Un milanese nel regno dei ghiacci (foto)

Stefano Poli si è trasferito 25 anni fa alle isole Svalbard, a metà strada tra la Norvegia e il Polo Nord. A Longyearbyen, il centro abitato più a nord del mondo, gestisce un tour operator portando i turisti alla scoperta di un ambiente estremo come l'Artico

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Un milanese nel regno dei ghiacci (foto)

Esistono luoghi sulla Terra dove la bellezza della natura si presenta nella sua massima espressione. Selvaggia, primordiale, pura, autentica. È il caso delle isole Svalbard, un arcipelago di 61mila chilometri quadrati situato nel cuore del Mar Glaciale Artico, a metà strada tra la Norvegia e il Polo Nord. Terre ai confini del mondo, lande sconfinate che vantano paesaggi intatti e incontaminati, lontane da quella che per molti è la civiltà. Questo è il regno dei ghiacci e del silenzio. E di una fauna che sembra fuoriuscire da antiche leggende nordiche: balene, orche, beluga, narvali, foche, trichechi e, sulla terraferma, il re incontrastato dell’Artico, l’orso polare. E poi ancora imponenti iceberg, fiordi mozzafiato, il sole di mezzanotte e soprattutto il fenomeno che è il sogno di ogni viaggiatore romantico, l’aurora boreale. Questo vero e proprio Eden polare fa da sfondo alla storia di Stefano Poli, milanese classe 1968, che 25 anni fa si è trasferito a Longyearbyen, il centro abitato più a nord del mondo, trovando qui, al 78º parallelo, il suo angolo di paradiso.
Stefano, la prima domanda sorge spontanea: come ci sei finito in un luogo così remoto come le Svalbard?
“La primissima volta ci sono venuto come studente di una scuola di montagna che frequentavo alle isole Lofoten. Ma comunque già da bambino andavo spesso sulle Alpi e praticavo alpinismo. Da lì è nato l’interesse per la Norvegia e poi casualmente sono finito qui”.
In che senso casualmente?
“Le Svalbard non sono un luogo dove uno dice voglio andare lì. Ho iniziato a venirci più volte: prima da due a quattro mesi, poi da due a otto mesi tutti gli anni, fino a stabilirmici in maniera fissa nel 1995”.
Qual è stata la reazione di amici e parenti quando hai deciso di mollare tutto per trasferirti lì?
“Non c’è mai stato un momento in cui ho detto mollo tutto e vado lì. È stato più un processo graduale. Loro sapevano che il mio era un lavoro stagionale e che sempre più spesso andavo su. Non è quindi successo all’improvviso”.
Di che cosa ti occupavi prima?
“Non avevo un lavoro fisso. Facevo la guida escursionistica, accompagnavo la gente a fare trekking e poi anche altri lavoretti legati alla montagna”.
A Longyearbyen gestisci un tour operator. Dov’è che porti i turisti?
“Mi occupo dell’organizzazione di escursioni, sia estive che invernali, con o senza neve. D’inverno ci si muove con sci o motoslitta, d’estate invece facciamo gite in barca e trekking. L’obiettivo è quello di far vivere ai turisti in maniera piuttosto semplice un ambiente estremo come l’Artico. Proprio per questo prediligo escursioni di più giorni rispetto a quelle di un giorno solo o di mezza giornata”.
Chi sono i turisti più numerosi?
“I norvegesi e gli scandinavi in generale, seguiti da tedeschi e inglesi. Come numero di persone sono molto contenuto perché all’anno avrò 1.800-2.000 persone su 150-200mila turisti che visitano l’arcipelago. Lavoro in particolare con gli italiani, che annualmente transitano in 10-12mila”.
Qual è il periodo migliore per visitare le Svalbard?
“Dipende da ciò che cerchi. Se vuoi la neve il mese ideale è aprile perché il tempo è più stabile e c’è sempre luce. Se invece uno cerca le aurore boreali allora il periodo migliore è da metà febbraio alla fine di marzo perché ci sono comunque la notte e il giorno. Se infine uno vuole fare trekking, andare in barca o vedere più animali come uccelli, foche, trichechi, ecc., allora luglio dal momento che in estate la natura è molto più rigogliosa”.
