L’osservatorio di Alphagoss

Ricordi lontani di esperienze vissute in una trattoria im mersa nell’ombra di un glicine. Tra gli avventori, un pittore con il suo calice di barbera e un Professore che doveva aver vissuto una vita piena di studio e di lavoro...

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L’osservatorio di Alphagoss

La via era una lunga, stretta e tortuosa discesa che portava al mare. Prima di raggiungere la spiaggia, una piccola piazza ingombra di barche lasciate lì a marcire dimenticate da chissà quali proprietari ospitava una trattoria nascosta in parte da un grosso glicine che, tortuoso, saliva a cercare la luce e inondava il giardino dei suoi lunghi rami. D’estate, il fiorire azzurro dei grappoli del glicine e il loro profumo avvolgevano d’ombra il pergolato dal quale lo sguardo indovinava il ritmico via vai della risacca della baia nascosta dietro l’opaca vetrata della cucina. La trattoria, nel tardo pomeriggio, prima dell’ora di cena, era il punto di ritrovo di anziani pescatori, di qualche perditempo e di uno strano personaggio che noi chiamavamo il pittore, anzi “maestro”, come lui voleva essere chiamato.

 

Il «maestro» e il Professore
Solitamente, anche noi, ci facevamo una capatina a curiosare. Seduto sempre al solito tavolo, il “maestro” ordinava immancabilmente “un mezzo del solito”: un barbera scuro, di un rosso corposo che “u Dria”: il padrone della trattoria, spillava da una botte umida e semisepolta da inutili cose nella scura cantina aldilà della baracca degli attrezzi. Il “maestro” si faceva portare non il solito bicchiere comune a tutti gli avventori, bensì un calice che noi ormai avevamo inserito nel comune dialogare come “il cristallo”. Infatti, sosteneva il “maestro”, il vino non si poteva gustare se non bevuto in un bicchiere a calice di puro cristallo.

Al suo “cristallo”, verso l’imbrunire, si affiancava sul tavolo spoglio un altro calice, quasi all’unisono con l’arrivo di un altro personaggio. Era questo un distinto signore attempato, con una chioma bianca e fluente che il “maestro” più volte ammise d’invidiare. Lui, che era quasi calvo e che perennemente portava uno zucchetto di lana, sia d’estate che d’inverno. Questo personaggio si presentava a tutti i suoi interlocutori come Professor Canton. Sapevamo che lavorava presso un laboratorio elettronico in cima alla salita e che doveva aver vissuto una vita piena di studio e di impegno. Aveva una mania: quella di parlare di sé stesso sempre in terza persona, quasi a nascondere responsabilità o diretti coinvolgimenti nelle sue azioni che dovevano essere state certamente dense di pathos e di mistero.
Avventure salgariane
Il “maestro”, al suo arrivo, apriva una valigetta di legno colma di tubetti di colore ad olio, di pennelli e altre boccette. Come fossero collegati da una sorta di appuntamento automatico, il Prof. Canton si metteva in posa con il profilo rivolto ad essere illuminato dalla luce soffusa che radeva dalla porta a vetri e il “maestro”, dopo aver centellinato il suo ennesimo calice di cristallo, riprendeva a dipingere il ritratto del Professore interrotto il giorno avanti. Aveva fatto il ritratto ormai a tutti gli avventori abituali della trattoria e le uniche ricompense che aveva avuto per i suoi lavori erano state alcune bottiglie di vino.
Oggi, ripensando a quei giorni lontani, a quel periodo tranquillo e a quella trattoria che ho visto purtroppo trasformarsi in un parcheggio automobilistico a ore, mi pare di risentire quell’umido profumo di aromi e di vino che impregnavano i muri e le ruvide panche di quell’oasi dei sentimenti giovanili e mi sembra di udire ancora la voce stridula e sottile del Professor Canton che raccontava sprazzi della sua vita, con quel distacco e quella certa signorilità che veniva evidenziata dalla sua mania di parlare in terza persona. Come fossero avventure salgariane vissute in un futuro che allora pareva fantascientificamente incredibile e che spesso mi facevano rimanere inchiodato e affascinato, tanto da non accorgermi del sopraggiungere del tramonto, ora in cui immancabilmente dovevo raggiungere casa.

Gli anni Settanta
Il Prof. Canton giocava con un dialogo tecnico, forbito e impreziosito da terminologie affidate al futuro dalla sua intelligenza di scienziato elettronico. Sicuramente il racconto di episodi o di pensieri proposti con il dialogo in terza persona, dava più spazio, maggiore fascino e credibilità ai fatti e alle azioni che, ancor oggi, mi paiono concretizzarsi in quel misterioso mondo della narrativa di fantascienza. Soltanto che allora eravamo negli anni Settanta. Già, i Settanta del secolo scorso.

