Come cambia il Mare Nostrum

Le variazioni climatiche sono come la sceneggiatura di un film

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Come cambia il Mare Nostrum

In natura, tutto ciò che esiste è destinato al cambiamento. È un procedimento lentissimo che non possiamo apprezzare per la brevità della vita umana. La paleontologia constata come nel tempo si siano succedute contrazioni o espansioni di forme animali; un dinamismo della natura legato a molteplici fattori ecologici. Il Mare Mediterraneo non è esente da queste profonde trasformazioni, legate anche alla propria storia. Prima dei periodi di disseccamento, diversi milioni di anni fa, il mare era aperto verso le regioni dell’indopacifico e colonizzato dagli organismi tropicali. Molte specie sono poi sparite a causa del disseccamento. Nel corso del tempo, il popolamento del Mediterraneo ha acquistato una connotazione endemica che lo ha caratterizzato sino ad oggi. Esistono poi, periodi più corti che creano mutamenti in cui un ecosistema rivela cambiamenti osservabili e interpretabili come adattamenti a repentine variazioni di condizioni.
Un intervento antropico può essere volontario, oppure accidentale. Ad esempio, il traffico navale con i carichi instabili, l’acqua utilizzata come zavorra, gli organismi animali e vegetali che colonizzano le chiglie delle navi: tutto questo può causare mutamenti rapidi. Le spore, le larve, i molluschi che giornalmente vengono rilasciati dalle navi in Mediterraneo, provenienti da chissà quali mari lontani, possono introdurre nuovi organismi. A tutto ciò si è unito un fenomeno che nell’ultimo quadriennio è stato fonte di preoccupazione mondiale: il riscaldamento del Pianeta. Una variazione termo clinica particolarmente recepita nel Mare Nostrum, un mare chiuso, relativamente profondo, che risponde in modo rapido al mutamento.
Soltanto da una trentina d’anni è in atto una costante rilevazione delle temperature in tutto il bacino. In tale modo si è riscontrato un riscaldamento medio delle correnti superficiali del Mediterraneo di circa un grado e mezzo, con punte eccezionali nel basso Adriatico di circa due gradi. Nell’estate del 2003, in alcune località, neppure tanto meridionali, la temperatura del mare ha sfiorato in superficie i 30 gradi. Ma ciò che soprattutto ha stupito i ricercatori, e questo ultimamente, è stata la media delle temperature invernali di ampie zone che non andavano al di sotto dei 14 gradi. Ciò comporta indubbiamente una modifica della vita autoctona locale. Gli scienziati chiamano questo fenomeno “meridionalizzazione del bacino mediterraneo”, per non calcare la mano su di una terminologia che preoccupa molto di più: “tropicalizzazione” di tutto l’emisfero settentrionale.

Gli studiosi sono concordi nell’asserire che almeno il 75 p.c. delle specie mediterranee provengono dall’Atlantico, ma sono altresì preoccupati da un 6 p.c., e forse più, di quelle specie che arrivano dal Mar Rosso, convogliate dal Canale di Suez. Esistono infatti drastiche differenze tra i due mari e la comunicazione tra il Mar Rosso e il Mediterraneo è geologicamente abbastanza recente (il Canale di Suez è stato realizzato nel 1869). Stime recenti ritengono che siano oltre 300 le specie marine tropicali che hanno colonizzato il Mare Nostrum. Un’indagine più accurata ne ha individuate oltre 40 di specie che sono ormai divenute delle comune abitatrici, anche se non ancora preoccupanti per la trasformazione dell’habitat naturale.


L’unico freno alla “tropicalizzazione”, paradossalmente, sarà l’inquinamento. Il riscaldamento delle acque e l’inquinamento si giocheranno il futuro del Mediterraneo. Intanto assistiamo già alla trasformazione di alghe nostrane che rispondono positivamente ai nuovi stimoli ambientali, mentre specie già tipiche del Mediterraneo, ma situate in zone ristrette e meridionali, si trovano sempre più numerose in aree settentrionali. Da tempo è stata osservata la presenza di pesci provenienti dall’area subtropicale del Mar Rosso e anche dall’Atlantico meridionale, trasmigrati dal Canale di Suez e dallo Stretto di Gibilterra. Sono presenze divenute in breve tempo piuttosto frequenti e che ormai vengono considerate insidiate nei nostri mari.

Un’esperienza ormai constatata è la presenza dei “barracuda”. Sono ormai distribuiti in maniera uniforme in tutto il Mediterraneo. Lo Sparisoma Cretense, un pesce pappagallo di origine subtropicale atlantica che sino a qualche anno fa si incontrava solamente lungo le coste della Sicilia, ora lo si incontra anche nelle acque dell’alto Tirreno. Il medesimo discorso vale anche per un caratteristico pesce palla. Lo Sphaeroides Pachygaster originario anch’esso dell’Oceano Atlantico meridionale, segnalato nel Mediterraneo per la prima volta nel 1985 e oggi catturato sempre più spesso dalle reti dei pescatori, così come succede con alcune specie di “ricciole” che normalmente ritroviamo nei supermercati. Un esempio eclatante di un pesce colonizzatore, particolarmente caro ai fotografi subacquei, è il Thalassoma Pavo, la cosiddetta “Donzella Pavolina”, un pesce elegantemente colorato, dai riflessi vivaci, facilmente avvicinabile, originario del Mar Rosso. Questa simpatica “Donzella” ha letteralmente invaso tutte le coste mediterranee tanto da essere ormai considerata una specie comunissima. La mutazione climatica dell’acqua sta anche favorendo alcuni invertebrati, soprattutto i “madreporari”, che grazie alle alte temperature favoriscono la deposizione dei carbonati e di diverse specie che negli anni 80 erano state riscontrate sui fondali delle Isole Pontine, mentre ora si notano lungo le coste sarde, quelle toscane e quelle croate dell’Adriatico.


Quello che ci riserva il futuro circa lo sviluppo sugli equilibri della fauna e della flora del Mare Nostrum non è ancora sufficientemente chiaro. Per questo motivo la ricerca nel campo della biologia marina insiste, in particolare modo per quanto concerne il monitoraggio dell’evolversi della situazione. La dinamica della popolazione degli organismi e delle specie sensibili alle variazioni della temperatura del mare, rende possibile però l’utilizzo di questi pesci come dei bio-indicatori. Dunque la reazione alle variazioni ambientali, come l’aumento degli individui, le loro reazioni morfologiche e la stessa “biomassa” serviranno a dare indicazioni sulla qualità dell’ambiente e sulle dinamiche di un eventuale cambiamento in atto che speriamo non ci porti però ad assistere ad un catastrofico avvenimento.

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