Quando i telefoni avevano il filo

Un racconto svela i timori di Sandro Listrana riguardo a possibili attacchi eversivi a un’importante centrale interurbana che pareva irraggiungibile a coloro che non erano addetti al suo funzionamento, ma che proprio per questo era un possibile obiettivo

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Quando i telefoni avevano il filo

La mattinata fredda di quel dicembre del 1980, anche se la data non era ancora a ridosso del Natale, aveva già sparso nell’aria quell’eccitazione frivola tipica delle giornate che precedono le festività. Sandro Listrana aveva discusso la sera prima con la moglie e con la figlioletta della partenza per la montagna. Aveva ancora qualche giorno di ferie e li avrebbe opportunamente inseriti tra i giorni festivi per trascorrere così un lungo Natale sulla neve. Mentre guidava verso il posteggio vicino all’ufficio, s’insinuò nel tormentoso traffico, già molto caotico sin dal mattino. La “fiumana” di vetture scorreva lenta verso la city e aveva così l’opportunità di osservare guidatori e passeggeri. Era un’abitudine che aveva preso tempo addietro per distrarsi dalla monotonia del traffico. Superato il semaforo, si trovò a fianco di una vettura dei Carabinieri, guidata da un giovane appuntato. Sul sedile posteriore un ufficiale leggeva il giornale. Listrana lo riconobbe e con la mano sinistra batté sul vetro della sua vettura. Lo salutò e subito dopo dovette voltare a sinistra per entrare nel posteggio. Mentre scendeva dalla vettura pensò: ma come si fa ad essere così tranquilli. Leggere il giornale senza guardarsi attorno. Se invece del sottoscritto l’avesse accostato un brigatista con una pistola con il silenziatore, in mezzo a tutto quel traffico nessuno se ne sarebbe accorto.

 

 

Gli anni di piombo
L’ascensore lo portò velocemente al 14º piano. Entrò nel suo ufficio e, come faceva sempre, consultò l’agenda. Non c’era nulla d’importante. Nulla di urgente che non si potesse rimandare. Poteva approfittare per recarsi dal responsabile dell’Agenzia con il quale aveva dei rapporti di lavoro, per fare gli auguri di Natale ai colleghi di quell’ufficio e fissare alcuni appuntamenti. Dopo una breve sosta alla macchina automatica del caffè, avvisò la segretaria del capo che usciva. Attraversò il grande salone aperto al pubblico incrociando Dino Talleri che controllava, come sempre i “suoi” impiegati. Il dirigente lo guardò in cagnesco come guardava tutti coloro che non lo ossequiavano. Sandro Listrana, con atteggiamento disinvolto lo fissò diritto negli occhi atteggiando la bocca a un lieve sorriso, sfiorandolo appena e dirigendosi verso la porta a vetri che si apriva sulla via affollata. Entrò nel garage del grattacielo, firmò l’uscita per la piccola vettura a disposizione del pool e imboccò la rampa tuffandosi nuovamente nel traffico. La radio trasmetteva le notizie del giornale radio del mattino che informava dell’arresto di alcuni esponenti delle Brigate Rosse e della scoperta di covi e basi nonché di gruppi di fuoco sottolineando come gli inquirenti avessero preso in esame ogni possibile azione dei brigatisti per poterla neutralizzare. Erano queste, considerazioni che non condivideva affatto. Come facevano a essere così sicuri di poter neutralizzare a priori atti criminali azioni di un’organizzazione che non conoscevano a fondo e della quale ignoravano perfino la consistenza dei componenti e soprattutto le capacità operative. Ci pensò tutto il giorno, ma non volle condividere con nessuno le sue perplessità.
Quella forte preoccupazione
Era un periodo brutto. Televisione e giornali non facevano altro che parlare di una destabilizzazione in atto nel Paese e ogni giorno davano notizie di scontri, agguati, gambizzazioni di giornalisti, uccisioni di magistrati e uomini politici. A Genova era ancora fresco il ricordo del sequestro di un giudice e dell’omicidio di un procuratore generale della Repubblica e della sua scorta che i brigatisti avevano assassinato nel 1976. Sandro Listrana stesso, cinque anni prima, era stato testimone di un tragico fatto capitato a un suo carissimo amico: un Ufficiale dei Carabinieri era stato gravemente ferito e mutilato nel corso di un conflitto a fuoco con i brigatisti durante l’operazione di dissequestro di un imprenditore. Anni di piombo li chiamavano. Altri parlavano addirittura di guerra civile, anche se il suo amico cercava sempre di minimizzare, pur avendo ricevuto la Medaglia d’Oro al Valor Militare per quell’azione. Insomma si viveva una tensione abbastanza forte in quegli anni e ogni notizia trasmessa dai media creava delle ipotesi di pericolo. Sandro Listrana non riuscì a dormire quella notte. Da qualche giorno gli frullava in testa un’idea e in lui montava la preoccupazione. Era un’idea legata più che al suo lavoro all’ambiente in cui il suo lavoro si svolgeva.

