«Nozze istriane» per la riapertura di Sala Ciscutti

La prima dell’opera di Antonio Smareglia realizzata in coproduzione con il TNC «Ivan de Zajc» di Fiume, in un gremito Teatro popolare istriano alla presenza dei vertici statali

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«Nozze istriane» per la riapertura di Sala Ciscutti
Il teatro gremito in ogni ordine di posti. Foto: Sasa Miljevic/PIXSELL

“Nozze istriane” ha debuttato sul palcoscenico di Sala Ciscutti del Teatro popolare istriano, primo spettacolo in scena dopo un’opera di restauro capillare durata nove mesi. “Nozze istriane” di gran gala, l’opera che Antonio Smareglia dedicò al luogo natio, pur non riconoscendole il merito dei tre melodrammi maturi “Falena”, “Oceana” e “Abisso”, per i quali mantenne la propria predilezione di compositore, è nata esattamente 130 anni fa, nel 1894, ed ebbe la sua prima rappresentazione a Trieste l’anno successivo. Sabato sera, dunque, il suo ultimo allestimento integrale a Pola, nell’occasione di altri quattro anniversari che l’hanno resa “necessaria” anche nel senso mistico dei numeri perfetti: i 170 anni della nascita del maestro a Pola, i 95 anni della sua morte a Grado, i 145 anni dell’avvio della costruzione del Politeama Ciscutti a Pola e i 35 anni del suo ultimo recupero completo negli anni Ottanta. Ora, peraltro, con una sala metodicamente ristrutturata, con i palchi, la platea e il boccascena restaurati, riverniciati, rivestiti e rinnovati negli arredi e in alcuni elementi di scenotecnica. Come a dire che destino ha voluto che Pola in questo fine settimana celebrasse la sua giornata proprio con l’opera smaregliana più strettamente legata al luogo natio. Non ha stupito dunque il fatto che i polesi, ma anche i dignanesi abbiano gremito Sala Ciscutti in ogni ordine di posti, né ha stupito di più la presenza in sala del premier Andrej Plenković e del ministro della Cultura e dei Media, Nina Obuljen Koržinek: un tributo alla circostanza, il loro, se non doveroso, certamente notato e gradito.

Il ministro Nina Obuljen Koržinek, il premier Andrej Plenković e il sindaco di Pola Filip Zoričić.
Foto: Sasa Miljevic/PIXSELL

Sorprendono scenografia e costumi
Nella coproduzione del TNC “Ivan de Zajc” di Fiume e del Teatro popolare istriano, le “Nozze istriane”, per la regia di Marin Blažević, hanno rotto con le rappresentazioni sceniche tradizionali nei due elementi dello spettacolo preminentemente visivi e plastici: scenografia e costumi. Nella scena della tempesta che apre il melodramma il primo impatto visivo è forte, vorticoso, travolgente. Non solo le proporzioni tra gli elementi scenografici (di Alan Vukelić) e gli interpreti sono completamente invertite nel senso che sono gli uomini a muovere i palazzi in miniatura e non viceversa, i palazzi a contenere gli uomini, ma i costumi (di Sandra Dekanić) sono smaterializzati e ricostruiti in senso metaforico al punto che tutti, ma proprio tutti i personaggi in scena, dai solisti al coro, vestono candidi abiti da sposa con veli e corone di fiori nuziali sul capo, uomini e donne indistintamente, in una rilettura del ruolo del costume di scena in termini puramente allegorici.

Gli abiti da sposa sono indossati da tutto il cast.
Foto: Sasa Miljevic / PIXSELL/PIXSELL

