Pola. Le impronte del passato

L’affermarsi dell’economia di mercato ha fatto sì che molte aziende o istituzioni bancarie molto «in» nel passato più o meno recente hanno dovuto dichiarare fallimento. Ciò nonostante alcune delle vecchie insegne ancora reggono sugli edifici del centrocittà e in periferia

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Pola. Le impronte del passato
Il salone del mobile “Šavrić” chiuso degli anni Novanta. Foto: DARIA DEGHENGHI

Una città è sempre un insieme di testimonianze del fluire del tempo. Come il Medio Evo non ha mai cancellato completamente i resti di Roma, così l’Impero austro-ungarico non ha mai cancellato completamente gli edifici di culto, civili e militari del Medio Evo (benché ce l’abbia messa tutta). Le impronte delle grandi culture sono dure a sparire di scena e resistono nei secoli anche perché a un certo punto i posteri cominciano ad apprezzare e si risolvono di conservarle. Diverso è il caso dei segni del tempo più effimeri, quelli che non consideriamo degni di mantenimento: per esempio, le insegne e la pubblicità dei negozi e dei servizi pubblici dello scorso secolo, sia quelle dipinte a mano, vecchia scuola, sia quelle realizzate in plastica venute dopo con la definitiva consacrazione dei polimeri sintetici nella vita di tutti i giorni. Le vetrine e le insegne dei negozi in legno sono state cancellate con un colpo di spugna. Ne ha fatto piazza pulita l’incipiente socialismo votato alla modernità dell’acciaio e dell’alluminio, non senza rincorrere secondi fini: eliminare quel che restava della lingua italiana sulle facciate dei bar, dei ristoranti, delle botteghe artigiane e negozi vari. Similmente, l’avvento degli Anni Novanta, il crollo della Jugoslavia, i fallimenti a catena delle aziende del vecchio sistema e il lento affermarsi dell’economia di mercato hanno cancellato a loro volta i resti dell’organizzazione aziendale pianificata poco amante della concorrenza.

La scritta «Šavrić»
Ciò nonostante, come si è visto, non sempre l’ondata del nuovo riesce a sopprimere completamente gli avanzi del vecchio incapace di reggere il passo con i tempi. C’è un che di stoico nell’ostinazione del vecchiume a non mollare, come si nota osservando attentamente le facciate del centro storico e della periferia urbana. Ecco un bell’esempio di insegna destinata a entrare nel novero dei relitti urbani tra gli strumenti di comunicazione visiva dell’ordinamento comunista: i caratteri cubitali, mastodontici e colorati (un tempo anche illuminati al neon) di quello che era stato il salone dei mobili Šavrić. Chiunque abbia più di quarant’anni non può fare a meno di ricordarselo. Arredare casa al Šavrić era più o meno la stessa cosa che adesso è comprare all’Ikea o all’Emmezeta. L’azienda è nata nel 1948 e negli anni Ottanta aveva 2.600 negozi in tutto il territorio dell’ex Federativa, ma il suo apice è stato anche il proverbiale punto di non ritorno e l’inizio del declino. Che l’insegna sia sopravvissuta all’azienda non stupisce più di tanto, ma che ci sia rimasta fino agli anni Duemila è davvero strano. Evidentemente i condomini non hanno trovato i soldi necessari per disfarsi di un peso morto come questo. Di solito ci vuole un intervento edile più serio, come il restauro della facciata e del tetto, per disfarsi delle vecchie insegne ingombranti del passato.

Negozio nuovo, marchio vecchio
A dirla tutta Šavrić non è neanche l’ultima catena commerciale del vecchio ordinamento ad avere lasciato un segno indelebile in città anche dopo il fallimento. Dal centro alle periferie ci sono ancora negozi che esibiscono le insegne di società e attività morte e sepolte quali Puljanka, Istra, Robna kuća Pula, Robna kuća Šijana e compagnia bella. In via Sergia uno dei due negozi del nuovo marchio Studenac esibisce sulla facciata il nome e marchio di fabbrica Gavrilović, perché hanno tolto l’insegna ma non si sono preoccupati di riverniciare la facciata. La penna stilografica della vecchia cartoleria ad angolo che dava su piazza Port’Aurea (poi trasformata in banca) è stata salvata dalla rottamazione perché l’ha richiesta (e avuta) la Società regionale degli scrittori che ha messo su casa in via San Giovanni.
Intanto sul cornicione in pietra della Casa della salute in via Flanatica c’è ancora la dicitura italiana dell’ente sanitario italiano dell’epoca: Cassa Provinciale Distrettuale. Non è mai stata cancellata semplicemente perché scolpita nella pietra, anche se una mano o due di carta smeriglia ce l’hanno pur data. Insomma, la città è come un foglio di carta: si lascia scrivere. Si lascia anche cancellare, è vero, ma mai fino in fondo.

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