Scuole CNI. Il dilemma tra quantità e qualità

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Scuole CNI. Il dilemma tra quantità e qualità
Sono stati Paolo Demarin e Diriana Delcaro Hrelja a moderare la seduta tematica dell’Assemblea dell’UI tenutasi a Sissano. Foto: Goran Žiković

“Abbiamo il dilemma del rapporto fra la quantità e la qualità. Questi due concetti dovrebbero essere direttamente proporzionali, ma nel nostro contesto credo non lo siano. Le scuole si finanziano dalla quantità degli iscritti, noi pertanto i numeri dobbiamo averli, ma questi numeri non ci permettono di fare scuola in italiano, ma soltanto di insegnare l’italiano. C’è solo un articolo, una preposizione, di differenza fra queste due frasi, ma da un punto di vista pratico la differenza è enorme. Io vi pongo la domanda vogliamo orientarci verso la quantità o verso la qualità? Vogliamo perseverare nell’essere scuola della minoranza nazionale? I discenti però non sono più madrelingua e questo implica una nuova metodologia”, è con queste parole, pronunciate da Patrizia Pitacco, titolare del settore Istituzioni prescolari, scolastiche e universitarie della Giunta Esecutiva dell’Unione Italiana, che si è conclusa l’Assemblea tematica sul Mondo scuola.

Patrizia Pitacco. Foto: Goran Žiković

Sì, è proprio così! Queste domande rappresentano la conclusione. Vari consiglieri si aspettavano o forse sarebbe meglio dire speravano, in un’assemblea più risolutiva. Impossibile! Non è un caso se nel 2024 in tutto il mondo si continua a fare lezione grosso modo nella stessa maniera nella quale si è sempre fatta da quando esiste la scuola: con un professore che tiene una lezione frontale ai suoi alunni in un’aula, con l’ausilio di libri e lavagna. Il sistema istruzione è così vasto e così complesso che nessuno è riuscito a rivoluzionarlo. Pensare che l’Assemblea dell’Unione Italiana avrebbe potuto trovare una soluzione ai problemi delle scuole della minoranza italiana in tre ore di discussione era più che utopistico.
Due stati due mondi
Niente conclusioni dunque, ma questa riunione è stata comunque un inizio importante. Ora bisogna capire dove porterà. Felice Žiža, deputato della minoranza nazionale italiana al Parlamento di Lubiana, intervenuto a fine assemblea, ha raccontato come in Slovenia da poco più di un anno ci siano delle riunioni organizzate dalla CAN fra tutti i presidi, alle quali partecipa pure lui in veste di deputato, e durante le quali ci si coordina per discutere di tutti i problemi correnti cercando di risolverli. “Le facciamo ogni mese, quando non è necessario farle più spesso”, ha affermato l’onorevole, auspicandosi che anche in Croazia si inizi a fare qualcosa di simile.
La prima delle tante cose emerse durante l’assemblea è infatti una notevole differenza fra Slovenia e Croazia. I punti principali sono tre: le paghe dei dipendenti, ossia l’aggiunta per il bilinguismo; la maturità di stato, che in Slovenia non prevede l’esame di sloveno; e il rapporto fra il numero di ore di sloveno e croato rispetto all’italiano, con la Slovenia messa meglio anche in questo campo. “Vediamo ancora una volta che l’unitarietà non c’è”, ha affermato il consigliere Sandro Vrancich.
