Bruno Nacinovich. 43 anni dedicati al teatro

L’attore del Dramma Italiano del TNC «Ivan de Zajc» di Fiume fa calare il sipario sulla sua brillante e intensa carriera con più di 140 produzioni e altrettanti personaggi

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Bruno Nacinovich. 43 anni dedicati al teatro
Foto: ŽELJKO JERNEIĆ

Il Dramma Italiano del Teatro Nazionale Croato “Ivan de Zajc” di Fiume negli ultimi anni sta subendo una trasformazione, con tanti attori nuovi che arrivano dall’Italia, mentre gli attori più anziani scelgono la più che meritata pensione. Uno degli ultimi rappresentanti della “vecchia guardia” è anche Bruno Nacinovich, che dai primi di gennaio ha salutato, almeno temporaneamente, l’ensemble di prosa in lingua italiana. Gli abbiamo chiesto di condividere con i nostri lettori i ricordi e le esperienze vissute a Teatro in questi quattro decenni.

Com’è nato l’amore per il teatro?
“All’epoca del Liceo si facevano molte attività nella Comunità degli Italiani e dunque oltre ad avere il nostro complesso musicale ‘I sottomessi’, c’erano anche la sezione di arte varia e la sezione della filodrammatica con Nereo Scaglia e altri attori. Lì ho fatto le prime esperienze teatrali, ma non è stato subito amore. All’epoca ero ancor sempre più propenso a occuparmi di musica e successivamente mi ero iscritto alla Facoltà di Ingegneria. Proprio quando avevo scelto la mia strada mi ha chiamato Bruno Petrali dicendomi che gli serviva una persona per la commedia ‘La madassa intrigada’ di Pero Budak, con la regia di Anđelko Štimac. Cercavano una persona che se la cavasse con la recitazione, il canto e la chitarra e qualcuno fece il mio nome. Così sono stato assunto, ho fatto questa produzione e poi mi hanno proposto di rimanere. Nel 1979, dunque, ho abbandonato gli studi universitari e sono entrato a pieno titolo nel Dramma Italiano, dove sono rimasto fino al pensionamento, all’inizio di quest’anno. Ho alle spalle ben 43 anni di onorato servizio e se avessi voluto, avrei potuto lavorare ancora per un anno e mezzo, ma sinceramente, penso che anche così la mia carriera teatrale sia un percorso di tutto rispetto con più di 140 produzioni e altrettanti personaggi”.

Le trasferte in Italia
Che cosa ricorda con maggior piacere di questi anni?
“Quando sono venuto nel Dramma Italiano tutti gli attori più anziani erano in procinto di andare in pensione e in poco tempo siamo rimasti io, Elvia (Nacinovich, nda), Ester (Fantov Vrancich nda), Giulio Marini, Maria Braico-Štifanić e qualche giovane che veniva dall’Istria o dall’Italia. Quindi ci sono voluti cinque o sei anni finché non ci siamo messi in carreggiata con le produzioni più importanti. Per mia esperienza, questi erano i tempi più brutti, perché il pubblico era numeroso, sia negli anni Settanta, che Ottanta, noi eravamo giovani e ci mancavano attori più maturi. Mia moglie all’epoca aveva 27 anni e doveva già fare la parte dell’anziana. Facevamo delle tournée di venti o venticinque giorni per tutta l’Istria, le isole, tutte le località più piccole. Il ricordo più bello che ho di questi 43 anni sono le ‘Baruffe chiozzotte’ di Goldoni, una coproduzione tra quattro teatri: il nostro e quelli di Treviso, Gorizia e Verona. In quell’occasione facemmo una tournée lunga di 150 spettacoli per tutta Italia. Le critiche furono spettacolari e penso che Goldoni fatto così sia una rarità. In quella produzione avevo una parte quasi principale in quanto ero Paron Fortunato, un personaggio che fa ridere più degli altri e dunque anche le critiche nei miei confronti erano molto accese. Per un attore ricevere ogni sera dieci applausi a scena aperta è una grande soddisfazione, soprattutto se ciò avviene in grandi città italiane come Roma o Milano e non a Rovigno o a Parenzo, dove ti conoscono tutti. Sentirsi dire che Goldoni non è mai stato fatto così bene è un momento molto bello e penso dipenda anche dal fatto che il dialetto in Italia ormai è parlato pochissimo e noi abbiamo portato sulla scena un dialetto veneto autentico. Un altro bel momento della mia carriera fu nell’‘84 o ‘85, quando facemmo per la prima volta un musical che si chiamava ‘Il giorno della tartaruga’ ed era uno spettacolo fatto in Italia da Renato Rascel e Delia Scala. Da noi è stato fatto da Anton Marti, il regista più conosciuto dell’ex Jugoslavia, che per le parti principali scelse me ed Elvia, con otto ballerini, coristi e musiche dal vivo. Quello fu l’unico spettacolo che alla replica registrò il tutto esaurito e la biglietteria dovette stampare il nastro ‘Tutto esaurito’ pure in italiano. Il passaparola fu così veloce che chi aveva visto la prima invogliò gli altri a venire a teatro”.