Un racconto in terza persona
“L’osservatorio di Alphagoss era tranquillamente immerso nel verde silenzioso della pineta. Poche persone ne conoscevano la sua ubicazione e quasi nessuno la sua esatta funzione. Il ronzio dei computer e il ticchettio nervoso della videoscrivente, collegata alla sonda-laser, che giorno e notte scrutava il nero degli spazi siderali, erano ormai diventati dei suoni di routine, privi com’erano di alterazioni emotive, per le squadre di turno che si alternavano al servizio di allerta. Di quando in quando, a rompere la monotonia di quel ‘suono-silenzio’, era il gracidare dell’interfono collegato all’osservatorio satellite situato presso la base dei minisommergibili, che chiedeva il punto-stasi per i successivi conteggi alla rovescia, nell’eventualità di un ipotetico allarme e per fare fronte alle valutazioni calcolate di pericolo. Due robot, programmati per il servizio ristoro degli scienziati e del personale tecnico, rotolavano sulle sfere di nylon rispondendo alle solite chiamate in codice. Veloci e servili, portavano nei box d’ascolto gli usuali energetici che aiutavano a sopportare quel lavoro monotono e stressante.
Le culture sottomarine
L’osservatorio era stato costruito alcuni anni prima, attorno al 2020, dopo una lunga battaglia condotta in sede di commissione presidenziale, più per accontentare un gruppo di scienziati appartenenti alla sfera politica spaziale, che per esigenze effettive di pericolo ambientale. Come sempre succede, pressioni provenienti dal Centro Operativo della Sicurezza Interplanetaria, fusosi per esigenze di verifica economica, con i Servizi di Controllo Biomarino, avevano trasformato l’osservatorio imprimendogli una direttiva che prevedeva anche la sicurezza e il controllo delle culture sottomarine. Queste culture, erano divenute fonte di enormi spese sperperate in esperimenti che venivano giustificati dalla realizzazione degli impianti installati nella base dell’osservatorio e dall’impiego della crescente mano d’opera specializzata nella tecnologia biomarina.

Due direttori
Coabitavano così, nell’osservatorio, due direttori. Erano attorniati da altrettanti staff di scienziati che provocavano continui attriti di competenza, alimentati dalla lotta burocratica dei due direttori, tesa al supremo controllo del complesso scientifico. Da tale diatriba, che ormai coinvolgeva la totalità del personale, era estraneo solamente il Prof. Nino Canton. Il Professore era un bionico di grande fama e molto preparato. La sua fama e la sua competenza, lo tenevano fuori dalle meschine beghe che si intrecciavano nell’osservatorio. Il Prof. Canton si trovava, quel giorno, come sempre dimentico della sua vita privata, nel settore ‘rosso’, così contraddistinto perché considerato estremamente pericoloso per i non specialisti in quanto vi venivano manipolate sostanze a base di ioni radioattivi: necessari per elaborare un nuovo processo di ecosintesi, collegato al controllo delle sfere d’influenza delle bioculture sottomarine. Lo scienziato, seduto nella sala del quadrante di verifica, di fronte al trasduttore d’impulsi ionici, stava teleanalizzando la nuova base di cultura installata sulla batimetrica degli ottocento metri, lungo il Canalone di Trexor.
Un’unica anomalia
Il generatore di sintesi, già dal giorno precedente, cortocircuitava i dipoli primari, in una sequenza anormale. Molto strano, pensava il Prof. Canton. Anche se la sequenza risultava coerente con le ipotesi di progettazione, che prevedevano una verifica analitica in presenza di anomalie. La soluzione che il Professore aveva adottato, dopo lunghe insistenze presso la direzione tecnica dell’osservatorio, aveva modificato lievemente, ma in maniera efficace l’acquisizione dell’imprint dei dati al processore. Aveva lasciato aperta un’unica via di ipotesi al calcolatore elettronico: la valutazione di un’unica anomalia. La presenza di germi che non avevano mai intaccato la sfera della biochimica conosciuta. Questa eventualità era stata appositamente creata dall’elaboratore elettronico, per un’ipotesi che escludesse processi terrestri. Ora, però, sembrava talmente anomalo il comportamento del generatore di sintesi che il Professore ritenne improbabile una verifica tramite le vecchie schede della capacità conoscitiva.

 

