Schiacciati dal sovraccarico tra doveri, impegni e sfide quotidiane, abbiamo spesso l’impressione di trovarci tra l’incudine e il martello, tra due o più consistenze che ci opprimono. Osservato dall’esterno, un altro significato di questo antico detto ci mette bene in guardia: è meglio stare alla larga da ciò che non ci riguarda personalmente, soprattutto tra due parti in conflitto. In parole povere, se le parti contrapposte cercano il contrasto: che guerra sia! Ma guai a chi si intromette e vuole intervenire per pacificare le parti; potrebbe facilmente perire.
Credo che oggi come oggi nessuno tra di noi, comuni mortali, voglia partecipare a qualsiasi tipo di antagonismo o scontro che si viene a creare per predominio sull’altro o per giochi strategici in cui si dilettano gli eletti. I conflitti sono da sempre legati al mondo dei potenti e prepotenti, alle loro supremazie sui territori e sulle genti. Gli strumenti odierni di conquiste, vecchie e nuove, provengono dalle dottrine economiche, politiche e strategiche più importanti che conducono a una parola antica, pregna di significato: il mercantilismo.Visto come un atteggiamento egocentrico, è tuttora presente nel fatto di giustificare gli interventi locali e globali con i concetti legati al potere, alla ricchezza e al profitto.
Ce lo spiega, chi altri sennò il nostro illustre Umberto Eco, nella “Storia della civiltà europea” (2014) in cui descrive come i governi “vedono la fonte della ricchezza nazionale nel possesso di denaro e di metalli preziosi, dove per aumentarli bisogna iniziare vere e proprie guerre commerciali” che seguono regole e stratagemmi ben precisi. Le guerre commerciali sono chiaramente guerre di potere, presenti da sempre nella storia dell’umanità. Un’altra osservazione parla dell’“idea comune che il volume totale del potere e della ricchezza disponibili per tutti i Paesi sia una grandezza approssimativamente fissa: un Paese può avvantaggiarsi nella lotta per il potere e la ricchezza solo a discapito degli altri. Allo stesso modo la ricchezza all’interno di una nazione è fissa, e chi ne possiede di più la sottrae ad altri”. Questa considerazione potrebbe dare una spiegazione sulle disuguaglienze tra Paesi e Paesi come anche tra classi o gruppi sociali all’interno dei Paesi stessi. “Le politiche economiche dipendono dalla concezione generale della disponibilità limitata delle ricchezze, e si attengono a una nuova strategia che verrà poi chiamata ‘mercantilismo’ od anche ‘sistema commerciale’ o ‘protezionismo storico’. Esso è di fatto un vero sistema di potere e di controllo statale dell’economia secondo le direttive del sovrano”.
Le maggiori economie mondiali
Viviamo in tempi in cui riconosciamo l’esistenza dei moderni sovrani rappresentati da Paesi con le maggiori economie mondiali: i cosiddetti G7, G8 od addiritura G20. Sembrano loro decidere le strategie al livello mondiale: da quelle commerciali a tutte le altre, oltre a gestire e controllare gli andamenti dei mercati e con essi anche le condizioni sociopolitiche vigenti. In base a comuni accordi potenziano territori, assistono mercati in ascesa dei Paesi in via di sviluppo, formando importanti alleanze internazionali. Succede però che qualche volta, durante queste trattative, sorgano disaccordi e conflitti; tra i potenti, naturalmente. Assistiamo allora all’evolversi delle varie crisi d’interessi che spesso si trasformano in conflitti bellici veri e propri. Le conseguenze ci sono ben note, ma i risultati finali possono ancora sorprenderci.
