La democrazia senza elettori

0
La democrazia senza elettori

L’affluenza alle urne rispecchia, idealmente, la fiducia che i cittadini ripongono nelle istituzioni per le quali sono chiamati a votare. In democrazia, l’astensionismo può essere visto pertanto come un indicatore del disagio degli elettori, che delusi dai partiti politici non intravedono alcuna possibilità di godere di una dignitosa qualità di vita. Disertare i seggi elettorali sta diventando una prassi sempre più diffusa, soprattutto tra fasce giovanili.

Boicottando le elezioni i ragazzi manifestano la loro rabbia, sfiducia e disaffezione nei confronti della politica e delle istituzioni. Lo studioso Martin Wattenberg dell’University of California (UC – Irvine), ha affermato che “il gap nell’affluenza elettorale tra giovani e anziani può essere paragonato, per certi versi, al divario razziale nel sud degli Stati Uniti nei primi anni Sessanta del secolo scorso”.
La popolarità, o se preferite l’indice di gradimento dell’Unione europea, si misura anche attraverso l’affluenza alle urne. Il mese prossimo i cittadini dei Paesi membri dell’UE saranno chiamati al voto per eleggere i loro rappresentanti al Parlamento europeo (l’unica istituzione comunitaria eletta direttamente dai cittadini). Dal 1979 (all’epoca gli Stati membri erano nove) al 2014 (UE 28) l’affluenza media alle urne elettorali è calata costantemente. Dal 61,99 p.c. di 40 anni fa, la partecipazione al voto degli elettori si è ridotta al 42,61 p.c. Un lustro fa i Paesi più virtuosi sono stati il Belgio, con un’affluenza dell’89,64 p.c., il Lussemburgo (85,55 p.c.) e Malta (74,80 p.c.). La maglia nera se l’era aggiudicata la Slovacchia, dove l’affluenza alle urne si era arrestata al 13,05 p.c. In Slovenia l’affluenza fu del 24,55 p.c., in Croazia del 25,24 p.c. e in Italia del 57,22 p.c.
A detta di personaggi autorevoli l’astensionismo potrebbe favorire l’UE. In un’intervista rilasciata l’anno scorso a Nicola Missaglia, dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI), l’Ambasciatore Sergio Romano (editorialista del Corriere della Sera), espresse il parere che un’adesione al voto considerevole potrebbe favorire i candidati delle forze euroscettiche ed eurofobe. A sua volta, il preside della Facoltà di scienze politiche dell’Università di Zagabria, il professore Zoran Kurelić, ha invitato – nel corso di una tavola rotonda promossa recentemente dall’Ateneo di Fiume – a riflettere sul pericolo che comporterebbe per il futuro dell’Europa l’elezione di deputati eurofobi in un numero tale da consentire loro di influenzare il lavoro del Parlamento europeo. Una minaccia che il politologo croato teme possa realizzarsi qualora il Regno Unito dovesse partecipare alle Europee. Una circostanza, questa, che in Gran Bretagna e Irlanda del Nord sarebbe vissuta come un’imposizione non solo dai sostenitori della Brexit, ma anche da molti europeisti convinti.
Paradossalmente, sembra che se l’UE desideri avere un futuro, ossia ottenere l’occasione di avviare le riforme che i cittadini s’attendono, deve sperare di essere molto impopolare. Ma la democrazia senza elettori ha un senso?

Tutti i diritti riservati. La riproduzione, anche parziale, è possibile soltanto dietro autorizzazione dell’editore.

L’utente, previa registrazione, avrà la possibilità di commentare i contenuti proposti sul sito dell’Editore, ma dovrà farlo usando un linguaggio rispettoso della persona e del diritto alla diversa opinione, evitando espressioni offensive e ingiuriose, affinché la comunicazione sia, in quanto a contenuto e forma, civile.

No posts to display