L’uso della lingua
Un discorso al quale hanno partecipato vari consiglieri, come pure alcuni direttori è quello relativo alla qualità della lingua. Alcuni nei loro interventi si sono concentrati sulla bontà del parlato degli alunni, altri invece hanno commentato lessico e dizione dei professori. “In anni di lavoro come giornalista mi sono scontrato con la lingua parlata dagli allievi, dovendo pregare gli insegnanti che mi diano i migliori parlanti per riuscire a fare una figura quanto meno decente davanti al pubblico. Non sono favorevole a un filtro etnico, ma a uno linguistico sì. Un alunno scarso da questo punto di vista si rivela poi d’intralcio in aula”, ha affermato Valmer Cusma, introducendo un tema trattato poi anche da altri. Gianclaudio Pellizzer ha spiegato come in ambienti misti, quando ci sono i nostri bambini e altri che non parlano l’italiano, si tenda a usare il croato, in modo naturale, per farsi capire. Con Vrancich che ha detto come anche nelle scuole italiane i bambini parlino prevalentemente in croato, aggiungendo come per quanto riguardi Fiume ci siano anche insegnanti che parlano in croato. “Me lo ha confermato la presidente della Comunità di Fiume e altri che lavorano nelle nostre scuole”, ha affermato Vrancich.
Un’opinione diversa è stata espressa invece da Luka Brussich, direttore della Giuseppina Martinuzzi di Pola, il quale ha detto di aver passato un periodo a lavorare alla San Nicolò di Fiume, dove come colleghi ha avuto Gherbaz, Catunar, Dessardo, Calderara, Boseglav. Tutte persone che effettivamente nella memoria dei Fiumani rappresentano un buon modello di professore, sia in termini di qualità dell’insegnamento che in termini linguistici. Il problema è che ad oggi uno solo di questi continua a lavorare in quella scuola.
“Vorrei fosse chiara una cosa e non vorrei si uscisse da questa sala con un’idea distorta. Nella lista di problemi fra discenti e docenti quello della lingua c’è. Ma sia chiaro che fra i colleghi docenti ci sono esempi di colleghi splendidi, veramente dediti al lavoro, che credono ancora che l’insegnamento sia una missione. Questi colleghi sono coinvolti in tantissime attività, non soltanto quelle che si fatto a scuola. Gli esami di maturità in lingua italiana vanno tradotti dal croato nella nostra lingua e vale lo stesso per la manualistica scolastica, tutto l’organico che sta dietro a questi libri è fatto sempre da persone nostre”, ha affermato la titolare del settore.
“Quando lei parla in italiano è bello ascoltarla, ma alcuni nostri maestri, professori ed educatori non hanno questo modo di parlare. Io propongo dei seminari o qualcos’altro, ma è indubbio che il livello di italiano di alcuni non è adeguato a una scuola italiana. Logicamente non è così per tutti, ma per tanti sì. Ecco perché i corsi di lingua devono venir ripristinati, perché il livello linguistico è basso”, ha spiegato Antonella Degrassi.
Gianfranca Šuran, referente del settore scuola all’interno del Consiglio della minoranza nazionale autoctona della Regione istriana, ha spiegato come tutti noi viviamo in un ambiente povero di stimoli per quanto riguarda la lingua italiana. “È naturale, di conseguenza, che tutti noi usiamo una lingua carente. Non è un attacco a nessuno segnalare che ci sono dei docenti che non hanno una competenza tale da sostenere una formazione d’eccellenza. È un’osservazione reale”, ha affermato Šuran.
Scuole d’identità?
Le nostre scuole dovrebbero occuparsi di preparare al meglio i ragazzi per la vita da adulti o dovrebbero concentrarsi anche sugli aspetti identitari? Per alcuni consiglieri vale la prima opzione, per altri la seconda. Fra gli alfieri della prima tesi si è espresso Krsto Babić, che nell’articolare il suo pensiero si è richiamato a Luigi Berlinguer che nel suo ruolo di ministro italiano dell’Istruzione pubblica (dal 1996 al 2000) affermò che “a scuola si va per imparare”. Un altro a difendere questa posizione è stato Enea Dessardo, il quale sostiene che da un punto di vista qualitativo, inteso come preparazione degli alunni, le scuole italiane conseguono risultati in linea con la media nazionale. Pur non negando l’importanza dell’identità, Dessardo ha però detto che non è la scuola l’istituto ad avere il compito di costruirla, che dovrebbe venir invece portato avanti nelle Comunità e dall’Unione Italiana.
