La Lanterna di Genova, molto più di un faro

È protagonista nell’immaginario iconografico e nelle rappresentazioni della città nei secoli

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La Lanterna di Genova, molto più di un faro
La veduta dal porto commerciale

La Lanterna di Genova è l’unico faro al mondo di cui non si conosca esattamente l’anno di nascita. Una leggenda narra che il costruttore della Lanterna precipitò dalla sua sommità sulla scogliera sottostante in circostanze poco chiare, forse perché non potesse ripetere un tale miracolo costruttivo di armonia e di solidità. A parte la leggenda, sembra che il faro, simbolo di Genova, sia stato costruito verso la fine dell’XI secolo. Consultando gli “Atti della Repubblica”, si può leggere un passo molto significativo in merito all’attenzione con la quale si esercitava la sua funzionalità. Si parla infatti di uno speciale tributo che ogni proprietario di nave o barca genovese dovesse versare, in proporzione alla stazza, come diritto di fuoco per l’acquisto delle sostanze necessarie a far funzionare la Lanterna e mantenere attiva la sua luce.

Attorno alla Lanterna si notano i resti delle antiche fortificazioni

Mille anni di storia
Nel corso del suo millennio la Lanterna ha vissuto le innumerevoli alterne vicende storiche della città. Ha accompagnato il nascere e il tramonto della sua gloria marinara, sino a diventarne il vero simbolo. Un simbolo sentito a tal punto che i genovesi si rifiutano ancor oggi di paragonarlo, come emblema, ad altri monumenti di cui Genova non è sicuramente priva. Esiste un decreto dei “Consoli della Repubblica di Genova”, che per primi normalizzarono la conduzione della Lanterna, nominando dei “guardiani”. Dovevano essere questi delle persone particolarmente coscienziose e adatte a una vita per nulla riposante. Tra questi, servì la Lanterna anche un certo Antonio Colombo: lo zio del grande navigatore.

Guardiani, «coffini» e «vele»
Il lavoro dei guardiani era improntato alla funzionalità delle segnalazioni: un sistema di complesse informazioni che dovevano servire a informare una catena di presidi sparsi per l’intera pianura padana. Durante il giorno le informazioni erano rappresentate dall’esposizione dei “coffini”: sorta di cerchi di legno di forme diverse, ricoperti da una stoffa spalmata di pece, montati scorrevoli su di una antenna anch’essa di legno mediante funi carrucolate. Venivano esposti sia sulla sommità della Lanterna, che allora era priva di cupola, che al primo piano del faro. Il sistema dei “coffini” segnalava, ad esempio, il tipo di imbarcazione in arrivo: se a vela, oppure a remi semplici o sovrapposti. Erano ovviamente segnalazioni che venivano immediatamente interpretate dai guardiani, ai quali venivano anche trasmesse le informazioni circa i movimenti di eventuali truppe di terra durante gli assedi.

L’incastellatura degli specchi ruotanti e dei prismi di cristallo che permettono alla luce di giungere intervallata con il suo codice sino a una distanza di 27 miglia marine

Venivano usate anche delle cosiddette “vele”: telai su cui era tesa una tela, da abbinare ai “coffini” per segnalare l’arrivo, la provenienza e il tipo di imbarcazioni. Così se compariva all’orizzonte una galea o un vascello, i guardiani esponevano un “coffino” sul lato destro o sinistro della Lanterna, a seconda se l’imbarcazione appariva a ponente o a levante del golfo. Se le galee o i vascelli erano due, i “coffini” erano anch’essi due, mentre se le imbarcazioni erano, ad esempio, più di cinque, ecco che venivano esposti un “coffino” e una “vela”. E così via, nel rispetto di una somma algebrica semplice, ma funzionale.

Il fantastico gioco cromatico dei prismi di cristallo. Sono ancora quelli risalenti al periodo pre bellico e recano i segni delle raffiche di mitraglia sparate dai caccia americani durante le incursioni del 1943

I fuochi e i vetri di Murano
Di notte, sulla sommità della Lanterna, rimaneva acceso un fuoco che aveva la medesima funzione dei fari di oggi. Il chiarore guidava le imbarcazioni che dovevano riparare in porto. I fuochi alimentati dalla legna vennero soppressi attorno al 1326, per dotare la “torre” di una segnalazione a lanterna. Circa la parsimonia dei genovesi, si ha traccia anche in questa occasione. Dai “cartulari” o libri dei conti come si chiamerebbero oggi, traspare la preoccupazione della “Congregazione dei Salvatori del Porto e del Molo” nel decidere il numero delle lampade a olio da impiegare e perfino nel diametro degli stoppini da usare. I consumi dovevano essere contenuti e perciò fu deciso che, in primavera, non dovessero essere impiegate più di dodici lampade accese mentre in inverno il numero poteva essere aumentato fino a diciotto. Trenta, eccezionalmente quando il tempo volgeva al brutto e calava la visibilità. Poco dopo, la Lanterna si dotava della prima copertura a vetri. Prima di scegliere la definitiva ne furono sperimentate diverse. Dalle vetrerie di Altare e Masone, ai confini con il Piemonte, si passò alle vetrerie di Pisa, per finire a Murano che fornirono una calotta dello spessore adeguato alle esigenze del tempo.

