A colazione con Claudio Magris

Ospite di spicco alla Fiera del libro a Pola lo scrittore e saggista triestino, che rileva: «La letteratura è una lotta contro il tempo, contro l’oblio. Per me scrivere è come costruire una piccola arca di Noè, che magari affonderà, però salvare delle storie unisce le persone»

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A colazione con Claudio Magris

Una “Colazione con l’autore” di quelle che non si possono proprio rifiutare, per la preziosità dell’incontro, il carisma dell’interlocutore e mille altri momenti che aprono a una letteratura di ampio respiro. Il primo caffè della Fiera del libro (San(j)am knjige) a Pola ha fatto incontrare Claudio Magris, con Aljoša Pužar nel ruolo di moderatore, che in effetti si è fatto portavoce delle domande e delle curiosità del numeroso pubblico. Per parlare non solo di letteratura, non solo di città, ma anche per ripercorrere la strada della memoria, delle esperienze, per leggere il mondo e la società.
“Non basta un’ora per dire quanto Magris rappresenti per la regione e in effetti non c’è migliore autore per trattare il tema della Rassegna, legato alle città: ha testimoniato di Trieste, Torino… ha trasmesso i loro messaggio, che poi sono i messaggi di tante città”.
E scomodando Enrico Mreule, il personaggio chiave di “Un altro mare”, Pužar si è chiesto se si possa mai fuggire dalla (propria) città o se questa in qualche modo ci resti addosso.
Tradurre è importante
Prima di rispondere, Magris ha voluto toccare un tasto che con la letteratura va a braccetto: quello della traduzione letteraria. Intanto, ha voluto ringraziare, oltre a chi l’ha voluto alla Fiera, pure la prof. Ljiljana Avirović, che ha curato le traduzioni dei suoi romanzi, che hanno consentito di leggerlo in croato e quindi di portarlo nell’area linguistica in parola. “Quello della traduzione letteraria – ha detto – è un problema fondamentale”, e ha manifestato l’intenzione di essere vicino alla “Janus Pannonius”, diretta dalla Avirović, e che si occupa, appunto di traduzione letteraria.
Ma veniamo alla città, a “Un altro mare” e al suo personaggio. “Enrico Mreule non è uomo di città: è uomo delle pampas, della Patagonia, ha girato l’Argentina in lungo e in largo, eppure, una volta a Salvore, non si è mosso di un paio di chilometri per vedere la sua località di origine. La città è la civitas, è l’esperienza di un mondo ampio, vario, socialmente diverso; è un’unità che non è monocromatica, monogama. È un ambiente aperto. Nella polis ci si incontra. Non a caso, l’arte che si occupa della convivenza, si chiama politica”.
Custode della storia
“Può la letteratura essere custode della storia della città?”, ha chiesto Pužar, ricordando un aneddoto, un fatto successo a una precedente rassegna fieristica, quando Umberto Eco e Claudio Magris, entrambi ospiti della manifestazione, avevano visitato le Brioni e il Museo di Tito. Tra i souvenir in offerta, boccette di olio di ricino, che si dice faccia bene alla pelle e ai capelli, ma che in un contesto storico era sembrato più una caricatura del passato. Usciti dal Museo, Eco e Magris si erano vicendevolmente “omaggiati” dei versi di Tito Livio tratti dall’“Ab urbe condita”, andando all’origine di Roma. Ebbene, considerando il tempo che passa e che potrebbe cancellare la memoria della città, è possibile che la letteratura ne sia custode? Come appunto fa la monumentale opera di Tito Livio, ad esempio?
“Ricordo la visita. E ricordo che dissi a Eco: ‘siccome sei più importante, se ci fosse il Maresciallo ti regalerebbe questo bisonte impagliato e dovresti prenderlo, perché un regalo non si rifiuta’. Comunque sì, a mio modo di vedere, la letteratura è una lotta contro il tempo, contro l’oblio. Per me scrivere è come costruire una piccola arca di Noè, che magari affonderà, però salvare delle storie unisce le persone. Per l’ebraismo orientale, raccontare storie è un atto religioso ed equivale quindi a gettare un ponte. Esiste una memoria negativa, ossessiva, una memoria che vuole mantenere l’odio, e c’è di converso una memoria buona. Ricordo un incontro a Trieste, con gli Sloveni, e sembrava quasi ci fosse una certa soddisfazione a poter dire che qualcuno ha fatto all’altro più male di quanto non ne avesse subito. Questa è memoria sbagliata. Ma credo sia ormai sorpassata”.