Il divaricatore di memoria
Era infatti da scandagliare un dato immagazzinato nella memoria, che richiedeva inoltre un calcolo complesso per l’estrapolazione dei dati e, talmente al di fuori delle probabilità, che il Prof. Canton non si decideva a sottoporlo al divaricatore di memoria. Sapeva oltretutto che il picco di energia, che si sarebbe generato, avrebbe potuto influenzare negativamente l’effetto schermo-tensione di tutto il settore interplanetario, con tutte le conseguenze che ne sarebbero derivate a causa di quell’assurdo conflitto di competenza che esisteva tra i due direttori dell’osservatorio. La sequenza cortocircuitale dei dipoli primari era, nel frattempo, entrata in fase di ripetizione periodica e questo stava a significare l’esclusione di un ipotetico, seppur possibile guasto per quelle sofisticatissime apparecchiature.
Cosa poteva essere successo dunque, nelle sfere d’influenza: laggiù, sulla batimetrica degli ottocento metri. Possibile, si chiedeva il Prof. Canton, che nel Canalone di Trexor potesse verificarsi l’unico, quasi impensabile e recondito inconveniente, supposto dalla memoria del generatore di sintesi? E, perché proprio nel Canalone di Trexor, così insignificante rispetto ai più segreti punti di sperimentazione terrestri? La sua mente di scienziato lavorava in progressione. Separava e catalogava ipotesi, ma ritornava immancabilmente all’unica possibilità supposta all’inizio. Quasi con rabbia, non riuscendo a focalizzare esattamente la causa, mentre come in un flashback gli scorrevano nel cervello le mille situazioni della sua vita di studioso, inserì la scheda magnetica che richiedeva il calcolo neutronico per l’estrapolazione dei dati da proiettare nella memoria del divaricatore elettronico. Un progressivo calo di tensione nei circuiti d’ascolto, mise subito in allarme il settore interplanetario. Era un fatto così insolito che lo staff di quel settore impiegò alcuni minuti per analizzare i dati del calcolatore che sfornava informazioni sull’attivazione dei terminali sensitivi, collegati al centro operativo di settore. Era previsto, per fortuna, un black-out fonico in tale particolare situazione. Serviva per permettere agli strumenti sensibilissimi del settore ‘rosso’, di spaziare in assoluta assenza di interferenze. Il Prof. Canton interruppe l’alimentazione al laser del circuito gravitazionale che serviva il videoanalizzatore. Improvvisamente, apparve sullo schermo tridimensionale, la zona centrale della biocultura situata nel Canalone di Trexor. L’ombrello automatico di visualizzazione, aveva già indagato sulla possibile ricezione anomala, scartando con velocità sonica, tutti i picchi contrastanti delle frequenze note. Sullo schermo apparve così il ‘germoglio campione’. Nel disegno tridimensionale, doveva apparire di colore verde intenso e spoglio di vegetazione, mentre la ionoscopia doveva rivelare il flusso costante della linfa arricchita dalle scorie di plutonio. Questo si aspettava di vedere il Prof. Canton.

 

Il «germoglio campione»
Invece, mentre l’elaboratore di impulsi genetici formulava ipotesi diversissime e mai riscontrate in sequenza alternativa costante, il ‘germoglio campione’ apparve di colore giallo, nei rari tratti ancora non coperti da un filamento rossastro. Il volto del Prof. Canton era illuminato dall’eccitazione di una nuova scoperta e, nel medesimo tempo, lievemente terreo per l’ansia di ciò che era costretto a dedurre dai calcoli memorizzati e forniti dal generatore di sintesi. Si assicurò che il black-out fonico fosse ancora attivo e trasmise immediatamente il segnale di via al circuito d’allarme, convogliandolo direttamente alla base dei minisommergibili. Gli apparve, in codice sul piccolo schermo alla sua destra, il segnale di ‘pronto operativo’. Significava che già due mezzi avevano salpato. Trasmise simultaneamente il contatto che attivava lo schermo potenziometrico della base subacquea e il segnale che avvertiva gli equipaggi dei minisommergibili circa la probabilità di un processo involutivo cui sarebbero andati incontro, entrando nella zona delle culture. Significava che, con ogni probabilità, avrebbero dovuto autodisintegrarsi una volta compiuta la missione di verifica. Solamente i dati automatici della trasmissione, direttamente inseriti nella memoria del trasduttore, avrebbero testimoniato della loro eventuale scoperta. Gli uomini erano selezionati e istruiti per questo. Non erano suscettibili di remore o di tentennamenti. Ciò però non impediva al Prof. Canton di pensare come un essere umano: con una punta di pietà e compassione assieme. L’umanità dimezzata dall’ultimo sconvolgimento, aveva peraltro il diritto e il dovere di autogestirsi per la conservazione della specie, mentre la Terra era chiamata ad affrontare un nuovo ciclo di esistenza. Così ragionava il Prof. Canton.
Quel sentimento di pietà
All’improvviso: un punto luminoso, seguito da un altro sulla parte alta dello schermo geodesiano, lentamente aumentavano d’intensità, per poi sparire di colpo. Il telegoniometro segnalava con la freddezza di uno strumento, un dato impresso sullo schermo. Indicava la posizione, l’ora, il minuto, il secondo, della scomparsa dei minisommergibili. Automaticamente, il Professore fissò con uno sguardo professionale il computer: confermava l’inserimento in memoria di tutti i dati che i cervelli elettronici dei piccoli mezzi subacquei avevano trasmesso prima di autodisintegrarsi. Il Prof.Canton non aveva più né il tempo, né la possibilità di soffermarsi su quel sentimento che nei testi elettronici era conosciuto con il nome di pietà. Un’altra era si sormontava al presente, ed era già futuro. Il futuro di un pericolo sconosciuto al Prof. Canton, ma che il generatore di sintesi stava per rivelare all’umanità.”

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