La sicurezza degli impianti
Certo lui non era il responsabile di nulla e men che meno della sicurezza degli impianti telefonici gestiti dalla sua Compagnia, ma non riusciva a capire come mai non si percepisse all’interno della stessa quel senso di preoccupazione che era così tangibile in altri ambienti, anche in quelli meno importanti. Aveva tastato il terreno per conoscere il parere dei colleghi, per vedere se si rendessero conto di essere parte di un ingranaggio importante e sicuramente vulnerabile, soprattutto per quei tempi in cui la rete telefonica fissa era l’unico sistema di comunicazione rapida e sicura (non esistevano ancora né Internet né la rete di telefonia mobile). Aveva manifestato questa preoccupazione, ma in maniera molto blanda, anche ad un dirigente durante una discussione su alcuni fatti di politica internazionale, così tanto per vedere la sua reazione. Non si fidava di parlarne a fondo perché era quello un periodo di grandi incertezze dove una parola male interpretata poteva anche sembrare sbagliata. Eppure con qualcuno doveva parlarne.

Una stanza incustodita
La riunione era stata fissata per le 9. L’argomento era la realizzazione di una canalizzazione interrata per la posa di alcuni cavi telefonici a sevizio del nuovo quartiere a monte della città. L’ufficio al 17º piano del grattacielo era vuoto. Sandro Listrana, giunto da alcuni minuti, stava osservando dalla grande vetrata la piazza sottostante che brulicava di gente in uscita dalla stazione ferroviaria. Gina Gatti, la segretaria dell’ingegnere, che aveva fatto capolino nell’ufficio, gli diede il buongiorno. Sandro Listrana si soffermò un istante a guardare quel portamento elegante che ondeggiava scomparendo dal vano della porta e, quasi a volerla trattenere, le disse: Senta signorina, se arrivano quelli della riunione, dica loro che io sono andato dai progettisti a prendere i disegni della tubazione. La stanza che conteneva i mobili metallici ove erano custoditi i vari disegni dei delle tubazioni e il percorso dei cavi telefonici interrati di tutto il territorio era silenziosa. Non c’era nessuno che rovistasse nell’archivio. Si sentiva, in lontananza, il vociare di alcuni disegnatori negli uffici a fianco e la voce più alta di un impiegato che parlava al telefono. Listrana aprì la scaffalatura metallica e cercò nella rastrelliera la striscia del disegno che gli interessava. Nei mobili metallici erano sistemati in ordine topografico e alfabetico tutte le realizzazioni dei percorsi dei cavi telefonici ubicati nel territorio. Ci mise un attimo a trovare i disegni della tubazione interrata. Chiuse il mobile e, così come era entrato, uscì dirigendosi all’ascensore.