Il meccanismo del piatto ruotante sincronizzato con le emissioni dei fasci di luce

La «Briglia» e i suoi prigionieri
La Lanterna, nel corso della sua storia, ebbe un impiego anche estraneo alla sua funzione di faro. Nel 1371 venne trasformata in “fortezza”, per custodire prigionieri il Re e la Regina di Cipro. Nel 1498 ebbe un illustre visitatore che la studiò. Ludovico il Moro, temendo un’invasione dei francesi nei suoi territori della Lombardia, volle visitare il porto di Genova e le sue difese. Tanta era la fama della Lanterna che lo Sforza venne accompagnato da Leonardo da Vinci per dare un giudizio tecnico sulla sua costruzione. Luigi XII, Re di Francia, che occupava Genova nel 1507, allo scopo di imbrigliare i genovesi che tentavano di liberarsi dal suo giogo, decise di costruire attorno alla Lanterna una fortezza lambita per tre quarti dal mare e imprendibile dal lato di terra. La chiamò “Briglia”, proprio per rammentare ai genovesi che erano da lui tenuti a freno e controllati in ogni loro attività portuale.

La Lanterna, come tutti i fari italiani, è gestito dalla Marina Militare

Il Doge e il capitano Cavallo
Il 10 marzo del 1513, avvenne un fatto memorabile, riportato negli annali di Palazzo San Giorgio a firma del Doge della Serenissima, Giano Fregoso. La “Briglia” era da tempo assediata dai genovesi che, ribellatisi ai francesi, intendevano prenderla per fame. Di primo mattino, una nave battente bandiera di comodo, si avvicina al porto e riesce a portarsi a ridosso della Lanterna. Sotto la sua protezione, inalbera improvvisamente la sua vera bandiera: quella con i gigli d’oro di Luigi XII. I genovesi vedono costernati che dalla nave vengono scaricati numerosi sacchi di viveri e di munizioni. Un certo Emanuele Cavallo, si presenta allora al Doge e lo implora di affidargli un vascello con alcuni marinai per assalire la nave francese. Con la forza della disperazione lo convince. L’improvvisato capitano riesce a incunearsi con la sua nave tra il vascello francese e gli scogli della Lanterna. “Aggranfia” con i rampini di arrembaggio il vascello; fa tagliare gli ormeggi e lo trascina al largo. I suoi marinai riescono a neutralizzare l’equipaggio francese che viene tutto sgozzato e fanno arenare la nave sulla spiaggia a ponente della Lanterna. La “Briglia” cadrà un anno dopo.

Attraverso i vetri della cupola situata sulla sommità, si domina con lo sguardo l’intero Golfo ligure. La Lanterna ospita anche un radiofaro per la navigazione aerea, di cui si servono i velivoli in rotta di avvicinamento all’aeroporto di Genova

La ricostruzione
L’odio covato per la “Briglia” è tale che i genovesi la radono al suolo completamente. Così purtroppo, tutta la parte superiore della Lanterna viene distrutta. E lo stesso Doge Fregoso ne ordina la demolizione della parte pericolante nel 1515. Vengono dunque cancellati quattrocento anni di storia della Lanterna. Ma dopo trent’anni di oblio, la Lanterna risorge dai suoi ruderi. La ricostruiscono nel corso di un solo anno: più alta e più slanciata della precedente. I finanziatori sono i “Magnifici Protettori del Banco di San Giorgio”, banco genovese che la Serenissima finanzia con i suoi proficui commerci marittimi. Scrive lo storico Francesco Podestà in un libro dedicato alla Lanterna che vengono impiegati 120.000 mattoni, duemilaseicento palmi di pietre squadrate a scalpello, un’infinità di lastre di lavagna, mentre grandi quantità della famosa pietra di Finale vengono usate per sostituire il vecchio tipo di merlatura che abbellisce la Lanterna tra un piano e l’altro. Per la prima volta, sul lato orientale della Lanterna, viene dipinto lo stemma del Comune di Genova e sulla sommità nasce la nuova cupola trasparente. Nel 1684 i francesi, nel tentativo di riconquistare la città, effettuano un bombardamento navale che dura undici giorni. Alcuni proiettili di pietra colpiscono la cupola e la demoliscono. I genovesi la ripristinano immediatamente. Nel 1805, cambiata la politica, Genova accoglie Napoleone Bonaparte da trionfatore e gli fanno ammirare una luminaria che passerà alle cronache. Al centro, naturalmente c’è la Lanterna sfarzosamente illuminata. Nel 1815, i Savoia fortificano la Lanterna cingendola di casematte, cunicoli e feritoie che si vedono in parte ancor oggi.

La Lanterna, veduta dalla città. Attorno si notano i resti delle antiche fortificazioni

Librarsi nei cieli
Attualmente, per salire in cima alla Lanterna, oltre ad un comodo ascensore, vi sono centinaia di gradini di pietra all’interno di essa e poi ancora una scaletta percorribile dagli addetti alla manutenzione e librata nel vuoto, che raggiunge la sommità della cupola a 127 metri di altezza. Da lassù, un complesso apparecchio lenticolare, lancia ogni 27 secondi, un fascio di luce che è visibile alla distanza di ventisette miglia marine. Il panorama dall’alto della passerella esterna che circonda la cupola, è semplicemente fantastico: abbraccia l’intero arco ligure e le cime delle prealpi al confine con il Piemonte. Nei giorni di vento, si ha la sensazione di volare con un deltaplano sopra ai banchi di smog prodotti dalla città.

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