Paolo Tramezzani: «A Pola mi sento a casa»

Lunga chiacchierata sul presente, passato e futuro con l’allenatore italiano dell’Istra 1961, che sembra essersi ambientato bene a Pola dopo l’esperienza di tre anni fa all’Hajduk

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Paolo Tramezzani: «A Pola mi sento a casa»
Foto: Luka Batelic/PIXSELL

Siamo alla prima sosta primaverile del campionato di SuperSport HNL. Un’ottima occasione per parlare con Paolo Tramezzani, primo allenatore italiano dell’Istra 1961 nella massima divisone. Un vero giramondo prima come calciatore (Prato, Cosenza, Lucchese, Inter, Venezia, Cesena, Piacenza, Tottenham, Pistoiese, Atalanta e Pro Patria) e poi come allenatore (vice selezionatore dell’Albania, Lugano, Sion, APOEL, Livorno, Sion, Hajduk e Al-Faisaly). Ci siamo dati appuntamento nella sala stampa dell’Istra 1961 per parlare del presente, senza però dimenticare il passato e con uno sguardo sul futuro. Ecco che cosa ci ha detto il primo allenatore italiano a guidare l’Istra 1961 nella massima divisione.

Dopo un mese e mezzo alla guida dell’Istra 1961, è tempo di un primo bilancio. I numeri dicono: due vittorie, tre pareggi e una sconfitta. Siamo in linea con le sue aspettative?
“Le mie aspettative, anche senza guardare i numeri, erano quelle di riuscire a imprimere alla squadra quello che è il mio calcio e quelle che sono le mie idee tattiche. Se oggi guardo soltanto i numeri, e mi hanno insegnato che i numeri non mentono mai, è chiaro che sono positivi. Non perché li calcolo io, bensì per il fatto che se in 6 partite fai 9 punti vuol dire che in media hai conquistato un punto e mezzo a partita in una squadra che prima viaggiava a una media di 0,83 punti a incontro. In fin dei conti abbiamo perso soltanto a Spalato, disputando comunque una bella gara e meritando magari il pareggio. A noi allenatori la tecnologia dà la possibilità di vedere in tempo reale tanti numeri e tanti dati che, letti nel modo giusto, possono essere positivi. Mi riferisco alla gestione della gara, al recupero della palla, al dominio nei duelli aerei, ai tackle, alla presenza in area di rigore e via dicendo. Secondo una statistica comprendente i dieci parametri più importanti, in nove eravamo sotto la media del campionato. Ora invece siamo sopra la media in otto. Abbiamo incassato 5 gol in 6 gare, una media da squadra che ha obiettivi importanti. I numeri sono sicuramente confortanti. Quando vedo ciò che sta facendo la squadra, sono ancora più soddisfatto. L’Istra ha vissuto una stagione difficile e particolare, in sette mesi ha cambiato ben tre allenatori e quindi non è stato facile neanche mentalmente quello che hanno passato questi ragazzi. Tuttavia ho trovato da subito grande disponibilità e grande attenzione: vedo che i giocatori mi seguono, si allenano duramente e con piacere. Comunque, anche se tutto va bene cerco di migliorare sempre. Questa squadra ha ancora margini di crescita sia a livello dei singoli giocatori che come gruppo. Ho avuto parecchie informazioni dai giocatori, si sta creando un rapporto che mi piace molto. I ragazzi cercano di affrontare ogni partita con l’obiettivo di vincerla. Non ho visto squadre che ci sono state superiori in queste sei partite. Da qui alla fine del campionato l’Istra può togliersi delle belle soddisfazioni. Credo che si possa altresì progettare e programmare la prossima stagione”.

All’arrivo ha detto che si sente come se facesse parte di una famiglia…
“Il primo ragionamento lo avevo fatto proprio a livello ambientale, la squadra non la conoscevo ancora. È un affetto che ricevo dal club, ma anche quando esco da casa e incontro qualche appassionato o tifoso. Ho subito trovato grande stima nei miei confronti. È chiaro che tutto ciò mi fa molto piacere. Mi sento a casa non soltanto perché si parla la lingua italiana, ma anche per l’ambiente che mi circonda. Sono stato spesso uno straniero sia da calciatore che da allenatore, ho giocato e allenato in sette Paesi diversi e so cosa si prova. Ora sono in un ambiente che ti fa sentire a casa, che ti mette in condizioni di vivere bene la quotidianità. Per me, che sono stato raggiunto a Pola anche dalla famiglia, diventa un aspetto molto importante. Per questo motivo vorrei fare bene all’Istra e lasciare il segno aiutando la squadra e la società a crescere. Sono uno che va in campo alle 8 del mattino e che ritorna a casa quando è già buio. Martedì scorso abbiamo approfittato della bella giornata e siamo andati a Rovigno. Finita la stagione avremo modo di visitare la zona con più calma, anche perché rimarremo a Pola sino alla fine dell’anno scolastico. Mia figlia infatti frequenta la scuola in lingua italiana a Pola”.

