Una polemica sui croati in Italia

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Una polemica sui croati in Italia

Come avevo ricordato la settimana scorsa, l’udienza davanti alla Commissione affari esteri del Sabor a momenti si era trasformata in un interrogatorio. I più attivi nell’interrogarmi quale futuro Ambasciatore in Italia furono Andrej Plenković e Ivo Davor Stier, due parlamentari dell’HDZ che avrebbero poi fatto strada nella gerarchia del partito e nelle cariche politiche, il primo come presidente dell’attuale governo e il secondo come ministro degli Esteri croato per un breve periodo, dal 2016 al 2017.
Preparandomi per quest’udienza che, come si è visto, si trasformò poi in un interrogatorio, avevo richiesto al Ministero degli Esteri – dal cui ministro Vesna Pusić la mia nomina era stata proposta formalmente, anche se la vera iniziativa era stata del Presidente Ivo Josipović e del premier Zoran Mlanović – un promemoria sulle relazioni italo-croate. Dopo un susseguirsi di procrastinazioni da parte del Ministero, il funzionario che era il “desk officer” per l’Italia, cioè addetto alle relazioni italo-croate, mi disse che non era autorizzato a darmi alcun documento che portasse la dicitura “Riservato”, cioè che fosse coperto da segreto di Stato. Quando chiese l’autorizzazione alla sua diretta superiore, questa rimase perplessa per la richiesta e in un primo momento disse che non era la prassi vigente. D’altronde, aveva quasi ragione, perché la maggior parte dei candidati ai posti di Ambasciatore proveniva dal Ministero degli Esteri. Essi pertanto non avevano alcuna difficoltà ad accedere all’archivio per preparare i loro interventi da esporre davanti alla Commissione del Sabor.
Così mi trovai costretto a rivolgermi al ministro stesso, a Vesna Pusić, una collega con la quale da anni collaboravo nella rivista “Erazmus”, sulla quale era stato pubblicato a suo tempo anche l’appello di cinque intellettuali croati al Presidente Franjo Tuđman perché rassegnasse le dimissioni per la mancata democratizzazione del Paese, per le ambizioni di annettere la Bosnia e per la politica d’intesa con il leader serbo Slobodan Milošević. Il ministro si meravigliò perché non era al corrente di questa prassi. Infine io ricevetti un promemoria di due pagine con delle cifre che non erano affatto segreto di Stato, ma semplici numeri statistici sullo scambio commerciale tra l’Italia e la Croazia, sulle ditte italiane che operavano in Croazia come ad esempio le banche, e altri dati facilmente accessibili anche in Rete. Dunque, niente di speciale. Tra le cifre e i temi rilevanti che erano all’ordine del giorno della cooperazione italo-croata avevo trovato anche dei dati sulla minoranza croata in Italia e sulla minoranza italiana in Croazia. Naturalmente, la situazione della minoranza italiana in Croazia era dipinta tutta in toni rosei; si diceva che la Croazia faceva sforzi straordinari per sostenere le attività della minoranza italiana che vive in Croazia, mentre l’Italia non faceva quasi niente per la minoranza croata in Italia, a partire dalla minoranza croata in Molise che solo di recente aveva potuto fruire di aiuti provenienti dalla Regione Molise, mentre in altre parti d’Italia i cittadini di origine croata non potevano contare su tale appoggio, come ad esempio sui fondi per le scuole integrative in lingua croata e altre attività. E veniva sciorinata una cifra che mi pareva troppo elevata per il numero di croati che vivono in Italia. Questa cifra era di 65.000 croati, dei quali, si diceva, in gran parte vivessero nel Friuli Venezia Giulia e a Trieste. Veniva citata anche una pubblicazione, edita proprio nel capoluogo giuliano, dal titolo “I Croati a Trieste”, come una prova tangibile della presenza elevata dei croati in Italia. In quel momento nessuno mi sapeva dire come mai si fosse giunti al numero di 65.000 croati in Italia, ma tutti, nell’amministrazione pubblica croata, citavano questa cifra. Soltanto dopo l’arrivo a Roma, ho scoperto che questa cifra era stata fornita dall’Istituto pontificale San Girolamo dei croati. Il rettore di allora, monsignor Jure Bogdan, mi aveva assicurato che questi erano i dati collezionati da molti parroci locali (italiani!) al momento del battesimo e che erano stati accertati dalla Prefettura Pontificia per i migranti e pubblicati in un numero della rivista “Migrantes”. Per un anno circa avevo cercato questa pubblicazione, però nessuno riusciva a trovarla. E per quel che vidi dopo, in Italia, questo numero era esagerato, prendendo in considerazione i circa 2.500 Molisani di origine croata, e un certo numero di espatriati per ragioni di lavoro, motivi politici, ecc. Nell’insieme difficilmente si raggiungeva la cifra di 65.000 presenze. Ad ogni modo, questo fu oggetto di polemica durante l’interrogatorio davanti alla Commissione del Sabor, perché avevo espresso già lì il mio dubbio sulla veridicità di questa cifra. La discussione si fece accesa, e a calmare le acque furono il deputato Tonino Picula, che era stato ministro degli Esteri nel governo Račan dal 2000 al 2003 e lo stesso presidente della Commissione, il rappresentante dei Serbi in Croazia, Milorad Pupovac. Anzi, fu Pupovac che intervenne pesantemente per calmare gli animi infuocati dei due esponenti dell’HDZ allora all’opposizione, tutti protesi a contestare la proposta del governo croato. Così, grazie a Picula e a Pupovac riuscii a passare liscio la votazione, proprio per un pelo…

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