«Esercitazione» alla seconda. Meglio il libro

Lo spettacolo, per la regia di Marin Blažević, ha parlato della storia, dell’identità fiumana e del «chi siamo noi?», ma in maniera poco esaustiva e troppo confusionaria

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«Esercitazione» alla seconda. Meglio il libro

Lo spettacolo “Esercitazione alla vita-seconda volta” avrebbe dovuto incontrare il pubblico fiumano a marzo e gli annunci ufficiali e le conferenze di presentazione sono iniziati già sei mesi fa, verso la fine dell’anno scorso. Si sapeva che le prove si stanno svolgendo in maniera intensiva e che si sarebbe trattato di un evento di portata storica, uno spettacolo grandioso che sarebbe rimasto impresso nelle menti di un’intera generazione, proprio come quello di trent’anni fa. Ebbene, dopo un lungo periodo di tensione e insicurezza a causa della pandemia e della cancellazione degli eventi culturali, la situazione si è stabilizzata quanto basta per rilanciare “Esercitazione alla vita-seconda volta”. Al TNC “Ivan de Zajc” si è riunita l’élite culturale e politica fiumana per assistere finalmente a un prodotto culturale autoctono, realizzato interamente dai fiumani e che parla della città. Dopo la breve introduzione di alcune scene legate ai personaggi storici cittadini, durante la quale è passato un treno merci, quasi a voler rivendicare la natura industriale di Fiume, gli spettatori sono entrati a Teatro alla piacevole frescura dell’aria condizionata.
Chiaro riferimento all’originale
Una volta alzato il sipario, è partito un video di applausi e inchini di fine “Esercitazione alla vita” del 1990, a voler indicare che quel capitolo si è chiuso per farne iniziare uno nuovo e più moderno. Sulla scena è salita Neva Rošić, visibilmente invecchiata rispetto al video, ma piena di vitalità; ha raccontato la sua storia, la sua prima visita al Teatro accompagnata dal padre e l’entrata dalla porta posteriore, usata solitamente per i requisiti di scena. Subito dopo questo incipit autobiografico, agli spettatori viene presentata la storia d’amore di Carlo e Fanica e compare in scena un anello col moretto, che poi si tramanderà di generazione in generazione e diventerà un simbolo di identità familiare e fiumana, un pegno d’amore che sigillerà le unioni tra italiani e croati, fino a finire in mano al dalmata Lucijan. L’amore di stampo fiumano, così come ce lo descrive lo spettacolo, è dettato dalle incomprensioni linguistiche, che però non sono un ostacolo insormontabile alla felicità di coppia. Dopo l’intermezzo ispirato al romanzo di Fabrio, a raccontare la sua vicenda autobiografica e il ruolo avuto nello spettacolo originale è Elis Lovrić; e già a questo punto è stato chiaro che l’andamento di “Esercitazione alla vita-seconda volta” non sarebbe stato lineare. Nel corso di tutte e quattro le ore dello spettacolo è stato un continuo incastrarsi di scene dell’originale, con rivendicazioni politiche di grandi uomini storici, esperienze personali delle attrici, video fatti a Los Angeles da Mira Furlan, irruzioni in scena di Tanja Smoje nei panni di Daša Drndić, che recita brevi passi dai suoi romanzi. Anche i piani temporali si sovrappongono e succede spesso che Mafalda anziana (Neva Rošić) si rivolga alla Mafalda giovane (Leonora Surian), alla presenza di Mafalda bambina.
La pace innanzitutto
I destini delle donne nel romanzo di Fabrio – ma anche quelli degli uomini se vogliamo dirla tutta – sono per lo più tragici, ciascuno a modo suo. Tra tutti i racconti autobiografici quello che più ha colpito chi scrive è stato il ricordo di Zrinka Kolak Fabijan, la quale si è allontanata dal Teatro per libera scelta circa vent’anni fa e ora vi è ritornata per raccontare la crudeltà della guerra e tracciare un parallelo tra la propria vita e quella del suo personaggio, Antonija (Tonka) Despot.
