«Glorija» di Marinković acclamata dallo Zajc

Trionfale ritorno al teatro di Fiume dopo 26 anni

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«Glorija» di Marinković acclamata dallo Zajc
Don Jere e Glorija. Foto: GORAN ZIKOVIC

Ovazione fragorosa del pubblico al termine del pezzo teatrale Glorija, andato di scena venerdì sera al TNC Ivan de Zajc. Gli applausi intensi e prolungati che hanno riempito l’intera sala in segno di apprezzamento, sono stati accolti con gratitudine da parte degli attori. Una gratitudine espressa dai loro volti sorridenti e dagli occhi lucidi. Tutto a testimonianza del trionfale ritorno a Fiume dell’esibizione teatrale del pezzo, scritto dal letterato Ranko Marinković, dopo ben 26 anni.

Circa 100 minuti di durata con una struttura di dialogo prevalentemente dedicata a due soli personaggi, con sporadiche intrusioni da parte di terzi, l’opera racconta la storia di Jagoda (interpretata da Ivna Bruck) e delle sue due vite: quella circense (dove si presenta come Glorija) e quella di chiesa (dove si fa chiamare Magdalena). Senka Bulić, rinomata regista teatrale, ha colpito nel segno, riuscendo a mettere in risalto, ancora una volta, la sorte di un personaggio femminile costretto a lottare con il dogmatismo della nostra società. Il destino della ragazza (Jagoda appunto) s’intreccia con quella di don Jere (Karlo Mrša) dando vita a un rapporto travagliato quanto impossibile, stoppato dalle rigide norme sociali. Un amore che, se realizzato, desterebbe scandalo nella remota località tradizionale dalmata.
Scenografia (Tomislav Ćurković) e costumi (Ana Mikulić) di impeccabile bellezza, hanno permesso l’ambientazione, per cinque sesti in un contesto di chiesa e uno, nell’atto finale, trasferitosi poi all’interno di un circo.
Jagoda, figlia di Floki Fleche proprietario del circo, nasce sotto il falso nome di Glorija proprio in questo contesto: tra esibizioni estreme al limite del possibile. Ed è proprio da questa vita, dopo essere scampata, come dice lei per puro miracolo, da una morte sicura (stava per eseguire un’acrobazia pericolosissima), che decide di scappare, rifugiandosi, così, presso le suore carmelitane.

Amore impossibile
Nella remota chiesa di paese vuole trovare la sua vera sé, gentile, buona e sincera, lontano da tutte le influenze esterne. In chiesa, però, si imbatte in don Jere, del quale poi, a breve, inizierà ad avvertire un amore impossibile da dichiarare. Don Jere a sentimenti non è da meno, e ciò lo turba talmente tanto, fino al punto da mostrare, a volte, anche rabbia nei confronti di Magdalena, che cerca di assecondare le sue scelte, soffrendo in silenzio. Ambizioso nell’avanzare nella lenta gerarchia ecclesiastica (per poi riuscire a prendere il posto del vecchio Vescovo), Don Jere ha bisogno di qualcosa di originale, quasi di un’attrazione per guadagnare in fama e attirare quanti più credenti nella sua chiesa. Si inventa di metterla sull’altare, vestita da Madonna, per averla vicina e ammirarla, tanto era ipnotica la sua bellezza.
Così un rifugio sicuro, per Magdalena divenne una prigione, che ogni giorno dovette sedersi in silenzio come una statua sull’altare reprimendo tutte le emozioni terrene che le rimbombavano dentro. E non erano soltanto sentimenti d’amore verso don Jere: c’era anche tanta tristezza, per la vita sua (siccome Jere, condizionato dal moralismo, considerava i loro sentimenti come peccati mortali) ma anche quella dei vari credenti, che iniziarono ad affluire in massa parlando dei propri problemi. Un esempio su tutti, la storia di una vecchia sofferente per la malattia del figlio, cosa che spinse alle lacrime Magdalena e fece spargere la voce che in chiesa, sull’altare maggiore, vi fosse una statua della Madonna comunicante col pianto.

Alcune scene dello spettacolo.
Foto: GORAN ZIKOVIC

Esibizione mortale
La situazione andava degenerando e Magdalena non resistette più quando in chiesa dovette rimanere impassibile davanti allo sguardo del padre che la implorava a tornare. Si alzò, ritornò a essere Glorija e, contrariamente alla volontà di Jere, decise di tornare al circo per ripetere la pericolosa acrobazia dalla quale era scappata due anni prima. Il triplo salto mortale la porta alla morte, ma la decisione di farlo la portò anche al raggiungimento della vera lei, onesta e in pace soprattutto con sé stessa.
La magistrale interpretazione degli attori, contraddistinta da dialoghi chiari e diretti, risalta il paradosso della vita: chi è disposto a dare il meglio, spesso viene accusato dalla società. Jagoda come individuo, spoglio dei ruoli che gli altri le hanno afflitto nei diversi ambienti, non voleva altro che fare il bene di tutti, prima di prendere il destino nelle proprie mani e farla finita. Don Jere, dal canto suo, spinto da impulsi esagerati come l’ambizione, invece di salire le scale del divino, ha iniziato a sprofondare sempre più nelle profondità sporcate dal peccato.
Interessante anche il ruolo degli altri personaggi, soprattutto di don Zane (interpretato da Jasmin Mekić), che con i suoi raggi di saggezza cerca di placare e ridicolizzare l’irruente ambizione di don Jere, infangando elegantemente il suo tentativo di scalata al successo con la giusta dose di ripudio e ironia.
Complimenti anche a tutti gli altri autori (Toni Plešić, Dušan Gojić, Denis Brižić, Olivera Baljak, Vinko Kraljević, Ana Marija Brđanović) al clown professionale Marko Ilić, all’artista circense Emilio Alcantara, ai membri del corpo di ballo (Marta Voinea Čavrak, Marta Kanazir Bagadur, Ksenija Krutova, Jody Bet, Yurika Kimura, Gabrielle Colson) agli studenti dello studio di drammaturgia Pontes (Lucia Sabljar, Aria Sofija Čule, Nuša Zelič, Mia Grgurić, Katarina Miculinić, Luka Ercegović). Applausi anche per la drammaturga Vesna Đikanović, a Predrag Potočnjak per le luci, al coreografo Leo Mujić e, dulcis in fundo, alla coppia Damir Martinović Mrle e Ivanka Mazurkijević per le brillanti scelte musicali.

Foto: GORAN ZIKOVIC

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