«La parola ci definisce in ogni tempo»

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«La parola ci definisce in ogni tempo»

La letteratura è arte, è modalità d’espressione, è un passatempo, è tante emozioni messe insieme con l’intento di trasmettere un messaggio. Per le popolazioni di frontiera, la letteratura è importante in quanto in grado di costruire ponti e di ponti abbiamo bisogno per poter superare gli ostacoli e i muri che ci vengono imposti dai confini nazionali. A maggior ragione, quindi, in quanto minoranza nazionale, valorizziamo quegli scrittori che puntano alla coesione, al superamento delle differenze, alla soluzione delle incomprensioni, spesso dovute pure alla barriera linguistica.

Un aiuto essenziale al superamento dell’ostacolo posto dalla lingua è stato dato dallo scrittore, poeta, giornalista, traduttore, saggista e politico sloveno, Ciril Zlobec è stato da sempre impegnato nella battaglia per la convivenza pacifica tra i popoli. Ci ha lasciati, poco più di un mese fa, all’età di 93 anni.
Ma quali sono stati, concretamente, i passi compiuti da Zlobec per avvicinare ai popoli slavi (quindi sia a Sloveni, Croati e Serbi) le opere dei grandi della letteratura italiana e quali quelli per dare risalto alla lingua slovena?

Oppositore del fascismo dalla più tenera età

Zlobec nacque a Paniqua (in sloveno Ponikve), in provincia di Tolmino, nel 1925. Si tratta di un paese a soli 12 chilometri dal confine italiano e uno dei primi viaggi di cui lui stesso ha scritto, è una visita a Trieste nei primissimi anni dell’infanzia e durante la quale subì un primo attacco verbale per il fatto di usare la lingua slovena, lingua che adoperava in famiglia. In seguito a quest’ episodio Zlobec si definì “nazionalista” in senso molto lato del termine, volendo esprimere il proprio orgoglio nazionale. Uomo e intellettuale di frontiera, frequentò le scuole italiane, le prime classi ginnasiali nel seminario minore, prima a Gorizia, poi a Capodistria, dal quale venne espulso in quanto irrispettoso della legge fascista che impediva l’uso della lingua slovena. Venne mandato al confino in Abruzzo nel 1941. Nel settembre del ’43 ritornò in Patria e prese parte attiva alla Resistenza slovena. Dopo la guerra continuò gli studi a Lubiana, si laureò in lingua e letteratura slovena e russa. Lottò sempre per mantenere una visione obiettiva e spassionata della lotta partigiana, di cui fu testimone diretto e alla quale prese parte attiva. Zlobec si oppose alla demonizzazione del comunismo e della lotta di liberazione dal fascismo, ma difese pure le radici religiose del popolo sloveno, che reputava assolutamente compatibili con le sue idee politiche.
Le sue prime poesie nacquero negli anni della guerra e vennero pubblicate nel 1953 in una raccolta intitolata “Pesmi štirih” (Poesie di quattro), realizzata in collaborazione con Tone Pavček, Janez Menart e Kajetan Kovič perché “ragazzi, la carta è scarsa e non possiamo pubblicare quattro libri. Uniamo il materiale e facciamone uno”. Tutt’oggi, questa silloge poetica rappresenta uno dei capisaldi della letteratura slovena moderna ed ha ottenuto numerosi premi letterari. Zlobec ricordò questo periodo della sua produzione con le seguenti parole: “La mia poesia durante il fascismo fu un grido per dare voce all’etica di opporsi all’offesa della dignità umana. Volevo scrivere come Dante: composi in terzine oltre mille versi contro l’oppressione degli sloveni”.

Un ponte con l’Italia

Per noi Zlobec è importante perché è l’intellettuale che fece conoscere Dante, Leopardi, Petrarca, Pasolini, Sciascia, Moravia, Ungaretti e Quasimodo in Jugoslavia prima e in Slovenia dagli anni Novanta in poi.
Per quanto riguarda la vita culturale dello Stivale, Ciril Zlobec è stato traduttore, ma anche amico dei maestri della letteratura e della poesia italiana del secolo scorso. La critica internazionale lo ha inserito tra i cento poeti più importanti al mondo; un grande onore per l’intellettuale, ma anche per tutta la Slovenia. Zlobec, però, mantenne sempre un’umiltà e una cordialità per cui fu amato dai suoi contemporanei. In un’intervista ha ricordato la sua prima visita a Roma: “La mia prima volta a Roma fu nel 1956 con una delegazione di giornalisti jugoslavi. Mentre i miei colleghi si davano al turismo io cercai il numero di telefono di Moravia. Lo chiamai e, con il pretesto di avere dei chiarimenti su alcuni passi del romanzo “La romana” che stavo traducendo, gli chiesi di incontrarmi. Mi ricevette, era incuriosito dal mio entusiasmo”. Dopo questo primo incontro Moravia lo presentò a Ungaretti. Tra i tanti grandi della letteratura novecentesca ad aver incontrato il poeta sloveno troviamo pure Salvatore Quasimodo. Zlobec disse di lui: “La mia traduzione delle sue poesie uscì all’indomani della consegna del premio Nobel. Ebbi l’onore di averlo ospite a casa mia. Mi offrì di tradurre le mie poesie in Italia, non accettai. Mi sembrava troppo avere un premio Nobel come traduttore; ancora me ne pento”.