I dubbi
Mentre con il rotolo dei disegni in mano ritornava al posto di riunione, gli venne da pensare: Ma è possibile che non esista un controllo? Aveva sempre sentito dire che l’ubicazione degli impianti telefonici era una cosa riservata. Soprattutto il percorso di cavi interurbani e urbani di collegamento tra servizi di sicurezza e centri di coordinamento, non dovevano essere di dominio pubblico. Eppure, con la più grande facilità, aveva prelevato i disegni e non solo nessuno gli aveva chiesto nulla, ma neppure nessuno l’aveva visto entrare o uscire dalla stanza dell’archivio che aveva addirittura la porta d’ingresso spalancata. Pensò anche a come sarebbe stato facile fare una fotocopia del disegno nel mentre lo trasportava, oppure come nessuno se ne sarebbe accorto se un disegno fosse addirittura sparito. La riunione finì verso le dodici e trenta. Uscirono tutti per la pausa pranzo e il disegno rimase esposto sul tavolo. Il responsabile non pensò neppure a custodirlo provvisoriamente in un armadio. Verso le 17, quando uscì dall’ufficio, l’aria frizzante e il vento di tramontana tingevano di rosa il cielo a ponente che si rispecchiava brillante sulle grandi vetrate dei palazzi del centro. Quasi automaticamente, Sandro Listrana entrò nel bar che si trovava di fronte al Comando dei Carabinieri. Mentre sorseggiava il caffè appena macchiato con una goccia di latte, attraverso la grande vetrata vide fermarsi una macchina dell’Arma, sulla quale stava salendo un maggiore: un ufficiale che conosceva benissimo e con il quale discuteva di pesca quando lo incontrava al Club Nautico dove ambedue tenevano ormeggiata una piccola imbarcazione da diporto. Peccato che il maggiore stesse uscendo. Avrebbe scambiato volentieri qualche parola con lui, se non altro per scaricare la sua preoccupazione in merito a ciò che lo preoccupava: a quella che lui considerava una scarsa sicurezza nel riguardo degli impianti telefonici.
Prendere una decisione
Cercò di non pensarci. All’edicola comperò l’edizione della sera del quotidiano di Genova. Voleva vedere che film davano al suo cinema preferito. Nello sfogliare il giornale non potè fare a meno di soffermarsi sul titolo di un nuovo conflitto a fuoco con le BR. Era indubbiamente un brutto periodo. La mattina dopo era un sabato. Listrana si svegliò come tutte le mattine: quando andava al lavoro. Erano le 7 e subito gli ritornò alla mente quello che lo preoccupava. Prese la decisione mentre stava facendo colazione. Telefonò al suo amico maggiore, sperando di trovarlo in ufficio. Gli rispose il piantone. Il maggiore stava arrivando, gli disse. Sono Listrana: gli dica che sto venendo da lui perché devo parlargli. Furono più rapidi del solito i convenevoli. Sandro Listrana si era preparato il preambolo di ciò che doveva dire ed ora non trovava la giusta intonazione per raccontare quanto lo assillava. Forse la sigaretta che gli offriva il maggiore avrebbe potuto calmarlo, ma Listrana aveva smesso di fumare già da qualche anno. Un caffè però lo accettò con piacere. Il tema si dipanò poi velocemente. Fu semplice interessare il maggiore di quanto diceva. Lo capì vedendo il suo atteggiamento. Listrana allora insistette sulla facilità di poter chiarire subito l’importanza che aveva la sua visita. Raccontò con fare preoccupato la fragilità di un sistema di protezione dei sistemi interurbani telefonici. La possibilità di interrompere le comunicazioni interregionali con estrema facilità da parte di gruppi organizzati, provocando danni ingenti difficilmente risolvibili in breve tempo. Il maggiore lo stava a sentire tradendo un nervosismo appena accennato. Ad un tratto fece cenno a Listrana di fermarsi. Gli chiese a bruciapelo se era disposto a spiegare il tutto, con precisione, a una riunione di responsabili dell’antiterrorismo dell’Arma e, nel frattempo, mantenere il più assoluto riserbo con chiunque. Fu la prima volta che Sandro Listrana si sentì mancare: non svenire, ma comunque un bel po’ di tremarella lo fece quasi balbettare. Non poteva che accettare. Era andato al ballo e ormai doveva ballare. Lunedì ricevette la telefonata del maggiore, l’appuntamento era fissato alle 17 nel suo ufficio. Si presentò puntuale. Assieme al maggiore, c’erano altre tre persone ad attenderlo. Erano in borghese e si presentarono come ufficiali dell’Arma. Uno di loro gli chiese di essere il più chiaro e il più circostanziato possibile al fine di poter prendere degli appunti. Non aveva con sé il disegno di progetto del tracciato dei cavi interurbani, ma poteva benissimo fare degli schizzi per illustrare meglio la situazione esistente.

