Scintille al Parlamento di Zagabria

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Scintille al Parlamento di Zagabria

Prima di ricevere le lettere d’accredito da parte del Capo dello Stato, il candidato alla carica di Ambasciatore nominato dal governo deve passare in Parlamento per la conferma, in base la Legge sugli affari esteri della Croazia. Cosi mi toccò di partecipare allo “hearing” parlamentare, una specie d’interrogatorio davanti alla Commissione per gli affari esteri. Eravamo già agli sgoccioli, era luglio inoltrato, in quel lontano 2012, ma il governo di centrosinistra aveva voluto far passare tutte le decisioni strategiche prima della pausa estiva. Infine, nel luglio del 2012. Il governo, presieduto dal socialdemocratico Zoran Milanović, era appena al settimo mese di mandato e c’era ancora molto da fare per avviare la legislatura a vele spiegate.
C’era anche la necessità di nominare, con tanto di conferma da parte del Sabor, di una lista di Ambasciatori e Consoli generali che dovevano essere inviati nelle rispettive sedi in autunno. A dire il vero, il governo era un pò in ritardo, perché il mandato di molti Ambasciatori – una quindicina in tutto – era già scaduto nell’autunno del 2011. Ma siccome le elezioni erano state indette per il novembre 2011, l’allora Presidente della Repubblica, Ivo Josipović aveva rifiutato la lista dei nuovi nomi che in primavera gli era stata sottoposta dal governo HDZ con a capo Jadranka Kosor.
Ne era scaturito un piccolo scandalo, anche perché Jadranka Kosor, e l’allora ministro degli Esteri Goran Jandroković, affermavano che la questione delle nomine dei nuovi Ambasciatori spettava, come prima proposta, al Ministero degli Esteri, a poi al governo, e che i diplomatici erano ormai dei “tecnici”, dei professionisti, per cui lista delle proposte era fatta a prescindere dall’orientamento politico dei candidati. Dall’altro lato, il premier Milanović che aveva iniziato la sua carriera proprio come uno dei primi diplomatici croati, ribatteva alla tesi “tecnicista” con l’argomento che durante l’era di Tu]man e anche poi, con il governo di Sanader dal 2003, le scelte erano sempre cadute su quelli che avevano dimostrato lealtà al partito, all’HDZ, più che allo Stato croato. E poi, sosteneva Milanović, anche nelle diplomazie con una tradizione più lunga di quella croata, c’era sempre un numero, anche esiguo, di personalità che giungevano dal mondo della politica, della cultura, del giornalismo e dall’insegnamento, come negli USA, dove il Presidente può proporre fino a 30% di Ambasciatori nuovi, che in quel caso provengono dal mondo del business, degli affari, o dalle schiere del partito vincitore alle elezioni.
E cosi, il Presidente Josipović bloccò la lista presentatagli nella primavera del 2011. E decise, appellandosi al suo ruolo costituzionale di co-creatore della politica estera, di rimandare al mittente circa quindici nominativi. E così quelli che già detenevano il posto all’estero, ebbero un anno in più di mandato. Tra le proposte del governo Kosor c’era anche il nome dell’odierno ministro degli Esteri, Marija Pejčinović Burić, che avrebbe dovuto avere la poltrona a Parigi. A quel tempo ella era deputata dell’HDZ al Sabor, e prima era stata segretario di Stato al Ministero degli Esteri.
Ma Milanović, in accordo con il capo della diplomazia Vesna Pusić, decise di inviare a Parigi lo storico Ivo Goldstein, figlio del noto editore e pubblicista Slavko Goldstein. Goldsten junior aveva pubblicato, assieme con il padre, un corposo volume sul’Olocausto a Zagabria, insegnava storia moderna all’Università zagabrese ed era riconosciuto sia come storico, che come attivista della minoranza ebraica in Croazia. Milanović aveva spiegato a Josipović che Goldstein aveva ormai le “porte aperte” in Europa grazie ai suoi contatti internazionali. Quando venne il momento, nella primavera del 2013, di stilare la nuova lista di Ambasciatori croati, Goldstein prese il posto per il quale l’HDZ aveva designato alla Pejčinović Burić.
L’HDZ aveva usato ogni pretesto per evitare questa nomina: dapprima si era diffusa la voce, nel Ministero degli Esteri, che Goldstein non parlasse il francese in linea con quanto si richiede a un Ambasciatore. Poi, come suggerivano i siti della destra nazionalista, si affermava che non fosse un “buon croato” perché si era dichiarato, più volte, contro il revisionismo neofascista in corso in Croazia. Perciò era ritenuto “troppo di sinistra”. Ma questo fu solo l’inizio degli attacchi ai nomi presentati da Milanović e Pusić. Lo scontro si fece più acceso proprio nel luglio del 2013, ma di questo parleremo un’altra volta.

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