Chi ha espresso maggiormente la sua contrarietà a una scuola che non tratti il tema dell’identità nazionale è stato Gaetano Benčić, il quale ritiene che “per poter attuare una scuola italiana e non una scuola croata con lingua d’insegnamento italiano, una scuola in cui siano adeguati i valori nazionali, sia necessario raggiungere un’autonomia a livello legislativo. Questo non vuol dire essere separatisti, ma attuare quello che nel 1989 aveva già preparato il professor Borme”, ha affermato Benčić.
Va detto che nel caso di queste scuole nello specifico, la minoranza italiana è la loro ragione d’esistere. Senza la minoranza, senza le ragioni storiche e culturali di questo territorio, senza persone che si identifichino come italiane, le scuole non esisterebbero. Lo stesso Maurizio Tremul, presidente dell’Unione Italiana, in un breve intervento a fine seduta, ha detto che sarebbe opportuno far inserire in maniera adeguata degli elementi della storia e della cultura identitaria delle minoranze nazionali autoctone nei programmi scolastici e nei libri di testo delle scuole italiane in Slovenia Croazia.
Carenza di personale?
Vari interventi si sono concentrati sui problemi nel reperire del personale, ma anche in questo caso, non tutti la pensano allo stesso modo. “Un grande problema è dato dal quadro docenti. Noi a Pola abbiamo un grande problema con i professori. Bisognerebbe vedere quale sia il quadro che manca per i nostri alunni. Bisognerebbe dare un aiuto finanziario più consistente per le borse di studio, per vedere di fare qualcosa evitando di avere professori che non sono qualificati”, ha affermato Ardemio Zimolo. Luka Brussich però non è d’accordo: “Dei 54 professori che lavorano per quella che è la più grande scuola della CNI, 51 hanno tutte le qualifiche del caso e soltanto 3 non rispondono a questa descrizione. Mi piacerebbe che i colleghi di Pola si consultassero con chi di competenza per quanto riguarda i dati”.
Eppure anche altri la pensano come Zimolo. “La carenza di quadri è il problema fondamentale, sia per quel che riguarda gli educatori che gli insegnanti e i professori. Sicuramente non si è lavorato nella maniera corretta. Bisognerebbe promuovere corsi di laurea, borse studio più grandi per sezioni carenti da più tempo”, sono le parole pronunciate da Antonella Degrassi. Con Ines Venier che ha detto come una scuola di qualità debba “sfornare quadri competitivi sul mercato ed essere anche portatrice di cambiamenti nella società”.
Fronte comune
Vari interventi si sono concentrati sul chi e sul come vadano affrontati i problemi che abbiamo. Per la già citata Antonella Degrassi e per Roberta Lakošeljac la chiave del successo sta in una più stretta collaborazione fra scuole e comunità, un modello che a Umago hanno avuto modo di sperimentare prima e collaudare poi, con ottimi risultati.
Anche qui, però, persone diverse idee diverse. “Il problema parte degli asili e lo possiamo risolvere soltanto noi, non l’onorevole o l’Unione Italiana”, ha affermato Debora Radolović, preside della SMSI Dante Alighieri di Pola, la quale ha spiegato come lei sia ben pronta a raccogliere la mano di tutti quelli che vogliono collaborare, specificando però come soltanto chi fa parte di questo settore può effettivamente fare qualcosa, rifacendosi alle idee espresse qualche intervento prima da Tamara Brussich.
“Abbiamo tutto quello che ci serve, dobbiamo soltanto collaborare tra noi operatori scolastici per fare fronte comune. Non serve includere chissà chi, bastano quelli che si occupano del settore, i più competenti, capaci di muoversi in fretta e reagire alle crisi”, ha affermato Tamara Brussich.