E invece gli abitanti locali dov’è che vanno in vacanza?
“La maggior parte in Norvegia, ma anche al mare nei Paesi mediterranei. Ad esempio, ultimamente è aumentato il numero di coloro che vanno in Croazia”.
Com’è vivere lassù? O meglio, qual è l’aspetto più bello e quello meno bello delle Svalbard?
“Ciò che amo di più è l’ambiente che, sia d’inverno che d’estate, è talmente particolare al punto che non stanca mai e ti mette sempre alla prova. Per quanto riguarda invece l’aspetto meno bello, non mi piace il bigottismo di chi abita qui, nel senso che c’è una mentalità da paese piccolo ed è come vivere un po’ nella bambagia. Longyearbyen è sempre stato un porto di mare e come tale c’è sempre un ricambio, tant’è che il 25 p.c. della popolazione cambia tutti gli anni. Chi abita qui da tanti anni, o viaggia e si interessa di ciò che succede nel mondo, o altrimenti diventa bigotto”.
Contrariamente a quello che uno potrebbe pensare, Longyearbyen è un sorprendente melting pot di culture, costituito da numerose comunità di stranieri.
“È vero. Questo perché gli Stati firmatari del Trattato delle Svalbard, che sono 46, hanno gli stessi diritti di poter stare qui e non hanno bisogno del visto. La comunità più numerosa è quella thailandese, ma ci sono anche tanti filippini, russi, ucraini, sudamericani… C’è chi si trasferisce per romanticismo innamorandosi del posto; chi viene per necessità, nel senso che non è interessato al luogo, ma alla sicurezza economica perché comunque si guadagna bene; e infine gli scandinavi vengono qui un anno o due per provare un’esperienza lavorativa diversa, dato che loro tendono a cambiare molto spesso lavoro, approfittando anche del fatto che qui si pagano meno tasse”.
Attualmente ci sono italiani e croati fissi?
“Qualcuno c’è, ma sono pochissimi. Di stabili ce ne saranno forse due o tre, sia croati che italiani”.
A parte il turismo, di che cosa vive l’arcipelago?
“Attività mineraria e ricerca. Ci sono diverse basi scientifiche e a Longyearbyen c’è l’Università, ossia un Master in studi artici. E infine tanta gente lavora nel settore dei servizi”.
Un’altra peculiarità di Longyearbyen è che qui non si nasce e non si muore.
“Le donne in gravidanza partoriscono in Norvegia o nel proprio Paese d’origine dato che qui non c’è un ospedale, ma soltanto il Pronto soccorso. E comunque non è che non si muore, solo che non c’è il cimitero e le sepolture sono vietate in quanto le condizioni climatiche impediscono la normale decomposizione”.
Che cosa mi dici dell’aurora boreale?
“Che è molto bella. Ma dopo un po’ che la vedi non ci fai più caso perché quando ce l’hai a portata di mano la godi di meno. Capiteranno 70 volte all’anno, quindi non è che se uno non la vede oggi non la vedrà più per due anni”.
Una domanda scontata: avrai sicuramente avuto diversi incontri ravvicinati con gli orsi polari?
“Sì. A seconda della situazione può essere più o meno pericoloso. Se sei in barca puoi anche essere vicino a lui, ma sei comunque al sicuro. Se sei in motoslitta puoi scappare velocemente, ma se invece sei a piedi può essere un problema”.
Come ci si deve comportare in caso di pericolo?
“È fondamentale cercare di non lasciarlo avvicinare. Un incontro inaspettato è ciò che non ti fa avere il controllo della situazione. Dipende molto da dove ti trovi: se devi montare una tenda lo fai in un posto dove hai una buona e vasta visibilità in modo da poterlo vedere a una buona distanza. Se sei appunto in tenda, devi avere la guardia di notte. Bisogna evitare di creare una situazione in cui devi abbattere l’animale”.
