Wandelism Il potere trasformativo dell’arte di strada

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Wandelism Il potere trasformativo dell’arte di strada

BERLINO | Una vecchia autofficina dismessa, una scadenza futura a breve termine per l’abbattimento dell’edificio, un agente immobiliare magnanimo, una settantina di artisti disposti a investire tempo e mezzi propri: ecco gli ingredienti base di “Wandelism”. La mostra è stata inaugurata a Wilmersdorf, Berlino ovest, il 17 marzo scorso e avrebbe dovuto durare soltanto una settimana, fino al 24 marzo, ma giacché è stata capace di far affluire più di 10.000 visitatori in 5 giorni, l’apertura è stata prorogata fino alla fine del mese. L’entrata era gratuita, ma bisognava fare la fila quasi due ore per entrare. L’evento non ha avuto fini lucrativi. Si pagava soltanto nel caso si volesse fare una visita guidata: con parte del guadagno e delle offerte libere dei visitatori si vuole finanziare l’abbellimento di un asilo.
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Il nome dell’iniziativa non ha niente a che vedere con il “vandalismo”, anche se trattandosi di urban art, uno potrebbe pensare a una provocazione sarcastica verso coloro che considerano l’arte di strada soltanto come una manifestazione della tendenza a distruggere e a guastare. È un gioco di parole, Wandel in tedesco significa cambiamento: si vuole sottolineare la costanza dei mutamenti nel tempo e l’unicità del momento in cui viviamo, riflettendo sulle problematiche del qui e dell’adesso. Viene promossa anche la nozione della coesistenza democratica, per cui ciascuno è benvenuto e bene accolto, oltre che libero di esplorare con curiosità. Sono caratteristiche per cui Berlino è ammirata in tutto il mondo. Gli artisti partecipanti all’iniziativa notano che la città sta crescendo a ritmo esponenziale, la gentrificazione porta con sé lo spostamento verso la periferia e l’aumento degli affitti e dei prezzi; presto il centro città potrebbe diventare soltanto “viel Stein und wenig Seele”, “tante pietre e poca anima”; si teme che possano scomparire gli spazi per il libero sfogo della creatività.
Anche se ultimamente i cambiamenti non partono dal basso e sono più subiti che voluti, perché non celebrare la trasformazione con l’uso temporaneo di questo spazio cittadino, sulla scia della tradizione iniziata nei primi anni ‘90, dopo la caduta del muro?
In una giornata di primo sole primaverile l’attesa in fila è sopportabile, sullo spiazzo si esibisce un duo italiano, la folla canticchia cover conosciute. Già la facciata d’entrata è di per sé un’opera d’arte: una nuvola turchese gigante che ingloba una macchina parcheggiata lì con la portiera aperta, anch’essa dello stesso colore – la carrozzeria azzurra di un’altra macchina fuori della nuvola suggerisce che quello è uno spruzzo di colore. Accanto alla porta d’entrata una bomboletta spray lo conferma; dei bambini si divertono immettendo delle monetine e dal tubetto in alto escono lingue di fuoco: forse segno della potenza creatrice e trasformatrice dell’arte di strada, che a volte ha bisogno soltanto di poco colore.
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Nella prima sala grande di questo “tempio temporaneo di street art” di 2.000 metri quadrati da un lato c’è il bar con l’enorme scritta in rosso sulla parete a scacchiera acromatica “Change is the only constant” (“Il cambiamento è l’unica costante”). Il graffito in bianco e nero dei WENU artist collective domina lo spazio e ci permette di guardare una città immaginaria attraverso le grate di una prigione, dalla prospettiva del soggetto, che appoggia le sue mani giganti alla parete. C’è un’enorme scultura di camaleonte fatta di bombolette vuote, e due macchine: una enorme, uscita da un film, ricoperta di peluche rosa, e una piccola e blu con scritte didattiche su come bisognerebbe essere gentili, per poter essere dei veri ribelli nel nostro sistema (Dave the Chimp). Si sente odore di vernice e cemento.
Conviene subito fare la fila per andare in bagno al pianoterra, lì viene emulato il sottofondo marino, un’opera di undaground_designz: uno squalo enorme con la bocca spalancata e le zanne in vista sta per sbranare chi osa usare il water; accanto a qualche pesce, dal soffitto penzolano bottigliette d’acqua, strisce di plastica, pezzi di sacchettini e quanto altro rimane normalmente sospeso nel mare; sotto il lavandino un paio barili di rifiuti liquidi, contrassegnati dal simbolo per la radioattività, che scorrono fosforescenti sul fondo dell’oceano; in un angolo si vede conficcato un missile non ancora esploso. Si sale in alto per la scalinata dipinta da Hülpman con motivi di Berlino in bianco e nero; di sopra, una poltrona in mezzo, con la televisione e gli arredi di un soggiorno, un mondo completamente acromatico, di SCON1975™ e Paindesignart Graff. Si colloca a metà strada, al primo piano, la stanza colorata di gomezone81: palloncini, mostriciattoli colorati e un gioco di luci che ricordano una festa di compleanno di bambini oppure un caleidoscopio.
Dal primo padiglione si può accedere all’altro grande atrio “variopinto e selvaggio”, “bunt und wild”: si sente musica hip hop dalla postazione del DJ, ai due lati maggiori, aree con poltroncine per riposare; al centro si possono ammirare due installazioni: in alto, uno scheletro con le ali di pippistrello e con la bomboletta spray in mano (Fabifa) e in mezzo un’enorme macchinone, pure sospeso a metà in aria, come se dovesse, soggetto a una misteriosa trasformazione per magia, librarsi in volo.
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L’esposizione non è stata seguita da un curatore, bensì è stata allestita liberamente attraverso la collaborazione spontanea dei partecipanti. Sono rappresentate diverse correnti dell’arte contemporanea e urbana, dallo bombing ai graffiti, installazioni, musica e performance.
Nello scantinato si trova, oltre che ai splendidi ritratti femminili di Rosco, una delle due camere senza illuminazione con graffiti dipinti usando colori fosforescenti, da osservare al buio. L’opera di Marina Zumi, è una stanza con fili tesi tra le pareti, di modo che ci si senta parte di questo perfetto quadro geometrico tridimensionale.
All’uscita da uno stand improvvisato arriva profumo di waffel freschi. Chiaro e deciso è il messaggio di quest’azione artistica (“make waffle, not plastic”, “make waffle, not war”) (“fare i wafel, ma non di plastica”, “fare i wafel, ma non la guerra”), come il ricordo di questa tipica festa berlinese, che celebra l’identità trasformista e contro-corrente della città.
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