Ardesia del Tigullio, la versatile pietra ligure (foto)

Era ed è la migliore di tutte, per la particolare consistenza della sua componente chimica, che permette ai maestri del settore una lavorazione tipica, indistruttibile nel tempo e nell'uso. È grazie al lavoro certosino di questa manodopera, a cui abbiamo assistito provando ammirazione, che questa lunga tradizione è riuscita e sta riuscendo a mantenersi nel tempo

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Ardesia del Tigullio, la versatile pietra ligure (foto)

L’ardesia è la tipica pietra ligure del Tigullio. Questa regione particolare del versante ligure della Regione Ligure di levante ne produceva un tempo enormi quantità, gran parte richieste da tutto il mondo, anche se ne esistevano altre produzioni di pietre simili, in Svizzera, in Inghilterra, in Germania, in Francia e addirittura in Brasile. Naturalmente l’ardesia del Tigullio era ed è la migliore di tutte, non per questioni di bandiera (per il sottoscritto), ma soprattutto per la particolare consistenza della sua componente chimica che le permetteva e le permette tutt’ora una lavorazione tipica e soprattutto indistruttibile nel tempo e nell’uso.

Le risorse estrattive di questa pietra dal colore nero scuro e così malleabile per la riuscita di pregevoli risultati, sono state di grande utilità per moltissimi anni nei commerci e nella lavorazione praticamente onnipresente dell’arte e soprattutto dell’edilizia in tutti i campi. Dal punto di vista geologico l’ardesia del levante ligure è una roccia sedimentaria che ha subito un processo metamorfico. Infatti, in origine era costituita da fango sedimentario, argilloso e carbonatico.

In seguito ha subito un’evoluzione geologica lunghissima che risale alla deformazione delle Alpi, al tempo della loro fragilità, sino alla deformazione appenninica e quindi più duttile. Fu un processo diagenetico che portò alla presente formazoine dell’attuale sequenza dell’ardesia. Dai diversi studi, ma soprattutto dall’osservanza della sequenza litologica che costituisce i “banchi” e gli strati che troviamo adoperati industrialmente e che vengono chiamati dai “cavatori” con il nome di “filoni”, l’ardesia acquisisce la denominazione in base alla sua consistenza e alla sua resistenza con il nome di “soletta” quando viene trattata meccanicamente nello “spacco”.

A questo punto sarebbe da occupare l’intero giornale, se volessi raccontare gli innumerevoli prelievi, passaggi, modifiche e soprattutto i nomi che vengono usati in un gergo difficile e complicato, ma assuefatto ormai all’estensione; alle vene calcitiche, delle gibbosità prodotte dai noduli, degli spessori, del colore, della flessibilità e così via. Voglio perciò raccontarvi ciò che succedeva un tempo. Non molti anni da, però: quando comparvero le macchine per fare il lavoro difficile, ma che non tutte le cave possedevano.

Tanto per cominciare, occorreva scoprire la presenza del banco ardesiaco. Ovviamente, lunga era la ricerca del terreno da parte degli specialisti. Quindi, se possibile, veniva aperto l’imbocco di una fossa, altrimenti venica scavata una galleria destinata al transito dei carrelli da trasporto. Si scavava sino a raggiungere la veniva considerata buona. A questo punto iniziava il verto lavoro: faticoso, ma necessario alla sicurezza di tutti i lavoratori. Veniva creata una volta con l’uso di tre fornelli da mina. Dunque l’esplosivo aveva un’importanza fondamentale ed era, a quei tempi, non molto sicuro. Veniva ricavato un blocco, in un ambiente umido e nebbioso. Il blocco di ardesia tagliato da un filo scorrente e attraverso un verricello, veniva poi caricato sul carrello che lo trasporterà, a spinta d’uomo, verso l’esterno.

Il blocco grezzo compiva e, per in realtà, compie ancora oggi un percorso di grande attenzione sino al suo arrivo al laboratorio. Il blocco dovrà venire inumidito, ricopetto con la “bolacca”, sorta di fango formato da acqua e polvere di ardesia e subito ricoperto da un telo impermeabile. Inizierà così la lavorazione dell’ardesia, che verrà trasformata incredibilmente dalle mani e attualmente dalle macchine guidate da incredibili maestri specialisti del campo, che trasformeranno il grezzo sasso che ho fotografato in un giorno trascorso a meravigliarmi della complessità del loro lavoro. È un lavoro tuttora molto impegnativo. Sia quello pericoloso nelle cave sia quello difficile tra i macchinari operanti in laboratorio. Si tratta di avere a che fare con materiale inizialmente molto pesante, ma che col tempo diventa, o perlomeno sembra lo diventi, quasi una duttile argilla.

In Liguria l’ardesia è usata moltissimo, soprattutto nel settore dell’edilizia. La si usa per ricoprire i tetti delle case, per le costruzioni in riva al mare, per la realizzazione di opere d’arte, di monumenti e soprattutto per la realizzazione delle famose lavagne, che venivano e vengono tutt’ora spedite in giro per il mondo.

Le fotografie a corredo di quest’articolo di giornale dimostrano quanto certosino sia il lavoro di coloro che esplorano e creano opere di vario tipo con l’uso della nera pietra ligure contribuendo così a mantenere una tradizione lunga secoli e che non si è ancora spenta. L’ho capito assistendo in prima persona al lavoro di questi maestri.

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