Documentazione pedagogica
Durante la seduta si è palato anche del problema della documentazione pedagogica, che era sorto nella scorsa primavera, quando gli ispettori si misero a richiedere che questa venga presentata in maniera bilingue, ossia anche in croato. Patrizia Pitacco ha spiegato la situazione in un lungo intervento che ha svelato tutta una serie di passaggi che fino ad ora non erano noti al pubblico. “L’8 novembre c’è stato un colloquio con i dirigenti della Direzione minoranze nazionali presso il Ministero della Scienza e dell’Istruzione della Repubblica di Croazia, dove non ci hanno detto di non rispettare l’articolo 11 della Legge sull’educazione e l’istruzione nelle lingue e nelle scritture delle minoranze nazionali, perché il ministero non poteva dire una cosa di questo tipo, ma ci hanno suggerito determinate strade da percorrere. Il 13 dicembre la Dante di Pola ha ricevuto il verbale di un’ispezione ordinaria di qualche giorno prima, dove risultava fra le infrazioni la mancanza della documentazione pedagogica in forma bilingue. Il 14 abbiamo avuto una riunione a porte chiuse, precedentemente concordata, le date consecutive sono una casualità, con tutti i dirigenti scolastici della Croazia, dove abbiamo presentato un testo, un facsimile, per le scuole, da usare per ovviare a questo problema. Dopo la riunione la preside Radolović ha espresso le sue obiezioni al verbale con questa modalità, usando le osservazioni che avevamo preparato, e nella versione finale non c’era traccia di problemi legati alla documentazione pedagogica solo in lingua italiana, l’ispettrice aveva tolto quella frase. Per correggere la frase nel verbale pervenuto alla scuola di Rovigno c’è voluto più tempo, ma anche in quell’occasione la strategia ha funzionato”, ha affermato la professoressa Pitacco, la quale ha spiegato come questo risultato sia stato possibile grazie a una collaborazione totale fra tutti i soggetti interessati. Fare fronte comune, dunque, funziona.
I conti non tornano
A inizio assemblea si è parlato di numeri, in particolare di quanti alunni frequentano quale livello d’istruzione. Ebbene, stando ai dati forniti dalla titolare del settore, in questo anno scolastico risultano esserci 1.631 bambini nelle istituzioni prescolari, 2.190 alunni nelle scuole elementari, 806 allievi nelle scuole superiori e 203 studenti nei dipartimenti universitari, per un totale di 4.803 discenti.
“Abbiamo una discrepanza fra i ragazzi che frequentano le scuole elementari e quelli che passano alle medie superiori. Penso che sia un problema da risolvere, perché abbiamo una grande perdita di numeri”, ha affermato Pellizzer. Un’osservazione simile è stata fatta anche da Zimolo, il quale ha proposto di parlare con i genitori, i professori e i direttori, convincendo tutti della necessità di mantenere la “progressività della piramide”. “Dobbiamo parlare con le persone come in una famiglia”, ha detto Zimolo.
Un’altra interpretazione dei numeri è arrivata da Gianfranca Šuran. “Se noi guardiamo i numeri abbiamo tanti dipartimenti, per un totale di più di 200 studenti. Ma se è vero che abbiamo così tanti studenti che si formano non si pone la questione dei quadri che verranno a ricoprire i nostri posti di lavoro. Evidentemente però qua qualcosa non funziona. O abbiamo dei dati errati e questa non è più una formazione di riferimento per quanto riguarda il modello A”, ha dichiarato la referente.
Maturità di stato
Fra i tanti temi aperti c’è stato pure quello della maturità di stato, con gli interventi dei consiglieri che si sono soffermati più di tutto sull’esame di croato. Krsto Babić lo ha difeso con forza, definendo la biodiverstià linguistica un valore aggiunto e l’esame in più un modo per preparare meglio i ragazzi al mondo dell’università, dove di esami ne dovranno dare tanti. Anche Enea Dessardo si è detto un fermo sostenitore dell’esame di croato alla maturità di stato. “Manca la consapevolezza della qualità e dei risultati che vengono conseguiti. Il fatto di avere ore aggiuntive e dover studiare in più dovrebbe essere un punto di forza e un vanto”, ha affermato.