Un rischio da evitare
Disse subito che gli sembrava incredibile come nessuno avesse pensato di considerare facilmente fattibile la neutralizzazione di obiettivi tanto evidenti e che la Compagnia avesse solamente provveduto a uno sporadico controllo delle centrali telefoniche. Le tre persone in borghese, una delle quali prendeva dei rapidi appunti, erano sempre più interessate con il trascorrere del racconto di Listrana. Non l’avevano ancora interrotto e la parte più interessante doveva ancora arrivare. Una squadra di “finti operai” con indosso una tuta da lavoro con le insegne della Compagnia sarebbe certamente passata inosservata se impegnata ad operare attorno all’entrata di una cameretta. Tre uomini sarebbero bastati per introdurre e sistemare un sufficiente quantitativo di materiale esplosivo all’interno e preparare l’innesco a tempo. Identica procedura poteva essere ripetuta in diverse camerette. Bastava conoscere e individuare le localizzazioni strategiche dei punti di snodo e congiunzione delle varie direttrici dei cavi telefonici interurbani. Per fare questo, un facile furto su commissione dei disegni, avrebbe semplificato l’operazione. La pianificazione dei tempi di brillamento delle cariche avrebbe provocato un danno irreversibile. Sarebbe stato un successo per l’eversione, sia materiale che psicologico. Avrebbe, in un colpo solo, interrotto completamente ogni comunicazione telefonica tra il nord e il sud dell’Italia.

Il sistema interurbano
Mentre i tre ufficiali in borghese stavano a sentire allibiti, il maggiore sembrava più disteso, quasi compiaciuto di essere colui che aveva contribuito a far nascere in prima persona un problema così delicato e importante per la sicurezza. Listrana toccò un altro punto delicato. Precisò che i punti nevralgici del sistema telefonico interurbano, erano delle specifiche centrali alle quali erano attestati i cavi con un sistema di allaccio. Centrali dotate di un sistema complesso, autosufficienti, funzionanti anche in caso di black out elettrico, dislocate in punti nevralgici delle città, ben protette e sorvegliate. Genova aveva un’importante centrale interurbana che pareva irraggiungibile a coloro che non erano addetti al suo funzionamento ma, proprio per questo e poteva sembrare un anacronismo, era un possibile obiettivo di successo in caso di attacco eversivo. Era una centrale che, in un certo senso controllava e smistava gran parte delle linee che transitavano da Genova provenienti dal sud verso il nord e viceversa. Centrale importantissima per il traffico interurbano ad ogni livello. La centrale era sistemata all’ultimo piano del grattacielo, sede della direzione regionale della Compagnia, mentre i piani sottostanti erano occupati dai numerosi uffici, sino a giungere al grande salone del piano terreno, aperto al pubblico. Al piano interrato, erano custodite le autovetture della Compagnia e quelle di alcuni dirigenti, in uno spazioso garage controllato da un addetto all’ingresso. Decine di autovetture rientravano la sera in garage, provenienti dalle più disparate località della regione e venivano semplicemente posteggiate dagli utilizzatori che avevano ultimato il loro turno di servizio. Nessuno si preoccupava di controllare nulla e se le vetture arrivavano oltre il normale orario di servizio, non c’era neppure l’addetto all’ingresso del garage. Durante gli spostamenti nelle località di lavoro, nell’arco dell’intero territorio regionale, poteva essere facilissimo per le BR, intercettare qualche autovettura della Compagnia in sosta ad un posteggio e sistemare una carica esplosiva magari sotto il pianale. Poteva essere sufficiente minare un paio di vetture con una carica ad alto potenziale, naturalmente con detonatore a tempo che deflagrasse nel corso della notte, per provocare un vero disastro.