Kolak Fabijan è originaria di Vukovar e tra le tante perdite subite nella vita, ha dovuto assistere alla distruzione di tutti i luoghi della sua memoria: la sua casa, la scuola, gli spazi che hanno segnato la sua giovinezza. La guerra non risparmia nessuno, proprio come succede con Antonija Despot, che perde il figlio, e in un momento di disperazione recita la famosa frase rivolgendosi agli uomini di famiglia: “Ča van se to rabi?“ (Chi ve lo fa fare?) In questa frase è racchiuso il nocciolo della visione al femminile della storia presentata da Marin Blažević e dalla sua squadra al femminile.
Le donne non si interessano di politica, di rivendicazioni territoriali, di lotte fratricide e complotti. Le donne fiumane vogliono tutelare la famiglia, i loro cari; le donne vogliono la pace innanzitutto.
È la Storia…
Il problema dell’identità e del “chi siamo noi?” si ripresenta in continuazione nel libro e negli spettacoli di “Esercitazione alla vita”. La risposta la ritroviamo nell’anello di famiglia, il famoso moretto che Emilia vuole dare al fidanzato anche se la nonna Mafalda si oppone, in quanto lui è uno slavo, un “barbaro”. Emilia allora le fa notare che l’anello è stato comprato da Carlo, un italiano, per la moglie Fanica, croata, e che quindi una purezza linguistica o identitaria in famiglia non è mai esistita. La nipote chiede alla nonna il perché della sua opposizione alla sua relazione con uno slavo e la nonna le risponde brevemente e con la voce contratta dall’emozione: “È la Storia!“
“La Storia non tiene conto degli individui e noi abbiamo voluto farne parte“, conclude Mafalda.
Un’invettiva contro Fabrio
La seconda parte dello spettacolo potrebbe venire definita moderna, in quanto parla del periodo dalla Jugoslavia in poi. A rivolgersi al pubblico è Mira Furlan, un’esule moderna che parla di viaggi, di fughe e ritorni, di appartenenza e individualità. In una serie di lettere inviate a sé stessa Furlan spiega che le donne quando non si adeguano, non si inseriscono o non rispondono alle aspettative, vengono definite pazze. Le pazze della storia fiumana, pure nel libro di Fabrio, sono spesso rimaste senza storia e senza nome. Le fiamme giovanili di Fumulo, l’ungherese Žuža, la giovane alla quale ha dato casualmente fuoco durante un ballo in maschera, le mogli silenziose, le cortigiane, nel romanzo sono rimaste senza nome, anche quando i personaggi maschili le usano per spegnere la fiamma dell’ardore sessuale. Ed “Esercitazione alla vita-seconda volta” si chiude proprio così, in un discorso infuocato che dà finalmente nome e peso alle donne, ricordando le grandi fiumane che stanno scrivendo la storia di oggi, le presidi di Facoltà, le direttrici di istituzioni importanti, le politiche, le artiste, le storiche. Le donne fanno fronte comune e alzano la voce per fare valere i propri diritti. La chiusura dello spettacolo è l’uscita di scena di Neva Rošić, da quella stessa porta sul retro dalla quale entrò all’età di soli cinque anni.
Il troppo stroppia
A voler trarre le somme della situazione alquanto complessa, sarebbe da dire che lo spettacolo avrebbe avuto più successo tra il pubblico se fosse stato più conciso e più lineare. Sicuramente sarebbe stato più interessante assistere a una versione moderna della storia fiumana lontana dal romanzo e dallo spettacolo “Esercitazione alla vita”. A tre decenni di distanza Darko Gašparović, Georgij Paro e Nedeljko Fabrio non ci sono più e l’unico ponte tra i due spettacoli è rappresentato da Loredana Gašparović, la quale ha criticato lo spettacolo per tutta una serie di motivi che, secondo lei, con la vicenda di Fabrio non c’entravano proprio niente. Non per tirare l’acqua al nostro mulino, ma il monodramma “Il bonsai ha i rami corti”, realizzato in soli due mesi e con un dispendio di energia, tempo e denaro decisamente più modesti, è stato un evento dal valore estetico molto più alto del grandioso e pubblicizzato “Esercitazione alla vita-seconda volta”.

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