INSEGNANDO S’IMPARA Gulliver ne sapeva qualcosa

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INSEGNANDO S’IMPARA Gulliver ne sapeva qualcosa
Foto Kristina Blagoni

Un comico americano una volta ha commentato cinicamente che i genitori, piuttosto che picchiare i figli, dovrebbero ricorrere alle torture psicologiche: non lasciano segni visibili e le conseguenze durano mooolto più a lungo. Similmente i governi, invece che imporre dittature (che rafforzano l’opposizione) possono usare la burocrazia come mezzo per stremare e incatenare i propri cittadini. Ma cosa sto dicendo? Lo stanno già facendo; perlomeno in Italia e in Croazia. Lo dico con cognizione di causa avendo vissuto in entrambi i paesi e potendoli osservare dalla prospettiva irlandese. A volte i ghirigori burocratici sono talmente ingarbugliati che si avvitano su sé stessi e annullandosi a vicenda. Mi ricordo di un periodo a Trieste dove per noi studenti d’oltreconfine vigeva il circolo vizioso dell’assurdo. L’università non ci permetteva di iscriverci senza “valido permesso di soggiorno per studio”, mentre in questura non ci rilasciavano il documento senza previa iscrizione all’università. La mano destra, la mano sinistra, ecc.

Che le cose fossero diverse all’estero, me ne sono accorta già alla prima visita. Considerando che io arrivavo dall’Istria ed ero avvezza a passaporti, lasciapassare, confini, controlli ecc., quando c’è stata l’opportunità di andare da Belfast in Donegal, contea che appartiene all’Irlanda (Eire), la prima cosa che ho fatto è stata di prendere il passaporto. Chi ci portava su, si è meravigliato e lì ho capito che c’erano due scuole di pensiero. La mia diceva che esisteva una linea di confine che divideva il Regno Unito dalla Repubblica d’Irlanda che necessitava di documento di espatrio, la loro diceva che l’Irlanda è un’isola e sono tutti più o meno irlandesi e i documenti sono inutili.

Immaginate la mia sorpresa quando ho scoperto che né irlandesi, né britannici non avevano la carta d’identità. Trent’anni di guerriglia civile e terrorismo e niente documento di identificazione delle persone. Questo dà molto da pensare.

Spesso, sia in Irlanda che nel Regno Unito, la gente si lamenta che la burocrazia (che loro chiamano red tape – nastro rosso – troppo lungo da spiegare) sta avanzando inesorabilmente e io rido perché “te la do io la burocrazia”! Basterebbe descrivere loro le nostre prassi quotidiane per farli andare in tilt. Raccontare loro che avere con sé i documenti d’identità è obbligatorio perché vengono richiesti continuamente, dalle più semplici operazioni bancarie, al fare la revisione tecnica della macchina. Già me li immagino “La carta d’identità per la revisione tecnica? Ma perché?” Perché? Perché sì, ecco perché. Chi non è abituato a certe procedure, non sa che dopo un po’ il perché non se lo chiede più nessuno, ma si va in automatico e si fa la lista dei documenti che ci vengono richiesti, dei giorni di lavoro che perderemo per farli, visto che gli uffici “per le parti” lavorano a giorni alterni e dalle 9 alle 13 con la pausa in mezzo e della salute che perderemo strada facendo.

Sarebbe interessante dir loro che sarà magari stato un irlandese, Jonathan Swift, a inventare il personaggio di Gulliver, ma siamo noi in Italia, Croazia e presumo anche in altri paesi mediterranei, che viviamo costantemente sulla pelle l’episodio in cui lui viene imprigionato dai minuscoli lillipuziani e, pur essendo confronto un gigante, non riesce a liberarsi dai numerosi legacci che lo trattengono impedendogli di muoversi. Così noi non siamo mai liberi da regole, norme, leggi che ci impastoiano la vita e ci limitano psicologicamente anche perché, per tornare alla frase iniziale sulle torture psicologiche, abbiamo sempre il dubbio “Ho preso tutto? Mancherà qualcosa?” Vi assicuro che questo non succede molto spesso quassù. È raro che qualcuno perda ore di sonno pensando al plico di documenti che dovrà consegnare l’indomani.

Invece noi siamo condizionati all’inverosimile. Dove pensate che io tenga la mia patente di guida? Nel portafoglio degli euro per quando vado a casa ad Umago, perché so che se mi fermano in Istria o in Italia, prendo la multa per non averla con me. Già mi sembra di sentirvi “Ma non è obbligatorio averla con sé dappertutto?”. La risposta è “No”. A Belfast se c’è un controllo per strada, i poliziotti chiedono “Ha con sé la patente?” Se non ce l’avete, non ci sono multe (incredibile eh?), ma viene solo richiesto di presentarla alla più vicina stazione di polizia entro alcuni giorni.

Tra qualche mese una nuova “buttata” di maturandi istriani cominceranno a “far carte” per iscriversi all’università in Italia. Buona fortuna e in bocca al lupo con le traduzioni certificate dei documenti di nazionalità, residenza, cittadinanza, l’equipollenza del titolo di studio, tutti i documenti di reddito famigliare per la casa dello studente e…mi fermo qui. Ci siamo passati in tanti.

Ma si può fare diversamente. Quando ho fatto domanda per fare il corso di abilitazione all’insegnamento presso l’università di Belfast, come documento di laurea mi hanno accettato un certificato in “carta libera” (senza neanche il logo dell’ateneo) tradotto da me. Però quell’anno si richiedeva di dimostrare di aver fatto matematica fino all’età di 16 anni e a me sono venuti i sudori freddi perché l’informazione stava sull’ultima pagella delle superiori conseguita a Buie. Come spiegare l’intestazione “Socijalistička Federativna Republika Jugoslavija” in cima al certificato di diploma? Eravamo, tra l’altro ancora in periodo di guerra fredda. All’improvviso cominciarono a prospettarsi visite a traduttori autorizzati, consolati e magari anche il blocco della procedura di iscrizione. Io ho fatto finta di niente e il giorno della “dimostrazione” ho esibito il mio certificato nudo e crudo, indicando al capo del dipartimento la linea in cui c’era scritto “matematica” con il voto. Lui si limitò a dare un’occhiata mormorando “Bene” e passando oltre. La felicità è un documento accettato senza complicazioni. In quell’occasione ho guadagnato un giorno di vita.

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