Il silenzio è d’obbligo
A questo punto i tre ufficiali in borghese, dopo aver chiesto alcune informazioni che servivano loro per inquadrare meglio la situazione, ringraziarono Listrana pregandolo di non fare assolutamente parola con nessuno di quanto si era detto nel corso della riunione. Dissero di essere molto preoccupati che soltanto una parola trapelasse e che, di conseguenza, potesse innescare qualche idea o qualche suggerimento nei terroristi. Lo pregarono di rimanere in città nei giorni seguenti, a disposizione per qualche eventuale chiarimento e lo salutarono calorosamente. Il maggiore lo accompagnò al portone della palazzina, dicendogli di stare tranquillo, Se ne sarebbero occupati loro del problema. Sandro Listrana uscì in strada tutt’altro che tranquillo. Il buio della sera fredda e umida non fece altro che aumentare la sua agitazione, ma doveva assolutamente calmarsi perché altrimenti a casa la moglie si sarebbe accorta che qualche cosa lo turbava e lui non avrebbe potuto spiegarle il motivo. Verso metà settimana il maggiore lo chiamò al telefono e gli dette appuntamento nel suo ufficio. Sabato, con un volo del mattino, lui e il maggiore si sarebbero recati a Roma. Sarebbero stati accompagnati alla direzione generale della Compagnia, dove assieme a un alto dirigente dei servizi erano attesi dall’amministratore delegato. Listrana ricordava vagamente dov’era la direzione generale della Compagnia. Vi era stato un paio di volte per delle riunioni di lavoro, ma più di qualche capo ufficio non aveva incontrato. Chissà chi era l’amministratore generale. L’aveva fatta grossa a raccontare le sue paure. Ora si che sentiva la gola serrarsi. Aveva difficoltà a deglutire e chiese un bicchiere d’acqua. Gli portarono una Coca Cola. L’aveva sempre odiata la Coca Cola. Non gli piaceva, ma ora la bevve d’un sorso. Naturalmente doveva trovare una scusa con la moglie. Una scusa qualsiasi di un viaggio inerente una riunione qualsiasi, ma per carità, silenzio assoluto in merito alla missione. Sandro Listrana era un appassionato di fotografia subacquea e spesso si recava a partecipare a manifestazioni e congressi della sua associazione, chiamato in varie località del paese. Fu quella la scusa.

In missione a Roma
Venerdi sera Sandro Listrana andò a letto molto tardi. Non riusciva a prendere sonno. Cercava di prevedere quello che sarebbe successo l’indomani mattina alla direzione generale della sua Compagnia. Doveva stare calmo e comportarsi normalmente. Era un bel dire. Roma li accolse con un bel sole. Dall’alto l’occhiata era splendida come sempre. All’uscita del terminal li attendeva una persona che il maggiore conosceva e che presentò come un suo pari grado dell’Arma. Una vettura blu senza alcun contrassegno li attendeva poco avanti l’uscita. Era in moto e l’autista era pronto a partire. Ci misero quasi più tempo a coprire il tratto Fiumicino-Roma che quello che avevano impiegato in volo da Genova. La capitale, come al solito, era congestionata da un traffico diretto soprattutto in uscita. Già, infatti era sabato. La vettura che li trasportava si arrestò davanti all’entrata principale della Compagnia. L’autista parlò brevemente con il guardiano all’ingresso che gli indicò la rampa d’accesso al garage. La vettura percorse ancora alcuni metri e si fermò di fronte a due persone in evidente attesa. Furono fatte le presentazioni e Listrana, il cui cuore batteva all’unisono con il rumore delle pale di un grosso ventilatore sistemato sul soffitto del garage, capì appena il nome dell’amministratore delegato della sua Compagnia. Sentì solamente la decisa stretta di mano e l’invito ad accomodarsi verso il grande ascensore che attendeva con le porte spalancate. Gli cedette il passo anche l’altra persona che li aspettava, presentatasi anch’essa come un ufficiale dell’Arma. Qualcuno premette l’ultimo tasto della pulsantiera e l’ascensore partì in un soffio. Dieci secondi dopo, le porte si spalancarono inondando di sole gli ospiti. Una grande vetrata offriva uno sguardo meraviglioso alla città immobile, immersa in una leggera atmosfera velata d’azzurro. Entrarono in un ufficio arredato con stile, che aveva un’intera parete realizzata dal proseguimento della grande vetrata. La brillante cupola di San Pietro dominava lo sfondo steso a perdita d’occhio. Evidentemente l’amministratore delegato della Compagnia era già stato messo al corrente e sicuramente delle decisioni erano state prese e valutate attentamente.