Basta avere un bravo regista
Com’è cambiato il Dramma Italiano in questi quattro decenni?
“In meglio. Sono arrivati giovani bravissimi e non solo professionalmente, ma anche belle persone. In questo momento sono pochi gli attori più anziani, ma c’è la possibilità di prenderli, perché anch’io o Elvia siamo a disposizione, se ci vorranno chiamare. In questo momento ci sono dodici attori di età media o giovani, che sono tutti bravissimi e sono eclettici, una caratteristica molto importante e difficile da trovare, anche in Italia. In Croazia non ci sono persone di questo tipo, che possono cantare, suonare, ballare e recitare così bene come i miei colleghi. Tutto sta nel trovare buoni testi e buoni registi, perché una compagnia è un po’ come la nazionale di calcio. Ci sono undici giocatori, ma se non vengono guidati da un allenatore molto bravo, il loro talento viene sprecato. Se Mancini allenasse la Croazia, la Croazia sarebbe sempre prima. Nel teatro l’allenatore è il regista. Se il regista è molto giovane succede che sia spaesato e forse non abbia le idee molto chiare. In questo caso è bene che si lasci guidare dall’attore. Nessun attore va in scena per fare male il proprio lavoro, ma il successo della sua recita dipende dalla compagnia nel suo insieme. Spesso si devono fare dei compromessi e reputo che per una buona riuscita della produzione sia necessario prendere in considerazione le proposte degli attori. Se un regista non sa bene cosa stia facendo, non riesce a coordinare bene gli attori sulla scena, il risultato è scadente. Il teatro in sostanza è molto semplice e con un buon testo e un buon regista non si può sbagliare”.

Le nuove produzioni rispettano queste regole?
“Quello che io spiego ai miei colleghi più giovani è che uno spettacolo visivamente e musicalmente può essere molto bello, ma si tratta solo del cellophane e se dentro c’è una patata lessa tutti gli effetti speciali di questo mondo non basteranno a renderla un contenuto di qualità. È meglio avere una scarpina calda fatta al forno, che una patata con mille aggiunte. Se il pubblico è uscito da teatro senza aver riso, pianto o riflettuto, lo spettacolo non è riuscito. ‘Variazioni enigmatiche’, ad esempio, è uno spettacolo che fa godere lo spettatore perché racconta una storia. Se una storia è raccontata bene chi la guarda si appassiona e inizia a fare il tifo. Se non fai il tifo per nessuno, ma aspetti l’effetto speciale, c’è qualcosa di sbagliato. Oggi il teatro purtroppo non racconta più storie, ma punta sull’esteriorità cercando di avvicinarsi alla televisione o al cinema, che fanno uso di mezzi più potenti, ma inadatti al teatro”.