Non era mia intenzione entrare profondamente nelle vicessitudini dei potenti e prepotenti; la storia insegna sempre, ma molto spesso si ripete, davanti ai nostri occhi. Mi sono solo servita di alcune citazioni del nostro grande filosofo, scrittore, giornalista e padre della semiotica, Umberto Eco, per risalire alle possibili interpretazioni dei significati dell’antica frase presentata nel titolo di quest’articolo. Dal mio punto di vista, l’entità dell’incudine, un’entità ponderosa, potrebbe benissimo rappresentare la realtà sociopolitica ed economica del mondo, a cui si contrappone il martello, simbolo di vari confronti, pericoli, minacce e sfide. Nel violento contatto tra queste due entità, oltre alle scintille dell’impatto, vengono forgiate nuove forme: nuovi sistemi, eventi e valori o disvalori, al livello globale o mondiale. Provengono dai colpi con cui il martello colpisce il metallo rovente, mutandogli l’aspetto mentre l’essenza del metallo, alla fine rimane inalterata. Il metallo rovente rappresenta per lo più la parte del mondo che è giovane, l’essenza dinamica del mondo con il suo cuore incandescente. Al suo interno il fervore vitale ha bisogno di una forte incudine che lo sostenga, ma anche di un martello che quando colpisce, lo fa con accurata precisione per modellarlo secondo il quadro prestabilito. Così, tra l’incudine e il martello, con colpi programmati e decisi, seguendo un piano basato su qualità e valori etici e morali, nascono entità nuove che portano al progresso, a condizione che prima di diventarlo, abbandonino il loro cuore ardente ai colpi del martello.
Giovane e fervente umanità
Questa giovane e fervente umanità si presta ai colpi che la plasmano, in gran parte seguendo le martellate delle direttive dei potenti, mentre una parte minore produce qualcosa di eccezionale: le martellate della conoscenza, della cultura e dell’arte conservano la resistenza della struttura interna, mantengono i valori in cui si forgiano virtù, ideali, talenti e qualità dell’identità stessa del territorio, lo tutelano e lo trasformano. La parte minore non si lascia affatto piegare dai condizionamenti del mondo. Resiste, cercando di rinnovarsi negli eventi e nelle generazioni future, più forte e più resiliente.
La gioventù di cui vorrei parlare, preme sul mondo di oggi con la sua energia impetuosa, ma non è quella che ci circonda, nel nostro Vecchio Continente stanco e non viene nemmeno dal continente scoperto nel 1492. Si tratta di un continente vicino: è l’Africa, la terra in cui il forte spirito creativo, la vitalità, la forza, la resistenza, la voglia e la convinzione di superare e vincere tutti gli ostacoli, spingono i giovani, non solo a fuggire dai condizionamenti dei regimi locali, ma di dare il meglio di sé stessi, all’interno delle società in cui vivono. L’Africa è il continente che è stato fissato tra l’incudine e il martello degli interessi, fin dai tempi remoti e ancora resiste, lasciandosi forgiare e scoprendo al mondo l’inesauribile ricchezza delle proprie culture, e non solo.
Andiamo a conoscere un ambiente affascinante, una città situata su un altipiano nigeriano. Raccontiamo brevemente parte della sua storia che si perde nella notte dei tempi. Sappiamo della sua esistenza dopo che i primi navigatori e mercanti portoghesi e olandesi, si fermarono nella città di Ubinu/Edo (l’odierna Benin City), meravigliati del fatto che il centro urbano, capoluogo del grande regno – Regno del Benin, presentava delle strutture ben organizzate con una rete stradale illuminata da lampade a olio di palma (dicono che nel Cinquecento Amsterdam non conosceva l’illuminazione notturna), le case costruite senza porte, mai chiuse all’ospite – segno della cordialità, della fiducia e della sicurezza che vigevano all’interno della città, circondata da alte mura di protezione. Si trattava di un insieme di terrapieni con argini e fossati, costruiti a partire presumibilmente dal Duecento in poi. Si estendevano per circa 16.000 chilometri nelle aree rurali del regno, ricoprendo un’area di 6.500 chilometri quadrati. Molti scienziati le considerano tra i più grandi fenomeni archeologici del pianeta. Sì, avete letto bene, tra i più grandi fenomeni archittetonici, costruiti sapientemente con il materiale che avevano a disposizione. L’etno-matematico Ron Eglash scopre un vero progetto della città in cui venivano utilizzati frattali di terra, così come nei villaggi e negli spazi interni delle case. Eglash spiega l’unicità dei frattali che si riconoscono non solo nelle costruzioni, ma pure nelle creazioni artistiche e aggiunge che “quando gli europei sono venuti per la prima volta in Africa, hanno visto l’architettura come molto disorganizzata e quindi primitiva. Non si sono mai resi conto che gli africani avrebbero potuto usare una forma di matematica che loro stessi – portoghesi, olandesi ed inglesi, non avevano ancora scoperto”. Eglash trova i modelli frattali perfetti nell’architettura, nell’arte e persino nelle variazioni di pettinature delle treccine africane. L’incudine della saggezza antica africana incontra il martello del mondo che cerca di conquistarla.
