Maldive, il paradiso che rischiamo di perdere

Un innalzamento della temperatura dell’Oceano, anche di pochi gradi, provocherebbe una catena di catastrofi ambientali a cominciare dalla morte dei coralli

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Maldive, il paradiso che rischiamo di perdere

Ero approdato alle Maldive nel lontano 1980. Era la prima volta che visitavo un ambiente di così grande fascino e così irreale nella sua fantastica naturalezza. Ero l’inviato di una famosa rivista subacquea e per raggiungere Malé, la capitale dell’arcipelago maldiviano avevo intrapreso un viaggio aereo che, ancor oggi a pensarci, mi sembra pazzesco. Guidavo un gruppo di fotografi e di ricercatori carichi di attrezzature che trepidavano più per il loro bagaglio che per sé stessi. Avevo affittato, tramite un tour operator, un aereo charter di bandiera jugoslava che da Belgrado venne ad imbarcarci a Milano e via Baghdad, Dubai, ci scaricò a Colombo, capitale dello Sri Lanka: l’affascinante vecchia Ceylon. Il giorno dopo, con uno stanco bimotore russo, atterrammo finalmente nell’incredibile aeroporto di Malé.

Ci sono ritornato di recente con un comodissimo volo di linea non-stop, assieme ad un gruppo di sub entusiasti. Il mio recondito desiderio era quello di constatare come era mutato l’ambiente di quel fantastico grappolo di 1.193 isole coralline raggruppate in 26 atolli disseminati in una fascia dell’Oceano Indiano lunga 754 chilometri e larga 118, perpendicolare all’equatore. Quello che mi aveva maggiormente impressionato era una stima che avevo fatto in base a dei semplici calcoli forniti da studiosi e ricercatori di tutto il mondo. Se è vero che negli ultimi anni, a causa del surriscaldamento del nostro pianeta, ghiacciai e calotte polari si sono enormemente sciolti, innalzando il livello dei mari di 15 centimetri, quale era la situazione alle Maldive dove la media dell’innalzamento delle isole sul livello del mare è di circa 250 centimetri?
La capitale Malé
In effetti una certa preoccupazione ha colto il Presidente maldiviano che ha istituito un centro di studio governativo che sta già operando nell’arcipelago. Il governo del “Divehi Rājjey ge Jumhuriyyā”: questo il nome ufficiale in lingua araba delle Maldive, preoccupato del futuro dei circa 520mila abitanti, ha varato una politica di difesa territoriale che sta già fomentando plausi e critiche piuttosto sostenute. L’isola della capitale Malé, di circa due chilometri per uno, è stata protetta da un muro in cemento e materiale di madrepore, alto due metri che la proteggerà in tutta la sua circonferenza dall’erosione del mare. Gli abitanti si sono trovati circondati in una città metropolitana in preda a un traffico caotico e disordinato, tanto che molti pensano di trasmigrare in altre isole. Cogliendo al balzo questa ipotesi, il Presidente ha promosso il progetto “Mulhu Malé”: la creazione di un’isola artificiale di circa 400 ettari che è sorta, due metri sopra la superficie del mare, dove prima c’era una laguna. Incentivi e sconti vengono offerti a coloro che vogliono trasferirsi.
Già operativi sono gli agglomerati Malé 2 sull’Isola di Vigili e Malé 3 sull’Isola di Hulhumalé, realizzati per diluire la concentrazione abitativa della capitale. Tanto è bastato per sconvolgere i ricordi che avevo di un paradiso naturale che alcuni studiosi affermano dovrebbe collassare entro i prossimi 80 anni. Rattristato, ho affittato un “dhoni”, la tipica e comoda barca maldiviana, lasciando al vento il compito di spingermi a costeggiare l’intrico dei meravigliosi atolli verso sud, ritornando alle favolose immersioni che avevo fatto lungo gli atolli di Ari, Flelidhoo e Faatu.
La gentilezza apre tutte le porte
La storia documentata delle Maldive ha inizio attorno all’anno 500 a.C. con il regno di quattro Regine, l’ultima delle quali regnò nei primi anni del XVI secolo, quando il flusso dei viaggiatori arabi iniziò a convertire la popolazione dal buddismo all’islamismo sunnita. Religione di Stato dichiarata nel 1153 dal Re Dovemi Kalaminja, professata dai maldiviani sempre senza gli eccessi dell’integralismo e sempre molto aperta alla tolleranza e agli apporti della modernità. Politicamente le Maldive sono un Paese tra i più tranquilli nel contesto attuale dell’arco islamico. Ho viaggiato in lungo e in largo tra gli atolli con equipaggi maldiviani e mai ho notato un minimo sgarbo nei miei confronti; sono sempre stato accolto con cortesia e con il sorriso dalle popolazioni nelle isole quando vi sbarcavo. Il rispetto dimostrato dal visitatore per queste isole è il passaporto per acquisire amicizia in ogni più recondito atollo. Mi sono conquistato riconoscenza e amicizia perché non gettavo a mare nemmeno il più piccolo rifiuto; perché depositavo i vuoti di plastica e di vetro e i rifiuti in genere negli appositi raccoglitori nei villaggi sugli atolli e perché non imbrattavo il suolo delle isole ricoperte di bianchissima e finissima sabbia che forma il pavimento prodotto dal disgregarsi delle madrepore.
L’isola dei vulcani
Il nome Maldive deriva da “Atholu”, che in maldiviano significa “isola a forma di anello”. Gli atolli sono delle formazioni coralline circolari che racchiudono una laguna interna la cui dimensione varia da un manciata a decine di chilometri. Queste formazioni coralline sorgono in prossimità di vulcani sommersi e ormai spenti. Secondo Charles Darwin, che fu il primo scienziato a studiare gli atolli, nel mare occupato oggi dalle isole, milioni di anni fa, sorgevano i vulcani che affioravano dalla superficie offrendo così del terreno consistente ai coralli per crescere. In seguito, il progressivo sprofondamento dei vulcani permise alle formazioni coralline di aumentare lo spessore delle cinture dei sedimenti, favorendo la crescita delle colonie di coralli più in superficie. Un fenomeno progressivo accresciuto dall’abbassamento dei coni vulcanici e dall’innalzamento della cintura corallina.
I rischi dettati dal clima
La cintura o barriera corallina, il cosiddetto reef, protegge gli atolli, permettendo attraverso le cosiddette pass oceaniche, una sorta di varco sottomarino, il ricambio dell’acqua delle lagune, il transito dei pesci e il rifornimento delle forme platoniche necessarie alla vita. Un ecosistema orchestrato dalle maree che anche una piccola modifica ambientale potrebbe distruggere. Un mare tra i più trasparenti, grazie alla scarsa sedimentazione e alla temperatura costante dell’acqua compresa tra i 21 e i 28 gradi, assicura il mantenimento e la crescita dei reef corallini che ospitano la maggior parte delle specie viventi lungo la fascia tropicale del Pianeta. Un innalzamento della temperatura dell’Oceano, anche di pochi gradi, provocherebbe una catena di catastrofi ambientali a cominciare dalla morte dei coralli. Se ne è avuto un esempio nel 1999 con l’avvento del “Nino”: il vento caldo che ha provocato la morte di molti banchi coralliferi fino a una profondità di circa 18 metri. Una situazione del genere se si dovesse normalizzare a causa dell’effetto serra cui sembra destinata a soffrire la Terra, priverebbe gli atolli dalla protezione delle barriere coralline e, di conseguenza, offrirebbe alle onde di un Oceano più alto la forza necessaria a smantellare tutto l’arcipelago.

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