Uno spettacolo fatto con pochi mezzi, ma applicando questa formula?
“Ora mi viene in mente lo spettacolo con regia di Ljubiša Georgievski – uno dei registi più bravi con i quali abbiamo lavorato, di origine macedone – ‘Chi non muore non ha dignità’. La scenografia erano cinque letti, presi in prestito dall’ospedale, col pubblico che stava attorno e guardava i tre ammalati, il dottore e l’infermiera. Il bello era che prima dell’inizio accendevamo le luci al neon e facevamo sentire ai presenti l’odore di formalina. In questo modo si creava l’impressione di essere veramente in un ospedale e vedendo i tre ammalati nei letti, uno morente con il sangue alla bocca e gli altri addormentati, si creava nei presenti una sensazione di disagio e irrequietezza. Quello spettacolo non è costato quasi niente, ma ha avuto un successo strepitoso in tutte le più piccole comunità”.

L’impegno per i più piccoli
Nella sua carriera ha lavorato tanto anche con i ragazzi?
“Sì, sia io che soprattutto mia moglie, abbiamo fatto un lavoro capillare per quel che riguarda il teatro dei bambini. Abbiamo fatto tantissime produzioni, anche piccoli musical per bambini, veri spettacoli teatrali per i più piccoli. L’ultimo è stato ‘Pinocchio’, qualche anno fa, sia in croato che in italiano. Abbiamo fatto tantissime matinée a scuola e queste pièce hanno plasmato il pubblico che abbiamo oggi. Io ed Elvia abbiamo fatto il giro di tutte le scuole italiane dell’Istria e di Fiume, 22 scuole elementari e 5 medie superiori, per presentare brani estrapolati dagli spettacoli del Dramma Italiano. Lo spettacolo veniva accompagnato da racconti e incontri con i ragazzi, ma anche giochi a premi, grazie al sostegno dell’Università Popolare di Trieste, che forniva i regali, registratori, cuffie, zaini e altro. A vedere i ‘Sei personaggi in cerca d’autore’ sono stati ben seicento ragazzi, venuti a Fiume da tutta l’Istria grazie all’Unione Italiana. Non solo i ragazzi si incontravano e vedevano questo classico teatrale, ma avevano la possibilità di vederlo nel nostro Teatro, uno dei palazzi più belli d’Europa”.

Ha mai pensato di occuparsi di cinema?
“Prima della scorsa estate ho recitato in una serie britannica chiamata ‘Hotel Portofino’, ma finora diciamo che non ho mai preso impegni di questo tipo, perché non potevo mai sapere se sarei stato libero per le riprese o se avrei fatto degli spettacoli. Uno dei problemi col cinema è anche il fatto che a Fiume viene fatto poco o niente, ma mi sembra che ultimamente questa situazione stia cambiando. Qualche giorno fa hanno chiamato me ed Elvia per fare un film in Istria intitolato ‘Štriguni’. Ora che sono in pensione questa potrebbe essere un’idea, anche perché è un lavoro molto ben pagato”.

Una vita piena di passioni
Quali sono i suoi piani ora che è in pensione?
“Continuerò a fare la stessa vita di sempre. Pescherò a Beli (Caisole), raccoglierò funghi e asparagi, coltiverò l’orto davanti casa con mia moglie e continuerò a occuparmi delle cose di prima. Mi dedicherò alla musica, che non ho mai trascurato in tutti questi anni. Anzi, ho realizzato ben quaranta musiche per teatro, ma anche arrangiamenti e musiche per documentari. Adesso ho ricominciato a suonare la chitarra, anche nei ristoranti e sicuramente continuerò a sviluppare questa passione. Forse io ed Elvia faremo qualche produzione privata in dialetto, che negli ultimi anni è stato un po’ trascurato. Devo dire che vado in pensione tranquillo perché lascio il Dramma Italiano più bravo di quanto l’avevo trovato. Sono sicuro che molti storceranno il naso pensando che critico i ‘mostri sacri’ del Dramma Italiano, ma io che ho incontrato da vicino tutti questi personaggi affermo con convinzione che i miei colleghi di oggi recitano molto meglio”.

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