Ogni mattina centinaia e centinaia di istriani vanno a lavorare oltre confine: pochi in Slovenia, molti in Italia. Una vita difficile, una scelta inevitabile, quasi una tradizione che dura da decenni. Il popolo dei pendolari è enorme, i mestieri espletati sono i più disparati. Dalle famose badanti ai medici, dagli operai ai negozianti. Fra questi c’è l’umaghese Franco Favretto, che da ben 28 anni si occupa di manutenzione di impianti elettrici.
Tre figli. E uno stipendio che serve. Ma ci sono anche donne che fanno le badanti e che viaggiano in 2-3 nella stessa automobile, gente che ha anche più di ottant’anni, per dividersi la spesa del viaggio. Spesso si danno il cambio: due settimane una e due settimane un’altra. Una vita dura.
A complicare la vita a tutte queste persone d’estate ci sono le colonne di vacanzieri, le interminabili code ai valichi di confine e ora pure la psicosi del coronavirus.
La cronache dei giornali e telegiornali sono piene, la psicosi tanta. Ora molti temono eventuali ripercussioni anche sul lavoro. La Slovenia dice di essere pronta a chiudere i confini e la cosa si complica ulteriormente. Confini, sempre confini, se non ci sono quelli fissi, ci sono quelli mentali. Ma la gente di questa terra è abituata a tutto.
Con Franco Favretto abbiamo cercato di capire come vanno le cose, i problemi di queste persone, ma anche quali sono le loro preoccupazioni per il coronavirus.
Come vivete questa situazione?
“La psicosi c’è ed è palpabile anche a Trieste, nonostante i casi accertati interessino il Veneto e la Lombardia. Chi prima acquistava un chilo di pasta ora ne acquista dieci, la gente compra tutto, anche surgelati, acqua, disinfettanti. In altre parole, fanno una scorta per due-tre settimane. Al confine il traffico è minimo, i valichi quasi vuoti.”
Ma se ci dovessero essere dei problemi maggiori, come andrebbe a finire?
“Esiste per esempio la cassa integrazione, l’80 p.c. della paga con un massimo di mille euro al mese. Niente scuola, le manifestazioni pubbliche annullate, anche i corsi di formazione.”
La psicosi del coronavirus genera dunque paura?
“La paura c’è perché non è stato trovato ancora il vaccino. L’allarme coronavirus ha generato una vera e propria psicosi. E da quello che ho visto, non solo in Italia, proprio la mancanza di un vaccino amplifica la paura, soprattutto per anziani e bambini.”
Dunque, se il problema dovesse persistere, ci potrebbero essere dei riflessi negativi anche sull’economia, visto che l’Istria esporta il proprio pesce in Italia ed economicamente è uno dei partner delle Regioni Friuli Venezia Giulia, Veneto, Lombardia?
“Speriamo che l’allarme rientri presto e che tutto ritorni alla normalità. L’Istria, la Croazia e l’Italia sono legate dalla collaborazione transfrontaliera, ma anche da rapporti umani e di lavoro importanti. Per non parlare di turismo. Noi frontalieri, che viaggiamo continuamente per lavoro, queste preoccupazioni le sentiamo e le viviamo in prima persona. E con noi le nostre famiglie. Ma penso che tutto finirà bene, bisogna essere ottimisti.”
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