Il caso Erceg…
“Non voglio parlarne più. Mi limito a ciò che ho detto alla conferenza stampa del post partita contro il Gorica”.

È tornato ad allenare in Croazia tre anni dopo l’esperienza all’Hajduk. Ha notato dei cambiamenti nel calcio croato?
“Ho avuto modo apprezzare un campionato nel quale ci sono molti talenti. E sono pochi i tornei nazionali dove riesci a trovare qualcosa di simile. Se poi consideriamo che la Croazia ha quattro milioni di abitanti e che rispetto a Paesi come Francia, Inghilterra, Spagna e Italia il bacino è più limitato, qui il livello del talento e della competizione è altissimo. Logico che quando pensi al calcio croato pensi ai tanti talenti che ci sono. Le squadre sono competitive e organizzate, per cui è un campionato di notevole livello. La crescita dei giocatori è rappresentata al meglio dai risultati della nazionale: i successi storici agli ultimi due Mondiali non sono stati certo casuali. Quando hai talento prima o poi riesci a emergere.

Ha giocato in diversi Paesi e lavorato con tanti tecnici. A quale s’ispira maggiormente di coloro che lo hanno allenato?
“Ho avuto la fortuna di avere tecnici veramente molto bravi. Forse, dopo 35 anni, può sembrare che siano passati di moda, ma dico Trapattoni, Bagnoli, che all’epoca era considerato uno dei più bravi, Lippi, di cui tutti conosciamo la carriera che ha fatto, Ventura… La scuola italiana mi ha insegnato veramente tanto, diciamo che mi piace pensare come approcciavano umanamente la squadra Trapattoni e Bagnoli. Avevano un modo di fare molto aperto e diretto, sempre a cercare il dialogo e il confronto. Ancora oggi, nonostante siano cambiate le generazioni e il mondo come tale, l’approccio giusto può dare i migliori risultati sia ai giocatori che agli allenatori. Poi ci sono dei tecnici che ho studiato a fondo, sono andato a vederli e osservarli con un occhio particolare. Cerco di trarre ciò che potrebbe essere il mio modo di vedere di calcio”.

Da quando è stato introdotto, il VAR fa sempre parlare molto di sé. Come potrebbe venire migliorato il suo utilizzo e come commenta il fatto che nel massimo campionato croato verranno invitati gli arbitri stranieri a dirigere le partite più importanti?
“A mio avviso il livello degli arbitri in Croazia è buonissimo. Dalle esperienze che ho avuto sia con l’Hajduk che con l’Istra 1961, posso dire che mi piace la disponibilità e il dialogo che ho avuto con loro. Anche il VAR, se utilizzato bene, come strumento di aiuto agli arbitri è molto utile. Va detto che quello del direttore di gara è un lavoro molto difficile, specialmente nel mondo del calcio. È un mondo dove ci sono molte pressioni. Secondo me non c’era comunque bisogno di fare questo passaggio e chiamare gli arbitri stranieri”.

Rimaniamo in tema. Lei è stato un precursore per quel che riguarda la prova TV prima che sia stata varata. Ci racconti l’episodio che lo ha visto protagonista…
“Ho fatto da cavia. A San Siro, con la maglia dell’Inter, affrontavamo il Foggia quando eravamo secondi in campionato dietro al Milan. Sulla fascia sinistra ho fatto un brutto intervento, secondo me punibile con il cartellino rosso, ma l’arbitro si confuse con De Agostini e nonostante gli abbia detto che sono stato io lui è stato irremovibile nell’affibbiare a lui l’espulsione. Ho parlato anche con il guardalinee, ma niente. Al terzo tentativo con l’arbitro, quest’ultimo mi ha minacciato con l’espulsione e allora sono stato zitto. Ma almeno ci ho provato. Poi non so cosa successe, ma con la prova televisiva alla fine sono stato squalificato per una o due giornate al posto di De Agostini”.

A proposito di prova tv e televisione. Lei è stato anche uno stimato opinionista e cronista alla Rai, a Sky e su Medaset. L’esperienza l’ha aiutata poi in panchina?
“Mi ha dato l’opportunità di prepararmi per il mio lavoro e confrontarmi con gli allenatori..

Ha guidato per quattro volte il Sion. Ci spieghi come si fa a tornare tre volte nella stessa squadra?
“Per amore. Sono subentrato tre volte quando la squadra era messa male in classifica, per cui se non è amore questo allora che cos’è? L’ultimo anno non siamo riusciti a salvarci, in precedenza sì. È un club al quale sono legato tantissimo, che mi è stato molto vicino in un momento difficile per un problema grave di salute di mia moglie. Era anche un modo per sdebitarmi nei loro confronti”.

