LA RECENSIONE: «Vento di terra». L’Istria raccontata da Paolo Rumiz

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LA RECENSIONE: «Vento di terra». L’Istria raccontata da Paolo Rumiz

“Vento di terra. Istria e Fiume: viaggio tra i Balcani e il Mediterraneo” di Paolo Rumiz è uscito per la prima volta nel 1994 per Mgs Press ed è valsa la pena ricomprarlo e rileggerlo a dicembre dello scorso anno, ristampato da Bottega Errante Edizioni, Udine.

 

In un agile volume di 116 pagine Rumiz scrive un reportage con quella cifra stilistica che diventerà la sua peculiarità, quello scrivere chiamando le cose con il proprio nome, con una sincerità disarmante che sfiora la sfrontatezza in più di qualche pagina, ancora più bella delle altre.

“Vento di terra” è una chicca perché l’autore, uno dei più grandi giornalisti che la sottoscritta ha avuto la fortuna di conoscere di persona, lo scrive quando Fulvio Tomizza era ancora in vita: mano a mano che scorrono le pagine si torna indietro nel tempo, e riaffiorano i ricordi e si sente il profumo dell’Istria, “una tavola apparecchiata alla buona, una fetta di prosciutto salato, un’oliva e un bicchiere di Malvasia”.

Rumiz è uno che del fracasso del turismo, come lo definisce lui, non sa che farsene e gira a scovare gli angoli più nascosti alla gente e proprio per questo più preziosi, per sentire profumi, alberi e la musica dei dialetti istriani, che caratterizzano una terra in cui “cittadinanza politica e appartenenza culturale possono ancora camminare su binari paralleli, senza collisioni”. Rumiz dice infatti che l’Istria è “refrattaria all’idea di nazione, che le ha portato solo sventura”. “La gente onesta vuole solo vivere in pace, non importa che lingua parli”, gli risponde il vescovo di Parenzo di allora. Virgilio Giuricin, noto fotografo italiano di Rovigno, gli conferma che “È difficile far capire a Zagabria che qui l’italianità non è vent’anni di fascismo, ma cinquecento anni di Venezia”.

“Come un tempo l’Italia voleva italianizzare, così oggi Zagabria vuole croatizzare”, così la nota scrittrice Nelida Milani.

Una bella stoccata arriva da Domenico Cernecca, eroico combattente, che afferma “Roma si è sempre occupata più degli immigrati che dei connazionali all’estero; più dei vu’ cumprà che di chi tiene in vita la cultura nazionale”. E una sanguemisto come la sottoscritta ve lo può confermare, visto che dal 1994 ad oggi poco o nulla sembra essere cambiato. E così i tifosi del Rijeka, scrive Rumiz a pagina 103, “gridano in italiano ‘Forza Fiume’” Rumiz, sempre nel 1994, si chiedeva come si fa a sopravvivere con quei prezzi e con quelle paghe. Culturalmente, poi, asserisce ancora l’autore, la Croazia cerca da sempre l’Occidente, e proprio per questo soffre ancora di più sentendosi spinta verso i Balcani. “La libertà del contatto con l’ovest consumista e il dislivello di ricchezza che esso ha impietosamente evidenziato ha buttato altro sale sulla ferita, facendo sentire erroneamente ad alcuni croati la minoranza italiana come estranea al dramma, e comunque legata al mondo dei ricchi”. Davvero “Vento di terra” sembra scritto ieri. Ci sono alcune terre, alcuni luoghi che paiono cristallizzarsi in un tempo sospeso di bellezza e sofferenza, con dei confini tracciati dalla politica senza tenere conto della linea che separa davvero le culture, la linea bianca, dice Rumiz, che dal Monte Maggiore punta a nord-ovest sfiorando Trieste. Senza dimenticarsi che “una volta tanto cittadinanza e nazionalità possono tranquillamente non coincidere”, arricchendo così l’Europa di quella lezione che Sarajevo ha già abbondantemente pagato.

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