Gaetano Benčić, invece si è detto molto critico all’idea di parificare l’italiano al croato. “Solo l’italiano è la lingua primaria e solo l’italiano deve esserci alla maturità di stato. Anche per quanto riguarda le ore di lezione, il croato può e deve avere un ruolo importante, ma non può essere parificato. È una questione anche simbolica e di diritti. Se parifichi la nostra parte ne risente. Se abbiamo di più grazie a un esame in più allora perché nei territori bilingui la scuola croata non apprende anche l’italiano”, ha chiesto Benčić, con altri consiglieri che si sono detti favorevoli al solo esame di italiano.
Anche Furio Radin, deputato della minoranza nazionale italiana al Sabor, nonché vicepresidente del Parlamento croato, è intervenuto sul tema, spiegando in sostanza come nel momento dell’introduzione della maturità di stato il governo non ne volesse semplicemente sapere di concedere agli italiani la possibilità di fare soltanto questo esame. “Le opzioni erano o di fare soltanto l’esame di croato o di farli tutti e due. Pertanto fare l’italiano è stata considerata una vittoria”, ha spiegato Radin, sottolineando che nelle società più avanzate i cittadini pagano pur di poter studiare di più.
La punta dell’iceberg
Tutto quello che avete letto non è che una piccola parte di quello di cui si è discusso durante la seduta tematica, che si è conclusa in parte con una sensazione di nulla di fatto. “Mi fa piacere che sia emerso che tutto questo non è altro che la punta dell’iceberg, in quanto il tema è veramente estremamente vasto. Sia perché tratta realtà completamente diverse, che si occupano da un lato di bambini che partono dai 6 mesi di vita, e dall’altro conclude il professo formativo di uomini e donne di 25 anni”, ha affermato Patrizia Pitacco.
Noi continueremo nei prossimi giorni a pubblicare una serie di materiali aggiuntivi sul Mondo scuola, riprendendo e approfondendo concetti espressi e dando spazio a opinioni e pareri. Ora concludiamo con l’intervento di Paolo Demarin, il quale in preparazione dell’assemblea è andato a rileggere una pubblicazione del 1972, preparata da Luciano Giuricin, con una serie di articoli storici di Antonio Borme sul tema della scuola. “Tutti i punti da lui trattati sono attuali ancora oggi. Parlava dei problemi dei libri di testo, dell’autonomia delle nostre istituzioni e delle nostre scuole. In tutti questi anni abbiamo fatto enormi passi avanti. La nostra rete scolastica e adeguata, ci manca ancora qualche asilo sul territorio, ma le scuole elementari per numero riescono a coprire bene il territorio. Abbiamo dei problemi ad Albona o Dignano, che merita di avere un istituto autonomo e non misto. Anche grazie agli investimenti dei governi, italiano e croato – e sloveno aggiungiamo noi – e della Regione istriana, abbiamo spazi e attrezzatura estremamente moderni. Ora dobbiamo pensare a mantenere un’identità italiana. Avendo però ben presente che le nostre scuole oggi non accolgono soltanto bambini connazionali italiani, ma lavorano anche grazie al numero di iscritti della maggioranza. Noi siamo sul mercato, come un imprenditore che va alla ricerca di vendere il suo prodotto, noi pensiamo ad accogliere i ragazzi all’interno dei nostri indirizzi scolastici. Per avere più qualità all’interno delle nostre scuole e interesse in questo sistema europeo che non ha più confini, c’è bisogno di investire nel personale nell’aggiornamento nell’offerta formativa. C’è bisogno di una cosa molto importante, che nel territorio in cui operano le scuole, ci sia la presenza della lingua italiana. Se nel mondo del lavoro ci sarà la necessità della conoscenza della lingua italiana, allora offriremo davvero qualcosa in più rispetto alle scuole della maggioranza. Un altro aspetto, io non condivido il fatto che vada fatta la maturità di stato in lingua croata. Per me va preso spunto dalla situazione che le nostre scuole hanno sul territorio della Repubblica di Slovenia. Anche in quelle parti come l’aggiunta sullo stipendio per i docenti. È una strada che noi come Unione Italiana dobbiamo fare”, ha affermato Demarin.

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