Abbattere? Quindi si gira armati?
“Se si esce dal paese sì. È comunque una tua scelta perché non è obbligatorio, ma se non sei armato e incontri un orso, poi sono fatti tuoi”.
Ogni tanto entrano anche nel paese?
“Capita, anche se poche volte”.
Torniamo un attimo al turismo. Negli ultimi anni il numero di visitatori è in costante crescita: temi che ciò possa avere un impatto negativo su un ecosistema già di per sé molto fragile?
“Secondo me si mitizza un po’ troppo quest’aspetto. L’inquinamento più pericoloso è rappresentato da chi si stabilisce qui perché la gente locale difficilmente cambia le proprie abitudini e non è particolarmente attenta all’ambiente. C’è una situazione paradossale: da un lato in determinate aree si può circolare in motoslitta solamente per un periodo di due mesi, e nemmeno tutti i giorni perché questi mezzi inquinano; dall’altro invece ogni settimana atterrano 15 aerei, si circola in auto senza limitazioni, si estrae il carbone… È tutto un controsenso. Alle fine il turista che arriva è molto più attento perché non butta la spazzatura per terra, è attento a dove mette i piedi e ti fa domande su come non inquinare mentre, al contrario, al residente non importa nulla dell’ambiente”.
Quali sono gli effetti del surriscaldamento globale in un ambiente così vulnerabile come le Svalbard?
“Sono un po’ critico al riguardo, nel senso che è una forma di sensibilizzazione attuata ora perché conviene farla ora. L’aumento delle temperature a livello globale c’è già da prima, eppure non è che si è smesso di estrarre petrolio, gas, carbone o piuttosto a produrre macchine a benzina o diesel. Se tu guardi chi sta dietro i progetti di ricerca sull’inquinamento e sull’innalzamento delle temperature nell’Artico, sono soprattutto le società petrolifere interessate alle estrazioni. Alle fine è diventato un business. Fai tutto il discorso sulla sostenibilità ma poi continui a cacciare le balene, non investi sulle fonti rinnovabili e via dicendo. Vista da qui per me è una questione un po’ manipolata”.
Non posso non chiederti del coronavirus: vista la latitudine e le condizioni climatiche, presumo non ci siano stati casi di positività al Covid-19.
“Ufficialmente no, però alcune persone sono state malate, anche se non sono state sottoposte al tampone per cui non ne abbiamo la certezza, ma secondo me qualche caso potrebbe esserci stato”.
Sono state introdotte delle restrizioni?
“Le isole sono aperte esclusivamente ai residenti. L’aereo arriva tutti i giorni, ma con a bordo un massimo di dieci passeggeri. Qui è tutto aperto, anche se bisogna rispettare le misure di distanziamento sociale. E poi hanno vietato la vendita di alcolici perché secondo loro bevendo ci si dimentica delle misure e ci si avvicina troppo”.
Temi ripercussioni sul turismo?
“Sicuramente. Alcune aziende hanno chiuso e il 90 p.c. di coloro che lavorano nel settore sono ora in cassa integrazione. Non si sa ancora se ci saranno turisti in estate. Se sì, si tratterà quasi sicuramente di scandinavi. In Europa molti hanno perso il lavoro e la gente avrà anche paura di viaggiare. Ci vorrà del tempo, ma questo vale un po’ per tutte le destinazioni”.
Sei preoccupato per la tua attività?
“In realtà non più di tanto. Avevo fatto degli acquisti che dovevano rientrare come spese nel corso di quest’anno e invece mi ritrovo ora a non avere i mezzi per pagarli, per cui un piccolo mutuo in banca mi toccherà farlo. Ma me la caverò”.
Torni ogni tanto in Italia?
“Scendo quattro volte all’anno. Faccio un periodo a giugno e poi in autunno/inverno faccio un po’ su e giù un mese sì e un mese no”.
Tornando indietro rifaresti questa scelta?
“Assolutamente”.

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