Aljoša Pužar, Claudio Magris e la traduttrice Iva Grgić Maroević

Scarsa memoria
Si è parlato poi di alcuni grandi: Paolo Santarcangeli, Enrico Burich, Leo Valiani… gente che appartiene alla Cultura e alle Culture (per dire, Santarcangeli ha ispirato Eco), ma delle quali il pubblico croato sa poco (o niente).
C’è, secondo Magris, un dilagante fenomeno della scarsa memoria. Che va oltre la letteratura. Si potrebbe dire che a questo mondo si ha modo di incontrare persone di terribile, immensa ignoranza. “Quando anni fa insegnai al Bard College, negli USA, ottimo college, su 33-35 studenti ‘graduate’, appena 6 sapevano chi sia stato Stalin. Per contro, la nipote di Giorgio Pressburger, grande scrittore e regista, ebreo ungherese… la nipote dicevo, che viveva in Canada, non sapeva chi sia stato Hitler. Leo Valiani, ebreo, giornalista, storico, nato a Fiume, parlava un’infinità di lingue. Meno lo slovacco. Felice di poter finalmente leggere un libro scritto in slovacco sulla caduta dell’impero austroungarico, nella sua traduzione in ungherese. Ho un ricordo personale di Valiani: con lui mio padre trascorse l’ultima, bella serata. Avevano cenato insieme, poi mio padre si ammalò…”.
Il mondo slavo da oltre il confine
Si è parlato di Slataper, del suo essere slavo, tedesco, italiano, del suo portarsi dentro mille diversità, per chiedere come oltre il confine si veda il mondo slavo. Slataper irredentista, che per dire chi è deve ricorrere all’arte della poesia, che è la bugia, e che dal carcere, pochi giorni prima di morire scrive alla moglie: “Tu sai che io sono slavo, tedesco, italiano…”
Nei rapporti tra Italiani e Sloveni, dice Magris, sono stati fatti enormi passi avanti e tranne qualche rimasuglio la questione è ormai alle spalle. Sperando che il delirio nazionalista che sta devastando l’Europa non vada a inficiare tutto. “Ho visto in una protesta a Varsavia polacchi con le insegne naziste. Allora, ho pensato, magari si vedranno negri con quelle del KKK. Terribile.”
La «maestra» Marisa Madieri
“Verde acqua” e Marisa Madieri. Marisa, nata a Fiume, che ha vissuto l’esodo, il campo profughi, che aveva visto, dopo la guerra, nei nuovi venuti slavi e nelle canzoni che cantavano, una minaccia alla sua infanzia. Poi ha scoperto di avere radici croate e di fare parte di quel mondo che aveva sentito estraneo. “I libri di Marisa per me contano più dei miei. Le devo molto in quello che ho scritto. Era maestra nell’arte del levare e ha tagliato molto ai miei scritti.” E forse è con Marisa che nasce “Danubio”. “Avevamo deciso di fare un viaggio, assieme ad alcuni amici, in Slovacchia. Poco prima del confine con l’altra Europa, in una bella giornata di settembre, con le acque del Danubio che splendevano, improvvisamente apparve una scritta ‘Museo del Danubio’. Marisa propose ‘Perché non andiamo avanti fino al Mar Nero?’ Il romanzo è nato dall’idea di andare avanti, di offrirsi all’esperienza e non oggettivizzarla. Anche ‘Microcosmi’ si può considerare scritto a quattro mani, anche se Marisa già non c’era più.
In chiusura, su “Istantanee”, un libro che si è fatto da solo, ha detto Magris. In effetti sono scatti, istantanee proprio, cose viste e sentite, brutte, belle, felici, tristi… nulla d’inventato. Un aneddoto per chiudere. A passeggio a Barcola con l’amato cane Jackson, Magris venne avvicinato da una signora. Convinto che la donna volesse un autografo, si sente chiedere “Xe suo sto can?” “Sì”, risponde lo scrittore. “Bon, allora lei la xe Claudio Magris”. Sic.
E un caloroso applauso, per ringraziare della grande semplicità di leggere e spiegare il mondo. Della disponibilità a condividere un caffè.

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