Fiume. Pasolini e la traduzione raccontati da Valter Milovan

Il docente polese ha tenuto una lezione al Dipartimento di Italianistica

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Fiume. Pasolini e la traduzione raccontati da Valter Milovan
Valter Milovan con il volume. Foto: IVOR HRELJANOVIĆ

Il problema della traduzione e del trasferimento del significato, ma anche della forma e della musicalità del testo, in tutte le sue sfumature, è un problema presente da quando uomo è uomo. In epoca recente ne ha parlato Umberto Eco nella sua raccolta di saggi “Dire quasi la stessa cosa”, su temi di teoria della traduzione, che partono dal racconto dell’esperienza personale come traduttore, redattore di traduzioni altrui o autore tradotto da altri.

Il problema è sicuramente presente anche nelle nostre terre, nelle quali la Comunità Nazionale Italiana sente il bisogno di tradurre in italiano testi di varia natura, dai libri scolastici, agli articoli di giornale, ma anche di tradurre in croato gli autori italiani per diffondere la cultura italiana e far conoscere alla maggioranza croata la nostra realtà. Un grande contributo in questo senso è stato dato dal dott. Valter Milovan, docente di Letteratura italiana alla Facoltà di Lettere e Filosofia “Juraj Dobrila” di Pola, il quale ha incontrato gli studenti del Dipartimento di Italianistica dell’Ateneo fiumano, per raccontare loro la sua esperienza di traduttore del poeta, letterato e regista italiano Pier Paolo Pasolini, nata nel corso della stesura del dottorato di ricerca.

Un personaggio fuori dai canoni
Prima di spiegare ai ragazzi le difficoltà incontrate nella traduzione, Milovan ha parlato della vita, del contesto familiare e delle controversie di Pier Paolo Pasolini, uno tra i maggiori intellettuali italiani del Novecento. È impossibile comprendere la vita (ma anche la morte) e la produzione di Pasolini se non teniamo conto delle sue origini, delle sue idee politiche e di tutto ciò che lo ha plasmato come uomo e come intellettuale. Milovan ha ricordato che Pasolini è nato a Bologna, ma ha trascorso l’infanzia e la giovinezza in Friuli, imparando alla perfezione il dialetto locale, usato per scrivere le prime liriche. Il docente di Pola ha ricordato pure che il padre di Pasolini, un ufficiale bolognese, era di idee fasciste, mentre la madre era di una famiglia benestante. Il fratello minore si arruolò tra i partigiani e morì a soli diciannove anni trucidato da un gruppo di partigiani comunisti per motivazioni politiche non legate alla lotta contro il nazifascismo. Questa tragedia familiare ha fatto scattare in Pier Paolo Pasolini la scintilla della vena letteraria.

L’omosessualità come ispirazione e colpa
L’interesse dell’intellettuale per ragazzi molto giovani, spesso minorenni, lo costrinse a trasferirsi a Roma e fu la causa dell’espulsione dal Partito Comunista. Il trasferimento nella capitale corrisponde al passaggio linguistico verso l’italiano standard e la prossimità di Cinecittà destò il suo interesse per l’arte cinematografica, alla quale si dedicò negli anni Sessanta. Nel 1966, in un periodo in cui il letterato stava male ed era costretto a letto, scrisse ben sei drammi, di cui solo “Pilade” era tradotto in croato, Valter Milovan ha tradotto “Calderon” e “Porcile”, dando in questo modo un contributo importante alla diffusione della sua produzione in Croazia. Nel 1968 in Italia e nel mondo si ebbe la rivoluzione sessuale e anche l’omosessualità iniziò ad essere guardata con occhio diverso. Milovan spiega che, però, Pasolini era ormai troppo vecchio per apprezzare i tempi nuovi e rimase chiuso nel suo guscio di sensi di colpa di stampo cristiano. La sua morte, avvenuta nella notte tra il 1.mo e il 2 novembre, una domenica, dunque nel giorno del Signore, a cavallo tra il giorno di Ognissanti e quello dei morti, nella città di Ostia, contiene tutta la simbologia per poter venir considerata una sorta di immolazione per espiare le sue colpe. La teoria del suicidio, infatti, è sostenuta da molti critici, ma anche personaggi che lo hanno conosciuto.

La poesia bucolica in friulano
Pier Paolo Pasolini ha scritto sia romanzi, che saggi, che poesie di diverso tipo, ma Valter Milovan ha deciso di parlare agli studenti della traduzione delle poesie in friulano, in quanto si tratta di un lavoro particolarmente accattivante e stimolante, perché tradurre un dialetto come quello friulano è come tradurre una lingua a sé. Fortunatamente lo stesso Pasolini aveva accompagnato le poesie in friulano con la traduzione in italiano, dunque Milovan ha tradotto le liriche dall’italiano al dialetto ciacavo. La decisione di usare il dialetto, ha spiegato Milovan, dipende dal desiderio di rendere l’idea di una poesia legata alla terra non solo in quanto a temi derivanti dal mondo agricolo, ma anche per quanto riguarda la lingua, più vicina al parlato e lontana dai vertici letterari. Milovan ha portato l’esempio della poesia “Casarsa”, che è il paese natio di Pasolini, ma anche “Il nini muàrt” (Il ragazzo morto), nella quale compare un tema caro al poeta. Chi conosce la sua produzione, sia letteraria, che cinematografica, sa che i personaggi di Pasolini fanno quasi sempre una fine tragica o violenta. Le poesie friulane, a differenza di quelle romane, hanno un tono molto più tragico e non fanno uso della rima, il che le rende più facilmente traducibili. Valter Milovan ha spiegato che una volta tradotte, ha mostrato le poesie al poeta ciacavo Tome Milovan, per chiedergli un parere in merito. Milovan ha concluso la lezione consigliando ai ragazzi non solo delle letture, ma anche film da guardare per conoscere meglio Pier Paolo Pasolini e il contesto storico nel quale è vissuto. Alla lezione hanno partecipato anche il capodipartimento dell’Italianistica, Corinna Gerbaz Giuliano, la docente Iva Peršić e la germanista Petra Žagar-Šoštarić.

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