Un passato importante
Una delle costruzioni architettoniche che riflettono i modelli frattali, le mura del Benin, ha visto molte battaglie ma quella che ha segnato la sua fine, con la distruzione quasi completa di tutto il complesso, era la cosiddetta “spedizione punitiva” dei britannici, nel 1897. Non bastava occupare la città, saccheggiarla dandola alle fiamme e portando via prove della cultura materiale dei popoli locali, ora esposta nei musei più famosi del mondo, parte del bottino di guerra che in quell’area continua ancora, in altre forme e con altri mezzi. No! Il capoluogo fu completamente devastato e annientato, insieme ai suoi abitanti. I valori del bottino hanno intrapreso una lunga strada e fanno ancora parte del valore nazionale culturale dei potenti della terra, mentre a Benin City oggi solo in pochi ricordano i luoghi con i resti delle storiche mura come anche degli artefatti sottratti, le cui copie possono essere viste a Igun-Eronmwon Street, a Benin City, sito protetto dall’UNESCO, facente parte del patrimonio mondiale. Gli originali degli artefatti sono paradossalmente ancora conservati nei Paesi tra i quali primeggia quello in cui si trova la sede della stessa organizzazione dell’UNESCO.
In nome del progresso, della multiculturalità, della fratellanza tra i popoli, dell’accoglienza dei più umiliati e deprivati del mondo e dei loro valori, riconosco la forma dell’incudine contemporanea, ed ecco che spunta il martello della giustizia storica che potrebbe riscattare la faccia dell’umanità globale, facendo riportare a casa gli oggetti sacri di un’identità antica.
Tra l’“incudine e il martello” della mia visione esiste una particolare forgiatura nobile, quella presente in tutti i Paesi del mondo. La scuola.
La scuola di Benin City
La fucina è LA SCUOLA, ancora in costruzione (le manca il TETTO, all’esterno), dal nome che illumina l’ambiente dell’educazione di Benin City – l’Accademia della Luce Vivente. Frequentata da più di settecento (700) bambini e ragazzi, essa offre a molti che prima non conoscevano la scuola, un completo percorso scolastico: dalla scuola dell’infanzia alla scuola superiore. I curricoli scolastici seguono severamente i programmi prescritti dal Ministero dell’Istruzione Pubblica, equivalenti ai programmi britannici e/o statunitensi, adattati all’ambiente locale, nigeriano. Esiste, però, una differenza importante: oltre alle materie obbligatorie, nella scuola si organizzano attività extrascolastiche in cui gli studenti possono esprimere in piena libertà espressiva le loro capacità creative: ed è proprio durante questi momenti unici di comunità che nascono piccole opere d’arte nonostante la scarsità di accessori e materiali didattici. Ricompaiono gli antichi modelli sui tessuti con la tecnica tie-dye, sulla carta trasformata in fiori, su materiali poveri che diventano ghirlande, collane e braccialetti. La povertà, la carestia e altre varie forme di avversità che colpiscono come martelli in modo costante gli studenti, non rappresentano un ostacolo alla loro creatività artistica. Tutt’altro. Nella scuola è profondamente radicata la forza dello spirito che vuole dimostrare i propri valori, sia quelli della tradizione che quelli scoperti attraverso l’insegnamento e la testimonianza dei loro insegnanti che volentieri mettono non solo le loro mani, ma anche i loro cuori, tra l’incudine e il martello, affinché gli studenti di oggi diventino un’entità nuova: i campioni del domani. Niente di meno! Perché la realtà che li circonda esige da loro menti e cuori forti con i quali devono essere sempre pronti a nuove battaglie che il mondo presenta loro e dalle quali bisogna uscire vincenti, tutelando e trasformando il territorio, il proprio Paese, dando un importante contributo alla continuazione e alla stabilità di un mondo migliore. Tra l’incudine e il martello.
*docente del Dipartimento di Studi Italiani dell’Università di Zara
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