L’Italia e il percorso croato verso l’UE

0
L’Italia e il percorso croato verso l’UE

Gli anni che precedettero la grande svolta in Croazia, avvenuta con le elezioni parlamentari del 3 gennaio 2000, erano ancora gli “anni bui” nei quali il Presidente Franjo Tuđman aveva proclamato la sua “dottrina europea”, nella quale definiva chiaramente che non era la Croazia a doversi adattare all’Unione europea, ma viceversa. Ragion per cui ogni discorso di riforme interne per soddisfare i “criteri europei” era inutile. Lo aveva anche sottolineato in vari discorsi a quell’epoca, raccolti poi dallo scrittore Dubravko Jelčić nel volume dal titolo “Croazia, Europa, Unione europea”, edito nel 2009.
Il messaggio del presidente Tuđman all’Unione europea era ben riflesso nel suo motto: “Apparteniamo all’Europa e vogliamo entrare nell’Unione europea, ma con la nostra identità, ritti e senza dettati!”. Quello che aveva irritato il Presidente Tuđman era l’orientamento della UE a far entrare in Europa tutta la regione dell’ex Jugoslavia, espressa nella dottrina dell’“accesso regionale” dei Balcani occidentali, lanciata nel 1997. Tuđman si era sentito tradito e lo aveva ribadito nel suo discorso alla III Conferenza del Congresso mondiale croato, tenutasi sull’isola di Brioni. “Non accettiamo questo ‘approccio regionale’ per l’instaurazione del nuovo ordine europeo innanzitutto per il semplice motivo che la Croazia, in tutta la sua storia, era ed è parte costitutiva della civiltà europea e occidentale”.
Questo voleva dire che non accettavamo affatto di esser rimessi nel crogiuolo balcanico. Anche l’opinione pubblica faceva quadrato attorno a Tuđman, per cui all’UE fu mandata una voluminosa apologia di 550 pagine redatta da esperti accondiscendenti a questa tattica. Naturalmente, le altre opinioni non furono neanche prese in considerazione.
Il nucleo d’opposizione era a quell’epoca concentrato non nei partiti d’opposizione, ma in una parte della comunità accademica e precisamente nella Facoltà di Scienze politiche. Con i professori Davor Rodin e Zvonimir Posavec avevo elaborato il progetto di introdurre una nuova materia, anzi un nuovo ramo nel corpo degli studi politici, e cioè gli studi europei, che avrebbero compreso la storia dell’integrazione europea, la teoria e le istituzioni dell’Unione europea, cosa già vista negli altri Paesi dell’Europa orientale. Ad esempio, le Università di Praga, Varsavia e Budapest già nel 1993 li avevano ed era normale che lo facessimo anche in Croazia. Purtroppo, la proposta fu scartata per due volte – nel 1998 e nel 2000, per cui solo al terzo tentativo, nel 2003, finalmente, il Ministero della ricerca accettò la proposta, esattamente nove anni dopo che in tutta l’Europa orientale questi studi aprivano dei nuovi orizzonti agli studenti e alle nuove classi dirigenti di questi Paesi.
L’Italia, che aveva favorito la formulazione della “politica regionale” dell’UE verso i Balcani occidentali, era preoccupata e coglieva ogni occasione per promuovere l’agenda europea. Si potrebbe dire che gli sforzi vennero moltiplicati su tutti i fronti e specialmente verso il settore accademico, giacché sul piano politico le porte erano chiuse. L’Ambasciatore italiano a Zagabria nel periodo dal 1995 al 1998, Francesco Olivieri, aveva tentato invano di convincere gli interlocutori croati a non chiudersi “a riccio” alle proposte europee e ad accettare la proposta di accedere ai preparativi per una futura entrata nell’UE. Anche il suo successore, l’anconetano Fabio Pigliapoco, che ricoprì la carica dal 1998 fino al 2003, si adoperò per spiegare ai politici croati che il processo di adesione non era un diktat, ma un processo a beneficio dei futuri membri perché le riforme da fare dovevano preparare il Paese per il funzionamento futuro nell’ambito dei meccanismi europei ed erano a beneficio dei croati stessi.
Ma non ci fu verso per convincere il Presidente. L’Italia, che si era fatta nel frattempo mediatore attivo tra l’UE e la Croazia, aveva tentato in tutti i modi a incoraggiare questo processo. Per colpa di una posizione così caparbia, la Croazia perse il treno che avrebbe potuto prendere con tutti gli altri Paesi dell’Europa orientale ed entrare nell’UE nel 2004. Ma l’attività degli Ambasciatori italiani, che capivano bene la situazione e tentavano di avviare la Croazia verso questo cammino europeo più spedito, non fu isolata: si inclusero anche delle altre istituzioni italiane. Bisogna qui menzionare l’attività importantissima dell’Istituto di cultura italiano e del suo direttore, l’agilissima Patrizia Raveggi, che si unì agli sforzi congiunti della politica italiana e organizzò molte attività filoeuropee. Purtroppo, tutto questo fu vano. Soltanto la morte del Presidente Tuđman e le nuove elezioni del 2000 segnarono una svolta della Croazia verso l’UE e verso l’Italia, come fautore principale di questo avvicinamento.

Tutti i diritti riservati. La riproduzione, anche parziale, è possibile soltanto dietro autorizzazione dell’editore.

L’utente, previa registrazione, avrà la possibilità di commentare i contenuti proposti sul sito dell’Editore, ma dovrà farlo usando un linguaggio rispettoso della persona e del diritto alla diversa opinione, evitando espressioni offensive e ingiuriose, affinché la comunicazione sia, in quanto a contenuto e forma, civile.

No posts to display