerriglia di liberazione kosovara, cosa finora lasciata in disparte. Magari anche un alleato di manica larga che rispecchi usi e costumi della comunità locale. Gli Emirati forse? Oppure il sogno turco del dominio nel sud-est europeo ?
Non bisogna dimenticare però che cosa è successo nelle aree musulmane della Bosnia nel dopoguerra degli anni Novanta. Gruppi di persone profondamente ferite da una guerra fratricida, accomunate dalla religione, sono cadute preda di organizzazioni islamiche e radicali importate dal Medio Oriente che, grazie a generose elargizioni e promesse di un futuro migliore, hanno creato piccole enclavi islamiche nel cuore dell’Europa.

Un futuro europeo

Finché ci sarà speranza in un futuro europeo dello Stato più giovane d’Europa, fino a quando le casse europee continueranno a stanziare fondi per la ristrutturazione del Kosovo e, magari, finché ci sarà un appoggio, anche se lontano, degli Stati Uniti, le moschee resteranno meramente dei luoghi di culto. Se queste prerogative venissero a mancare il Paese potrebbe rinchiudersi in sé stesso, appoggiandosi esclusivamente sull’aiuto dei pochi alleati rimasti, molto diversi e molto lontani dalle tradizioni democratiche dell’occidente.
Aleksandar Vučić e Hashim Thaçi hanno iniziato un processo politico molto pericoloso per i due Paesi. Se tralasciamo gli show politici messi in atto dai due leader ad uso esclusivo dei propri elettori, l’unica questione importante che rimane da definire è se la comunità internazionale si dichiarerà disposta ad accettare modifiche dei confini. Una proposta presentata da due istigatori alla guerra, che ora vogliono convincere le istituzioni internazionali di essere, in realtà, ‘colombe della pace’.

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