Lavorare (anche) in pensione

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Lavorare (anche) in pensione

Carenza di manodopera. È questo il problema chiave che la Croazia deve affrontare e risolvere. Quanto prima, perché altrimenti potrebbe essere troppo tardi e gli investimenti fatti nei vari settori potrebbero rivelarsi assolutamente insufficienti a garantire la tenuta del sistema. Possiamo dotarci di infrastrutture da fare invidia al mondo, mantenere salda la posizione conquistata sulle carte mondiali delle destinazioni turistiche, valorizzare il patrimonio culturale e conquistare i più ambiti titoli messi in palio dal sistema europeo con tanto di dote calcolata in milioni di euro provenienti dai fondi di Bruxelles, trovare investitori capaci di mantenere in vita rami industriali che rischiano l’estinzione, ma tutto rischia di rivelarsi sostanzialmente inutile laddove non saremo capaci di assicurare che il meccanismo funzioni. Un rischio reale e tangibile la cui portata si calcola in numero di persone incluse nel mondo del lavoro. A porre in evidenza la questione e le ripercussioni che ne possono derivare è stato il governatore della Banca centrale croata (HNB), Boris Vujčić. “La popolazione attiva si va costantemente riducendo. Entro il 2040 il numero dei cittadini impegnati in attività lavorative calerà di 520mila unità”, ha fatto presente Vujčić, sottolineando che si tratta di una previsione ottimistica, considerato che “le stime non tengono conto del fenomeno dell’emigrazione”. Ha elencato anche le possibili soluzioni: nell’ordine, innalzamento dell’età pensionabile, aumento delle quote per i lavoratori provenienti dall’estero e, in caso di fallimento delle prime due opzioni, introduzione dei robot nei processi lavorativi.

Carenza di manodopera

La prima ipotesi è contemplata anche nella riforma pensionistica inviata dal governo in procedura parlamentare e che stando agli annunci dei proponenti dovrebbe entrare in vigore il 1º gennaio dell’anno prossimo. Dovrebbe, va sottolineato, perché le resistenze opposte dai Sindacati sono ben note e non cedono di un millimetro. Tutt’altro. Fatta la manifestazione di protesta a Zagabria si moltiplicano gli annunci riguardanti l’avvio di una raccolta di firme per l’indizione di un referendum volto a cancellare i passaggi contestati della proposta di legge. In primis, appunto, dell’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni. Scenario che viene definito inaccettabile. “In Croazia non sussistono le condizioni per l’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni”, è la posizione del sindacalista Krešimir Sever, che ha voluto fare una puntualizzazione anche per quanto concerne i paragoni con gli altri Paesi dell’UE. “Neanche fino alla fine del secolo l’età media in Croazia raggiungerà quella europea e per quanto riguarda poi le condizioni di salute degli over 65 è meglio mantenere un dignitoso silenzio”. Riflessioni condivise dai pensionati e dai cittadini scesi in piazza per protestare al ritmo di “Get up, stand up” di Bob Marley sventolando striscioni sui quali si poteva leggere: “Aspettatevi una resistenza. Siamo appena all’inizio”, “Prendete ai poveri. Diamo ai ricchi”, “Vogliamo una Croazia per i lavoratori e non soltanto per i politici”, “Dalla facoltà al collocamento, dal lavoro al cimitero”, “Penalizzazione, una via sicura verso la povertà”…

I dubbi dei datori di lavoro

Va detto che nemmeno i datori di lavoro si dicono convinti fino in fondo del pacchetto elaborato dal Ministero del Lavoro. “L’innalzamento dell’età pensionabile richiede un esame. Il tema va affrontato con tutta la prudenza del caso. Certo è che non deve mancare la sensibilità sociale nei confronti di chi svolge lavori usuranti. Bisognerà trovare modelli alternativi”, ha fatto sapere Davor Majetić dell’HUP, che si è detto contrario a un approccio penalizzante nei confronti dei pensionamenti anticipati. “Sarebbe molto meglio trovare una formula capace di motivare le persone a proseguire con l’attività lavorativa”, ha detto, elogiando l’apertura dimostrata riguardo all’impiego, a metà orario, dei pensionati.

L’esperienza tedesca

Opzione quest’ultima ampiamente sfruttata dai pensionati tedeschi. In Germania, infatti, i datori di lavoro sfruttano sempre più spesso questa possibilità di legge per fare fronte alla carenza di personale. Nei primi tre anni dalla conclusione del rapporto di lavoro quasi un quarto dei pensionati tedeschi continua a lavorare e il 90 per cento di loro sostiene di farlo per motivi sociali e personali. I motivi finanziari, dunque, non sono determinanti, o comunque lo sono soltanto per alcuni. Circostanza comprensibile considerato che ben più interessate a continuare a lavorare risultano le persone che percepiscono pensioni di importo alto. Lo ha reso noto l’Istituto tedesco per la ricerca del mercato del lavoro (IAB) che opera nell’ambito dell’Agenzia federale per il collocamento, precisando che il 26 p.c. delle donne e il 29 p.c. degli uomini che percepiscono meno di 1.000 euro al mese di pensione prosegue con l’età lavorativa, mentre tra i pensionati che dispongono al mese di più di 2.500 euro la percentuale dei lavoratori sale a oltre il 59 p.c. e sembra destinata a crescere ulteriormente. La ricerca dell’IAB rivela infatti che il 13 p.c. dei pensionati attualmente a riposo manifesta interesse a rientrare nel mondo del lavoro. Come fare per soddisfarli? A detta degli esperti tedeschi, con un approccio sinergico della politica e dell’economia capace di flessibilizzare ulteriormente il mercato…

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