Operazione segreta
Ovviamente, Listrana era stato convocato per valutare più a fondo la sua partecipazione che doveva essere vagliata e ben ponderata per non incappare in problematiche socio-lavorative o, peggio ancora in quelle di carattere politico, qualora se ne fossero presentate. A Listrana si aprì improvvisamente uno scenario molto più vasto non appena l’amministratore delegato entrò in particolari più specifici ai quali lui non aveva minimamente pensato. Seppe che, in qualche modo, volevano fosse cosciente di partecipare ad un progetto di sicurezza, in forma naturalmente molto aleatoria, ma sempre incisiva nell’ambito del suo ambiente di lavoro. Naturalmente nessuno avrebbe dovuto conoscere il suo impegno che sarebbe stato svolto in modo discreto e circoscritto unicamente nei tempi, nei modi e negli ambienti del suo lavoro. Poiché nessuna informativa sul suo operato sarebbe stata inoltrata alla direzione della Compagnia e tantomeno ai suoi diretti superiori o all’ufficio del personale, poteva aspettarsi, se trovato in servizio ad agire fuori dai canoni regolamentari, di essere anche passibile di riprovazione, di rapporti o anche di sospensione. Non doveva reagire, giustificarsi, né tantomeno rivelare la sua posizione per nessunissimo motivo. A conoscenza di quanto faceva, sarebbe stato solamente l’amministratore delegato. Nel caso suddetto doveva telefonare a un numero particolare, trasmettendo una sigla che doveva imparare a memoria. Avrebbe poi provveduto l’amministratore delegato a contattarlo e a farsi spiegare l’accaduto per poi provvedere in merito. In qualsiasi altro modo si fosse consultato sarebbe stato fatto passare per bugiardo e tanto valeva sapere che nessun altro, nell’ambito della Compagnia, era al corrente di ciò che a lui era stato chiesto di fare. Sarebbe stato solo, completamente solo. Era una richiesta difficile, forse anche pericolosa, che doveva vagliare attentamente prima di accettare. Ovviamente sarebbe stato ricompensato a tempo debito dalla Compagnia e coperto per quanto riguardavano eventuali imprevisti.

Una mansione inesistente
Se fosse venuto a conoscenza di qualche problema, qualsiasi problema, non doveva fare altro che consultarsi con il suo amico maggiore a Genova che ovviamente conosceva il modo di intervenire. A questo punto non gli rimaneva altro che accettare. Gli anni passarono senza inconvenienti e nessuno mai ebbe occasione di sospettare gli avvenimenti temuti da Sandro Listrana. Gli anni di piombo trascorsero e, con il tempo si affievolirono le tensioni politiche. Molto tempo dopo, con la “rivoluzione” del digitale, tutto ciò sembrò non avere più senso. I “telefoni con il filo” e le paure, facevano ormai sorridere Sandro Listrana: l’unico dipendente della Compagnia che si era aggiudicato una mansione che non esisteva.

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