Giotto Innovatore della pittura

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Giotto Innovatore della pittura

ZAGABRIA | Nell’ambito della 18ª Settimana della lingua italiana nel mondo, si è tenuta ieri nell’Accademia delle Belle Arti di Zagabria, la conferenza “Giotto e il rinnovamento della pittura in Italia”, del prof. Alessandro Tomei.

A dare il benvenuto al numeroso pubblico, tra cui la direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura di Zagabria, Stefania Del Bravo, e gli studenti dei corsi di Pittura e Grafica, è stato il preside dell’Accademia ospitante, Aleksandar Battista Ilić. “Ringrazio l’IIC di Zagabria per averci proposto la conferenza dedicata a uno dei maggiori artisti italiani”, ha detto il preside, dichiarandosi onorato di potere ospitare Alessandro Tomei, professore ordinario di storia dell’arte medievale all’Università “G. D’Annunzio” di Chieti-Pescara.

Artista stimato già dai suoi contemporanei

Dove Giotto ha lavorato, il fare degli artisti locali non è più stato lo stesso, perché la lingua di quei pittori, scultori, miniatori e orafi non ha potuto fare a meno di confrontarsi con le opere del maestro e, nella quasi totalità dei casi, di esserne in vario modo condizionata. “Parlare di Giotto è come parlare di un fulmine – ha esordito il relatore –; le novità che egli introduce sono straordinarie. Giotto infatti è stato il primo artista medievale ad attraversare l’Italia, dalla Lombardia alla Campania, toccando il Veneto, l’Emilia e Romagna, l’Umbria e il Lazio, oltre che, naturalmente la Toscana. Le varie aree culturali dell’Italia del XIV secolo sono state profondamente segnate dalla lezione di quest’artista, ne hanno tratto esempio e dato impulso all’innovazione”, ha aggiunto Tomei. L’arte di Giotto, da un lato attua una sintesi della tradizione classica e medievale, mentre dall’altro comincia a mettere qualche pilastro per le fondamenta dell’edificio rinascimentale.
Alessandro Tomei, nel suo intervento, ha spiegato che fu proprio il grande contemporaneo di Giotto, Dante Alighieri, a sancire – con tanta icasticità e precocità, tra 1314 e 1315 – la fama di Giotto con la celeberrima terzina del “Purgatorio” (XI, vv. 94-96):
Credette Cimabue nella pittura/tener lo campo, e ora ha Giotto il grido,/sì che la fama di colui è scura
(c. XI, vv. 94-96). “È questa – allo stato delle conoscenze – la prima menzione del pittore come assoluto protagonista del panorama figurativo del tempo, forse anche precedente al primo dato documentario giuntoci con il suo nome, che risale al 1309”, ha ricordato il professore. I versi vennero scritti quando Giotto era ancora in vita. E quindi la sua fama fu immediata. “Giotto fu il più grande maestro dei suoi tempi”, ha ribadito.

Rapporto con l’Antichità

Il rapporto tra Giotto e l’Antico è uno degli aspetti fondamentali per la comprensione della sua arte, che proprio dalla classicità trae quei caratteri di naturalezza e di aderenza alla realtà che tanto furono apprezzati dai suoi contemporanei e che ancora oggi ci colpiscono per la loro intensità comunicativa. Durante la conferenza sono state esibite in videowall alcune delle maggiori opere di Giotto, come ad esempio l’immagine della navata della Basilica di San Francesco d’Assisi.
“Il problema principale della pittura antica era quello di rappresentare una superficie di due dimensioni. La realtà che noi percepiamo a tre dimensioni viene chiamata prospettiva”, ha spiegato Tomei. Il “Presepe di Greccio” è un esempio di riscoperta della prospettiva di Giotto. Qui si può notare che l’artista costruisce uno spazio a più dimensioni; è questa un’assoluta rivoluzione per il periodo del Medioevo.

L’aspetto psicologico dei personaggi

La realtà dipinta da Giotto non è costituita però soltanto da cose, persone e paesaggi: per la prima volta, dopo molti secoli, nella pittura compare nuovamente la rappresentazione degli stati psicologici dei personaggi. La prima Croce dipinta da Giotto, quella della Chiesa di Santa Maria Novella di Firenze, mette in rilievo la natura fisica del crocifisso. “Cristo è davvero appeso alla croce. È un Cristo umano, non divino. Il realismo e il naturalismo caratterizzano l’arte di Giotto”, ha aggiunto il relatore.

Il giottismo nel resto d’Italia

Giotto operò in diverse città italiane. Oltre che a Firenze, Giotto compì anche a Roma i primi passi del percorso culturale e artistico che lo avrebbe portato a dominare la scena figurativa italiana; nell’Urbe, un gigantesco e straordinario museo a cielo aperto entrò in contatto con le grandi opere non soltanto dell’antichità, ma anche della sua epoca, che lì erano state realizzate nel corso del XIII secolo da importanti maestri quali Jacopo Torriti e Pietro Cavallini. Qui era attivo anche il fiorentino Arnolfo di Cambio, che mise a punto una mirabile sintesi di naturalismo classico e novità gotiche.
Nelle opere di questi maestri, la conoscenza e l’utilizzo di elementi antichi in termini di resa plastica delle figure, di rappresentazione tridimensionale dello spazio, di conoscenza del lessico classico non avevano eguali in nessuna città d’Italia, e Giotto poté trarne motivi di profonda e aggiornata riflessione. Ma la classicità giungeva al maestro anche da altre fonti, quelle dell’arte gotica, soprattutto francese. Il confronto con i pannelli della recinzione presbiteriale, il jubé, della cattedrale di Bourges per esempio, rende particolarmente evidente questo collegamento; furono però tanti altri i tramiti attraverso i quali tali contatti poterono verificarsi: manoscritti miniati, avori, smalti e più in generale quei manufatti trasportabili che, più di quanto si pensi oggi, giravano per l’Europa. È su questi rapporti culturali e sul rapporto dialettico con manufatti di questo genere che si basa l’arte di Giotto: nel giro di pochi decenni i suoi valori formali costituiranno la base linguistica della cultura figurativa italiana. Prima della metà del Trecento il giottismo non è più tale, perché è divenuto patrimonio culturale condiviso degli artisti italiani, non più semplicemente punto di riferimento stilistico.

Icona di tipo pubblicitario

Giotto è l’unico artista del Medioevo occidentale a godere tuttora di una fama indiscussa e vastissima, tanto da essere stato – ed essere tuttora – usato persino come icona di tipo pubblicitario. Questa è cosa nota. Meno noto è che questa fama fu immediata e alimentata dai suoi stessi contemporanei e andò aumentando nei secoli successivi, per giungere intatta sino alla modernità, tanto da essere preso come punto di riferimento da grandi maestri italiani del Novecento, quali ad esempio Carlo Carrà o Giorgio De Chirico. Un riconoscimento nei secoli riservato soltanto ai grandi artisti del Rinascimento.

La Cappella degli Scrovegni

In chiusura è stata annunciata la mostra che sarà allestita prossimamente nel Museo archeologico di Zagabria. “Grazie alla collaborazione con l’ente museale, il prossimo 7 novembre, nel nuovo spazio del Museo verrà inaugurata un’esposizione virtuale ad altissima risoluzione dedicata alle particolarità artistiche della Cappella degli Scrovegni”, ha annunciato al termine della conferenza la direttrice dell’IIC, Stefania Del Bravo.

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