Il Consiglio che non c’è

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Il Consiglio che non c’è

Seconda stella a destra/questo è il cammino/e poi dritto, fino al mattino/poi la strada la trovi da te/porta all’isola che non c’è./Forse questo ti sembrerà strano/ma la ragione/ti ha un po’ preso la mano/ed ora sei quasi convinto che/non può esistere un’isola che non c’è/E a pensarci, che pazzia/è una favola, è solo fantasia/e chi è saggio, chi è maturo lo sa/non può esistere nella realtà!… Nel 1980 Edoardo Bennato presentava la sua Isola che non c’è, una canzone ispirata alle vicende di Peter Pan, un personaggio letterario creato dallo scrittore scozzese James Matthew Barrie nel 1902. Il bambino che si rifiuta di crescere vive un’avventurosa infanzia senza fine appunto sull’Isola che non c’è… o almeno questo è quanto ci porta a credere la versione addolcita resa famosissima dalla Walt Disney.
Perché ogni cosa si può prestare a varie letture ed ecco che talvolta l’idea iniziale prende mille direzioni e nei vari passaggi si trasforma in tutto o nel contrario di tutto allontanandosi però dal messaggio originale incluso il personaggio di Barrie. La trama e i personaggi originali sono infatti tutt’altro che fiabeschi, tanto che originariamente il libro di Barrie era pensato per un pubblico adulto. Strano, ma vero alle volte questo accade con le norme, con le leggi che cercano di incidere sul senso civico senza però riuscirci o raccogliendo risultati che a definirli deludenti non si sbaglia. Può succedere infatti che una norma di legge venga messa in ombra dal disinteresse dei destinatari che la trasforma in una misera regola che fa fatica e espletare il suo ruolo di garante. Alle volte, infatti, le norme faticano a fornire le risposte attese e quindi vengono percepite come un qualcosa di accessorio e inutile, eppure magari a monte erano ispirate dalle migliori intenzioni. In altre occasioni il legislatore sembra scordare che non basta che una norma di legge esista, che sia deliberata ed emanata dagli organi competenti nella piena osservanza delle procedure previste dall’ordinamento. Perché una disposizione di legge possa obbligare tutti coloro ai quali è destinata o diretta deve anche essere portata alla conoscenza di tutti.
Ebbene nel caso dei Consigli e dei Rappresentanti delle minoranze nazionali sembra davvero che ci si sia dimenticati di praticamente tutti questi elementi, riducendo gli organismi d’autogoverno delle etnie a una sorta di Isola che non c’è. Previsti da una Legge costituzionale, quella sui diritti delle minoranze nazionali, sono stati relegati a un ruolo consultivo che sulla carta consente tanto, ma che nei fatti si traduce in ben poche possibilità concrete d’intervento. In teoria i Consigli e i Rappresentanti possono proporre misure per il miglioramento dello status degli appartenenti alla minoranza nazionale anche presentando proposte di atti normativi incentrate sulle questioni d’interesse particolare, candidare connazionali a incarichi negli organismi della Pubblica amministrazione e delle unità d’autogoverno locale, ricevere informazioni sui temi in discussione nei Consigli comunali, municipali e regionali che riguardano l’etnia, esprimere opinioni e proposte sui programmi delle emittenti radiotelevisive locali e regionali destinati alle minoranze o che trattano temi inerenti alle politiche minoritarie. Ma poi il tutto viene demandato alle unità d’autogoverno locale alle quali spetta di definire le regole sui modi, i tempi e le procedure previste per l’attuazione dei diritti previsti dalla Legge costituzionale. Ed ecco che nel passaggio dalla teoria alla pratica la carica propositiva di coinvolgimento viene meno. Difficile trovare un’altra spiegazione al disinteresse diffuso registrato anche questa volta (la prima che si votata con regole pensate appositamente e non in base alle disposizioni elettorali pensate per le Amministrative) per la consultazione. Un disinteresse emerso già nella fase delle candidature quando si è capito subito che a operazioni di voto concluso il numero di Consigli e di Rappresentanti eletti sarebbe stato ampiamente inferiore a quello possibile ai sensi dei Decreti d’indizione delle elezioni. Un disinteresse confermato dall’adesione al voto fermatasi su percentuali bassissime più consone a un convegno di farmacisti che non a un dibattito sull’interesse dei cittadini appartenenti alle minoranze a scegliere i propri rappresentanti nei Comuni, nelle Città e nelle Regioni. Nulla di strano, obietterà qualcuno sottolineando che il tutto si è svolto in una sorta di silenzio stampa. E torniamo alle regole sui modi, i tempi e le procedure previste date in competenza alle unità d’autogoverno locale cui spettava anche l’onere della copertura finanziaria delle elezioni. Ma sarebbe bastato prevedere bilboard con inviti al voto, l’invio degli estratti dall’elenco elettorale all’indirizzo dichiarato dall’avente diritto al voto, spot da trasmettere alle radio e alle TV locali? Ammettiamolo, probabilmente no. Probabilmente il tutto si sarebbe ridotto a un significativo aumento delle spese e a una limitatissima ricaduta sull’adesione dettata dalla percezione dell’importanza di questi organismi divenuti una sorta di Isola che non c’è. Uno spazio che potrebbe esistere, ma che ha bisogno di essere riempito di contenuti perché i diritti non basta chiederli o riconoscerli, bisogna anche pretenderne o assicurarne il rispetto.

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