Lucio Toth Uomo capace di grandi cose

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Lucio Toth Uomo capace di grandi cose

ROMA | L’ultima volta che ci siamo sentiti, più di un anno fa, aveva piovuto e, come oggi decisi di preparare un dolce per cancellare dalla casa la tristezza del cattivo tempo. L’ho annotato sul quaderno di ricette, e non l’avevo mai fatto prima, non è mia abitudine, “oggi ha chiamato Lucio”, ho scritto. Ci stavo pensando mentre a Roma, alla Casa del Ricordo, stava per iniziare una serata dedicata a lui in concomitanza con l’uscita dalle stampe del suo romanzo postumo “Il disertore dalmata”, pubblicato dalla Musa Thalìa di Bruno Crevato Selvaggi, medesimo editore di “Spiridione Lascarich, alfiere della serenissima”, libro che ho amato moltissimo.

Il suo primo romanzo, “La casa di Calle San Zorzi” è stato anche tradotto in croato, progetto che Lucio Toth aveva voluto caldamente, fedele alla sua idea che “i giovani croati deve conoser la nostra storia, che xe anche la loro, solo così non morirà la memoria de noi dalmati italiani”.
Ogni suo intervento ai Raduni dei Dalmati segnava un passo avanti nella consapevolezza di un’appartenenza, che è sofferenza, ma anche curiosità e ricchezza. In quei suoi ispirati discorsi, amava citare esempi di storia minima, fuori dagli schemi scolastici di date, nomi, battaglie, generali, come se la sua passione fosse proprio quella di entrare nel quotidiano, all’interno di avvenimenti di nicchia di una storia remota attraverso i quali renderla attuale, di senso compiuto e finalmente degna di un’analisi a tutto tondo.
Un approccio che avevamo colto nei suoi libri precedenti, ma che forse proprio ne “Il disertore dalmata” trova la massima espressione, senza dimenticare il riferimento alla Dalmazia, anzi, ma spaziando lungo tutta la penisola, rincorrendo le guerre d’indipendenza, il ruolo discusso di Tommaseo e di quanti hanno lasciato il segno.

Colpi di scena

Ancora una volta, a portarne le conseguenze un giovane soldato con Zara nel petto, che dovrà confrontarsi con un’epoca di continui scontri che, in un attimo, dalla contrapposizione politica diventavano guerra aperta, Piemonte, Austria-Ungheria, Francia e giù botte da orbi, Solferino, San Martino e morti, tanti morti, mentre la vita entra ed esce dalle case e dalle strade, che possono essere calli o carruggi, non si sa mai dove il destino può trascinarti. Dall’idea della morte incombente, al raggiungimento di incarichi politici, dietro l’angolo i colpi di scena non mancano.
Il libro narra la storia di Remo Calbian, nato a Zara, capitale della Dalmazia asburgica. “Veste la giubba di militare austriaco – spiega l’editore –. Nel luglio 1859, dopo la battaglia di Solferino, qualcosa s’incrina nella sua coscienza. Diserta e passa dalla parte piemontese. Diventa garibaldino, poi ufficiale dei bersaglieri; partecipa alla repressione del brigantaggio e alla terza guerra d’indipendenza; viene eletto deputato alla Camera. Dopo molti anni visita la sua Zara per poi rientrare in Italia, la sua patria: “A lui non restava che servirla”. Questo è il racconto della scoperta del sentimento nazionale degli italiani di Dalmazia nei cruciali anni Sessanta-Ottanta dell’Ottocento e dell’amor di patria del protagonista e dell’autore. Un romanzo a volte amaro, sempre appassionato e lucido, capace di rievocare sentimenti intimi e universali”.

Profondo conoscitore della storia

Lucio era così, profondo conoscitore della storia, ne aveva fatto uno strumento per spiegare con esempi, citazioni, luoghi e date, personaggi e accadimenti. Un riferimento d’analisi del presente, un modo per rendere omaggio all’esperienza di chi c’è stato prima, ha affrontato i medesimi percorsi e ne ha registrato le conseguenze, gioie e dolori, sconfitte e successi. Lucio Toth aveva il dono dell’analisi e della sintesi, le intuizioni giuste e il senso del tempo. Seppe scegliere il momento giusto di ricomposizione con la sua terra e con gli sloveni di Trieste, fu il catalizzatore dell’incontro dei Tre Presidenti al grande concerto del Maestro Muti in P.zza Unità. Un uomo capace di grandi cose, distratto rispetto ai minimi di cui non si curava, spesso preso in contropiede da chi praticava con disinvoltura la disonestà, ma stimato profondamente da chi capiva la sua portata, la capacità di essere primo tra i primi, grande tra i grandi, degno degli applausi che i Dalmati sapevano tributargli in sale gremite di gente, giunta da ogni dove per capire insieme a lui dove andare, dove volgere il proprio sguardo e la propria attenzione. Tuonava Lucio, s’infervorava, s’arrabbiava, spiegava e rideva degli episodi curiosi che citava, spigolature delle sue continue letture e ricerche, cammei di una storia sconosciuta ai più che nella sua interpretazione rivelava quella caratteristica intrinseca di maestra di vita che spesso sfugge, spesso si nasconde e si nega e che solo la pazienza dell’intellettuale di spessore riesce a stanare.
Per tutte queste ragioni continuerà a mancare, insieme a personaggi incredibili come Borme e Missoni, Bettiza e Tomizza, Molinari e Pellizzer, e tanti altri, padri fondatori per noi di un’idea di civiltà adriatico-orientale che ci rappresenta e alla quale è difficile rinunciare.

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