INTERVISTA Francesco Rabaz: «Chi torna a Parenzo la vede com’era una volta, anche se i tempi sono cambiati»

Incontriamo il connazionale della classe 1934, emigrato negli Stati Uniti

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INTERVISTA Francesco Rabaz: «Chi torna a Parenzo la vede com’era una volta, anche se i tempi sono cambiati»
Foto Denis Visintin

Francesco Rabaz, arzillo ottantottenne, esule dal 1947, torna dal 1960 nella natia Parenzo. La vita l’ha portato a vivere prima in Italia e poi negli Stati Uniti. Lì ha prestato servizio nell’Esercito e ha vissuto la guerra nel Vietnam. La vita militare lo portò successivamente in Germania, da dove, con la famiglia, raggiungeva spesso Parenzo. Queste sue visite sono proseguite annualmente anche dopo il pensionamento. L’abbiamo incontrato nel Parco Matija Gubec, dove una volta si trovava la sua casa, bombardata durante la guerra. La sua mente va subito ai giorni dei bombardamenti, con le sirene che suonavano, gli aeroplani inglesi che passavano bassi, quasi per avvertire la gente, per poi tornare a bombardare. “Io quel giorno dovevo andare a prendere il latte, per cui non ero a casa – ricorda il nostro interlocutore –. I miei erano convinti che fossi finito sotto le macerie, altri erano sicuri che fossi riuscito a scappare. Io mi salvai proprio perché ero andato a prendere il latte, come se mia madre avesse avuto una premonizione nell’affidarmi quest’incarico. Quel giorno mio padre perse casa e lavoro, essendo stato bombardato anche lo stabile in cui era impiegato come cameriere, l’hotel Riviera”.

Premonizioni che a quanto pare lo salvarono pure un’altra volta. “Io e i miei amici eravamo soliti andare al mare in Riva – continua Rabaz –. Avevamo tutti nove o dieci anni. Un giorno proposi ai miei compagni di allontanarci. Alcuni erano titubanti, ma infine riuscii a convincerli e ce ne andammo. Dopo breve tempo, la Riva fu bombardata. Quando ci andai, nel pomeriggio, vidi che la bomba aveva provocato un enorme cratere; se fossimo rimasti lì, saremmo tutti morti”.
Durante la guerra Parenzo subì 39 bombardamenti e la Riva venne colpita spesso. Francesco Rabaz ricorda pure una buca che si formò davanti all’attuale sede municipale, dopo la caduta di una bomba.
“I tedeschi trasportavano la bauxite da Visignano a Parenzo per caricarla sulle navi. Gli operai erano dei partigiani rastrellati dai tedeschi. Durante i bombardamenti, gli operai cercavano un riparo, ma dovevano rientrare al lavoro, altrimenti li uccidevano. Diversi furono uccisi e sepolti vicino ai Bagni Riviera.
Sfuggii a morte certa pure un giorno mentre stavo passeggiando in via San Francesco in Riveta, dove cadde una bomba che però non esplose. Molti anni dopo, anche in Vietnam ebbi delle premonizioni, spostandomi spesso contrariamente a quello che erano gli ordini. Così una sera mi salvai da un’imboscata, in cui morirono ventiquattro militari del mio reparto”, racconta Rabaz sul filo dei ricordi.

Quando giunsero i Rabaz a Parenzo?
“I Rabaz arrivarono qui intorno alla metà del XIX secolo, ma le loro origini sono lontane e vanno ricercate addirittura in Pakistan. Indagando, sono venuto in contatto con un Rabaz che viveva a Kabul e ora si trova in Iran”.

Com’è stata la sua infanzia?
“Sono nato il 1.mo agosto 1934 nell’odierna via Sant’Eleuterio. Dopo i bombardamenti ci trasferirono al Predio, presso l’Istituto agrario. Fu la nostra casa per cinque mesi. Cì passammo tutto l’inverno; faceva freddo e andavamo a mangiare dalle suore. Poi ci venne assegnata una casa in Strada granda.
Quand’ero bambino, mio cugino mi mandò a prendergli delle sigarette e quando tornai, i fascisti l’avevano arrestato. Lui guidava un camioncino e un giorno i partigiani lo fermarono vicino a Mompaderno, costringendolo a lavorare per loro. Per questo i fascisti lo fucilarono, a Visinada. Poi a casa mia vennero i partigiani, forse per portarci via, ma quando mia madre chiese loro che cosa volessero in croato, lingua che aveva imparato dai nonni ad Abrega, si scusarono, dicendo che avevano sbagliato casa.
Oltre a questi eventi traumatici, dell’infanzia ricordo i giochi con i miei compagni; giocavamo fra l’altro alla guerra tra Marafor e Cimare. Anche d’inverno vestivo solamente una camicetta, senza ammalarmi mai. Qui sono nato e qui sono stato bene”.

Quando la sua famiglia ha deciso di andarsene?
“Siamo partiti da qui, dalla Riva parentina, il 5 giugno 1947. Dapprima siamo stati al Silos di Trieste, dove siamo rimasti per quattro mesi, poi ci trasferirono all’Aquila, per altri sei mesi. Quindi a Calambrone in provincia di Pisa, dove abbiamo vissuto per due anni e mezzo. Lì c’erano i comunisti livornesi che ce l’avevano con noi, chiamandoci fascisti e accusandoci d’aver abbandonato il Paradiso del lavoro di Tito. Poi ci furono le elezioni del 1948 e ci dissero che se le vincevano, c’impiccavano tutti. Meno male che persero”.

Quando è maturata in lei l’idea di trasferirsi negli USA?
“All’epoca mi trovavo con la famiglia nel Campo profughi a Novara, e dopo un po’ di tempo ci venne assegnata una casa. Io avevo già fatto domanda per andare negli Stati Uniti e dopo qualche settimana dal Consolato statunitense mi avvisarono che la mia richiesta era stata accolta. Mi diedero quindi il visto d’entrata negli USA. Sono partito il 5 giugno 1957”.

Che cosa ha fatto negli Stati Uniti?
“Un po’ di tutto, ma soprattutto il militare, quale esperto nelle comunicazioni. Sono stato per un anno in guerra nel Vietnam, poi sono andato in Germania. Ho messo su famiglia e ai miei figli alla sera insegnavo la nostra lingua, con la quale comunichiamo tuttora”.

Che cosa prova quando torna a Parenzo?
“Sento tanta nostalgia. La prima volta che tornai, con la famiglia, nel 1960, l’allora Consolato jugoslavo di Milano mi diede un visto di soggiorno per tre giorni e per me era come tornare in Paradiso. Quelli erano anni duri, ma non ho mai avuto problemi. Chi è nato qui, quando torna, vede sempre la Parenzo d’una volta, anche se i tempi sono cambiati e la città è cresciuta e si è ammodernata”.

In questi giorni sta facendo un giro tra Parenzo, Trieste e Novara, scattando delle foto da mostrare agli amici parentini negli Stati Uniti, che vivono nel Wisconsin e in Florida. Vi incontrate mai?
“No. Ma sono convinto che risponderemo tutti all’invito lanciato da Iginio Covacich di ritrovarci nel 2023 a Parenzo, agli inizi di settembre, periodo in cui tra l’altro inizio il mio consueto giro in Europa”.
Lasciamo Francesco Rabaz, nostro assiduo lettore, che si appresta a rientrare in Arkansas, dove vive, con la promessa di ritrovarci a Parenzo l’anno prossimo.

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