Un’ultima domanda. Quanto è cambiato il ruolo del difensore dagli anni Novanta, che la vedevano in campo, ai giorni nostri, quando è in panchina?
“Ho avuto la sfortuna, o magari la fortuna, di fare il difensore negli anni Novanta, quando quello italiano era il più bel campionato del mondo. A noi difensori capitava di dover marcare Batistuta o di incrociare Maradona. Forse all’epoca era più semplice, in quanto allora il difensore doveva soltanto… difendere. Una volta che annullavi o limitavi il raggio d’azione dell’attaccante avversario avevi fatto il tuo lavoro. Oggi al difensore viene chiesta maggiore partecipazione al gioco, deve curare l’impostazione e si lavora molto sulla fase preventiva. Una volta avevi l’attaccante da marcare, magari a tutto campo, e il tuo compito finiva lì. Era un gioco più maschio, c’era maggiore contatto fisico e puntavi sull’astuzia e sull’esperienza. Oggi è cambiato molto. Una volta se il difensore sbagliava ti poteva salvare soltanto il portiere, adesso invece si lavora molto sulla prevenzione con le coperture. In quegli anni non si facevano le diagonali difensive come adesso. Oggi è tutto più complicato. Lo stesso dicasi per il portiere, nel caso del quale ci si chiede prima di tutto quanto sia bravo con i piedi. Per me invece è importante soprattutto quanto sia bravo tra i pali…”.

«Europei? Attenzione all’Albania»
Croazia, Italia e Albania, dove Tramezzani è stato il vice di Gianni De Biasi alla guida della nazionale, saranno nello stesso girone ai prossimi Europei. Avendo allenato in tutti e tre Paesi, come vede il tecnico le rispettive squadre a tre mesi dalla rassegna continentale? “Sono italiano e anche se sono tanti anni all’estero rimango innamorato dell’Italia, che è un Paese bellissimo ed è casa mia. L’Albania ha rappresentato la mia prima esperienza da allenatore e, tra l’altro, abbiamo ottenuto un risultato storico con la prima qualificazione a un campionato europeo, ma soprattutto ho un ricordo straordinario per come quel popolo abbia vissuto il traguardo storico. È stato come un senso di rivincita dopo anni di sofferenza. Ovvio che pure l’Albania ha un posto speciale nel mio cuore. In Croazia ho fatto una bellissima esperienza a Spalato e la sto ripetendo a Pola. Dico di fare attenzione all’Albania, perché basta vedere dove giocano gli attuali nazionali rispetto alla squadra che allenavamo noi. C’è grandissimo entusiasmo e praticamente in Germania giocherà quasi in casa. La Croazia, nonostante si ripeta che abbia una squadra ‘vecchia’, arriva sempre in fondo. L’esperienza e i risultati ottenuti le danno la sicurezza che può trasformarsi in continuità. L’Italia ha un grande leader, un allenatore che mi piace tantissimo: Spalletti. Sono convinto che sia l’allenatore migliore in questo momento per gli azzurri. Non ci sono grandissimi calciatori, questo è vero. L’Italia sta arrivando a fari spenti, ma con grande ambizione. Nel 2021 aveva almeno 3-4 avversarie più forti, ma alla fine ha vinto, e anche meritatamente. Non c’erano i vari Pirlo, Del Piero, Cannavaro, Nesta, Inzaghi o Totti. Nel 1982, ad esempio, aveva dei campioni veri. Nonostante ciò è riuscita a imporsi e, a mio avviso, può ripetersi anche grazie alla convinzione di Spalletti”.

«Il Rijeka ha grande entusiasmo»
L’Istra 1961 potrebbe, insieme ad altre cinque squadre, essere l’ago bilancia nella corsa al titolo. Chi vede Paolo Tramezzani come favorito per il titolo tra Rijeka, Dinamo e Hajduk? “Il cuore dice Hajduk, però vedo un campionato che si deciderà all’ultima giornata. Non credo che qualcuna possa staccarsi. I punti di vantaggio del Rijeka non sono né pochi né tanti, e si possono recuperare. Parliamo di squadre diverse. La Dinamo, dopo l’uscita dall’Europa, ha l’opportunità di pensare soltanto al campionato ed è normale che avendo una partita a settimana rientra nella lotta per il titolo. Il Rijeka lo vedo in corsa per quanto riguarda il gioco e per il fatto che delle tre ha meno obbligo di vincere. Mi spiego meglio: non che uno non voglia vincere, ma se lo fa è una cosa straordinaria. Ha entusiasmo, è una squadra che gioca bene, è difficile da affrontare e ha grandi qualità. Se la può giocare senza il peso di eccessive responsabilità e ai suoi giocatori la palla non pesa certo come un macigno”.

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