Un politico innamorato della cultura

Nel 2015, in occasione del suo 90.esimo compleanno e della pubblicazione di una raccolta di liriche dedicate all’amore dal titolo “L’amore, miracolo dell’anima e del corpo” Zlobec dichiarò: “Il popolo sloveno mi ha eletto per due volte in parlamento perché sono un poeta e la mia gente crede nella poesia. La cultura per la piccola nazione slovena, stretta nei secoli fra nazioni e imperi, è stata l’elemento più forte di coesione e sopravvivenza. Ho portato la cultura nella politica e non viceversa. Mi divertivo quando incontravo piccoli uomini convinti di essere personaggi importanti solo perché portati in alto dalla politica”.
Per Zlobec la parola poetica era testimonianza dell’identità individuale e nazionale. “La parola ci definisce in ogni tempo, è concretezza umana, politica e sociale. Un testo vero, sincero non perde di forza e d’attualità anche a distanza di anni. Mantiene la capacità di indicarci la vita, anche in tempi di dilagare, soprattutto sui social, di parole vuote gli uni con e contro gli altri”. Per questa sua modernità e per il desiderio di dialogare soprattutto con le future generazioni venne definito spesso “intellettuale del dialogo”, dell’incontro con i grandi ma anche con i piccoli. Durante la sua carriera gli sono stati assegnati oltre 30 premi nazionali e internazionali. Fra questi in Patria la Medaglia d’oro per il lavoro culturale e il Distintivo d’oro della libertà; in Italia il titolo di Commendatore della Repubblica, il Premio internazionale Eugenio Montale, il riconoscimento “Insigne italianista” della Fondazione Campiello, il Sigillo d’argento della città di Trieste e il premio speciale Giuseppe Acerbi per l’opera omnia. Tra le raccolte poetiche più importanti troviamo “Pobeglo otroštvo” (L’infanzia fuggita), 1957; “Pesmi jeze in ljubezni” (Poesie d’ira e d’amore), 1968; “Kras” (Carso), 1976; “Nove pesmi” (Nuove poesie), 1985; “Moja kratka večnost” (La mia breve eternità: antologia personale), 1950-1990.

Paladino delle minoranze nazionali

Ciril Zlobec partecipò a numerosi convegni letterari, di cui alcuni organizzati pure dai redattori de “La Battana” pubblicata dalla nostra casa editrice, insieme a scrittori poeti e saggisti della CNI, di tutte le repubbliche ex jugoslave e dell’Italia. L’intellettuale si rendeva conto della difficile posizione delle minoranze, anche perché, in un certo senso, visse sulla propria pelle l’odio nazionale, pur non facendo parte della minoranza. In un saggio intitolato “Minoranze fra maledizione e speranza” Zlobec ha spiegato che le minoranze sono una realtà da prendere in considerazione e tutelare, non sono un problema come si vorrebbe far credere, né un malinteso. In un incontro con Giacomo Scotti a Trieste, nel 1994, dichiarò: “La reale posizione della minoranza non è mai tale da essere soddisfacente per la minoranza”. E più avanti: “Le minoranze sono qui e vi resteranno… Resteranno con il loro e il nostro problema. Ma con la loro bicultura, il loro bilinguismo e con il dialogo potranno servire da modello di convivenza. A condizione però che ci sia per essi una vera democrazia”.
Ha avuto numerosi amici tra gli intellettuali della Comunità nazionale italiana in Slovenia e Croazia assieme ai quali ha collaborato a prestigiose iniziative culturali. Un intero fascicolo della Rivista letteraria “Galleria” edita da Salvatore Sciascia (fratello del grande scrittore siciliano Leonardo Sciascia) fu dedicata agli scrittori e artisti dell’ex Jugoslavia scelti da Zlobec e tradotti da Scotti che dopo qualche anno diedero origine a un’antologia edita da Guanda. Un altro esempio di attenzione verso la letteratura italiana fu la pubblicazione di un’antologia in lingua slovena della poesia italiana del Novecento nella quale per la prima volta vennero inseriti alcuni esponenti della CNI e precisamente i poeti Osvaldo Ramous, Lucifero Martini e Giacomo Scotti (volume edito da ‘Lipa’ di Capodistria).
Per concludere vorremmo ricordare il titolo di un volume di saggistica di Zlobec: “Lepo je biti Slovenec, ni pa lahko” (‘È bello essere Sloveno, ma non è facile’), che potremmo trasporre anche sulle altre identità nazionali, sia della maggioranza che della minoranza. È bello essere Italiano, Croato, Serbo, ma non è facile. La difficoltà sta nel portare un fardello culturale e linguistico che a volte non viene sempre riconosciuto, altre volte viene svilito apertamente. Comunque sia, Ciril Zlobec ha spianato la strada del dialogo, non ci resta altro che continuare a mantenerlo vivo come pure la collaborazione transfrontaliera a cui lui tanto teneva.

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