La posizione della donna
Nessun dubbio sul fatto che la veste nuziale vale come simbolo dell’oppressione sociale della donna da parte del padre-patriarca e del maschio manipolatore in cerca di vantaggi economici, privilegi, prerogative, potere. Con l’abito bianco per tutti il diritto di vita e di morte dell’uomo sulla donna come oggetto di commercio è espressamente ingigantito, comicizzato, elevato a simbolo. Dignano è naturalmente il luogo, il contenitore, l’ambiente elettivo della trama e non c’è un momento dell’opera che lo neghi: le villotte, l’architettura, la civiltà contadina sulla via d’imborghesirsi, il vin de rosa, le fragole e gli asparagi del Prostimo e sopra a tutto e tutti la contadina di Peroi, Luze, elemento femminile materno etnicamente estraneo e carico di pathos, per nulla accessorio al fianco della protagonista Marussa. Le vicende e i sentimenti, tuttavia, sono di ordine superiore, trascendono i particolari e dipingono piuttosto l’universalità della condizione umana: la soggezione della donna nella società patriarcale mai completamente estinta, anche oggi a dire il vero, la beatitudine dell’amore corrisposto e l’invidia scatenata da quello non corrisposto, la brama di denari e averi, il contrasto tra la passione amorosa e la devozione spirituale, la brutalità e la franchezza del manipolatore certo di poterla fare franca. “Biagio, è peccato!”, esclamerà Menico parlando al complice nel complotto. “Mi confesserò”, gli risponde quello, tanto per ricordarci come la religione, se eleva lo spirito dell’uomo pio, fornisce anche qualsiasi giustificazione alla mente perversa e alla devozione simulata.

Protagoniste stupende
Molto apprezzata la rappresentazione scenico-musicale del regista Marin Blažević e del direttore d’orchestra Simon Krečić, che si sono avvalsi di due consulenze musicali indispensabili: quella di Zoran Juranić, massimo conoscitore della musica smaregliana in Croazia, e di Sofija Cingula, docente di canto lirico all’Accademia musicale di Pola, a sua volta devotamente dedicata alla tutela e promozione del patrimonio musicale istriano. Stupende le due donne padrone della scena: Anamarija Knego, soprano, nel ruolo di Marussa, e Stefany Findrik, la montenegrina Luze di Peroi, contralto, personaggio chiave della vicenda il cui epilogo tragico non trova nel primo atto altro presagio che la scena della tempesta (egregiamente resa dal Coro e dall’Orchestra sinfonica di Fiume) e un solo accenno all’inevitabilità del male: “Io credo alla sventura e ho sempre paura”. Nel ruolo di Lorenzo, il tenore Bože Jurić Pešić. Menico, padre di Marussa, ha la voce di Giorgio Surian, che vanta una lunga familiarità con l’opera smaregliana. Biagio, il suonatore di villotte e l’istigatore del tradimento paterno contro Marussa, un dominante Filippo Pollineli. Nel ruolo di Nicola si alterneranno Robert Kolar e Jure Pockaj, come in quello di Marussa si daranno il cambio Anamarija Knego e Gabrijela Deglin. Il coro diretto da Matteo Salvemini e l’orchestra diretta da Simon Krečić, si avvalgono della collaborazione pianistica di Nataliya Marycheva.

Stefany Findrik, la montenegrina Luze.
Foto: Sasa Miljevic / PIXSELL/PIXSELL

Un grande ritorno dell’opera polese
Sabato sera, dunque, le “Nozze istriane” di Smareglia sono tornate a casa. L’opera è già stata rappresentata a Pola nel 1994 quando venne messa in scena dal Teatro di Osijek, all’epoca in esilio per ragioni di sicurezza. Dalla prima assoluta nel 1895 a Trieste, è andata in scena a Milano, Roma, Castell’Arquato, Venezia, Udine, Abbazia, Pola, Fiume, Lubiana, Zagabria, Maribor, Vienna, Praga e Osijek.
Al Politeama Ciscutti è stata rappresentata per la prima volta nel 1908, quindi nel 1920 e ancora nel 1933, ma all’Arena, solo quattro anni dopo la morte del maestro, che non ha mai nascosto la centralità della figura materna e l’“anima slava che sola avrebbe potuto dettargli le musiche di quest’opera” florida e feconda in termini etnici e folcloristici.
Per la cronaca, la rappresentazione è stata preceduta dai discorsi di circostanza di Gordana Jeromela Kaić del Teatro istriano, del sindaco di Pola Filip Zoričić e del ministro Obuljen Koržinek, ma anche di Adua Smareglia Rigotti, nipote del compositore, instancabile promotrice del lascito smaregliano in collaborazione con la Città di Pola e l’associazione “Smaregliana”. Adua Smareglia ha usato parole di commossa gratitudine verso Pola: “Avete fatto tanto in vent’anni, ma ora avete superato voi stessi”. La prossima rappresentazione di “Nozze istriane” a Pola è in agenda questa sera con inizio alle 19.30. Seguirà la prima di Fiume al TNC “Ivan de Zajc” l’11 maggio.

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