La bellezza dell’effimero nell’acqua

È sorgente primitiva, l’archè da cui tutto nasce e a cui tutto può tornare. In essa si tramanda il senso di infinito, la capacità straordinaria di essere resiliente, di plasmarsi per continuare a percorrere la propria strada avanzando nonostante gli ostacoli

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La bellezza dell’effimero nell’acqua
Foto Alessandra Biolghini

Effimero e acqua. Un intreccio che dall’impalpabile si congiunge all’elemento vitale e in esso scorre, come l’esistenza.
Potrebbero risultare inaccostabili, eppure costruiscono il nostro quotidiano, lo modellano alleandosi con naturalezza. Sono nei cicli della vita, nel visibile e invisibile, nella continuità del panta rei che in un torrente scorre, nel movimento instabile di nuvole bizzarre, nelle foglie che svigorite cadono da un albero o in un tramonto che ci lascia attoniti.
Si rincorrono e si armonizzano, si respingono e si disgregano. Entrambi conservano il segreto di un vivere che pone radici in ciò che di più genuino accade, conducendoci a coglierne il valore e l’insegnamento che ne deriva.

Un tempo senza barriere

L’effimero possiede una grande energia. Può indurre a osservare la realtà da angolazioni mai esplorate, che si replicano, seppur con forme e modalità diverse, in un tempo privo di barriere e in una continuità incessante tra passato, presente e futuro. Ed è questo che gli restituisce eternità.
L’acqua è sorgente primitiva, l’archè da cui tutto nasce e a cui tutto può tornare. In essa si tramanda il senso di infinito, la capacità straordinaria di essere resiliente, di plasmarsi per continuare a percorrere la propria strada avanzando nonostante gli ostacoli. Gioca a raccontarsi con un’identità poliedrica. Talvolta si riflette su uno specchio tranquillo e placato, talvolta scalpita in una cascata prepotente e impetuosa. Nell’antico e per innumerevoli aspetti moderno pensiero taoista, trova disposizione fra i cinque elementi o cinque fasi (legno, fuoco, terra, metallo nonché acqua), la cui interrelazione, armoniosa o burrascosa, in eccesso o in difetto, equilibrata o squilibrata, dà voce a caratteristiche specifiche nei fenomeni naturali e nelle qualità soggettive dell’essere umano.

Il soffio vitale fra yin e yang

I cinque elementi si materializzano nelle stagioni, nei colori, negli odori, negli organi, nelle emozioni. Sono forza e debolezza, sono una sequenza inesauribile che vede ciascuno nutrire l’altro e che li vuole reciprocamente prima figli, poi genitori. Esistono in quanto frutto dell’interazione promossa dal qi, il soffio vitale fra yin e yang, di cui rappresentano per l’appunto i cinque stadi. In tale dinamicità, nulla è mai assoluto.
Spesso, l’acqua viene associata alla facoltà innata di spegnere il fuoco interiore e fisico, all’adattabilità, alla fluidità e alla saggezza. Dell’effimero, potrebbe esserne le mani e le gambe che toccano il mondo corporeo e lo percorrono consapevoli della propria fugacità.
Sono dunque inscindibili e ugualmente preziosi, fonte di ispirazione e di pensiero, risorse e presupposti per un approccio morbido verso appuntamenti nuovi e rinnovati che la quotidianità offre.
Si muovono, si evolvono, allenano a una metamorfosi proficua e costruttiva. L’acqua è sussistenza. In certa misura, raffigura il comune denominatore tra i popoli, mancando il quale semplicemente non esisterebbero.

L’equilibrio tra cielo e acqua

Cielo e acqua sono del medesimo colore”, recita un’antica espressione idiomatica cinese, a sottintendere l’equilibrio e l’unità tra di essi, una comunicazione diretta tra umano e spirituale, spoglia di interferenze. È una sorta di promemoria, per rammentare che tutto è legato da una circolarità e che quando si osserva l’impermanenza del cielo, stiamo ammirando simultaneamente anche quella dell’acqua. Non si può resistervi o contrastarla, poiché significherebbe ostacolare la rinascita insita nell’effimero stesso. Un concetto compreso profondamente da numerose civiltà e che in Cina si concretizza nella sfera popolare mediante l’impiego di strumenti rudimentali, di uso comune e dalle fattezze estetiche alquanto grossolane.
Un secchio, un po’ di acqua e un lungo bastone sulla cui punta viene infagottata una piccola spugna o infilata l’estremità di pennelli per la verniciatura. Veicoli di incredibile sobrietà, sufficienti a sperimentare una pratica che stupisce e al contempo accattiva.
La calligrafia ad acqua.
Molte sono le teorie che ne descrivono le origini, tuttavia quel che preme sottolineare è la sua diffusione a raggiera nella società cinese contemporanea. Nonostante la povertà dei mezzi con cui si esercita, non sottrae bellezza e poesia al significato del gesto che guida la mano ferma e delicata, grezza e nervosa, del tocco lento che accurato libera la mente e del risultato che si ammira in silenzio o ad alta voce con gli amici, testimoni di un percorso temporaneo e irripetibile.
Si propone generosa, essendo accessibile a tutti e lontana da qualsiasi distinzione di classe.

Una comitiva di «vecchietti»

Provai stupore quando, per la prima volta, passeggiando in un parco di Shanghai, vidi un gruppo di signori anziani intenti a fissare la pavimentazione di un gazebo a forma di pagoda. Erano diritti come fusi, disposti in cerchio e commentavano qualcosa che non riuscivo a comprendere, giacché nel dialetto locale a me ancora sconosciuto in quel periodo.
Discutevano con voci intervallanti suoni acuti a flebili e lo facevano come se parlassero di questioni estremamente urgenti. Attratta dalla situazione mi avvicinai, pur temendo di intralciare e quindi di essere rapidamente allontanata. Invece mi sorpresero per la seconda volta, aprendosi in domande e curiosità. Non riuscivano a spiegarsi il motivo che avesse spinto una straniera a fermarsi lì per osservare una comitiva di ”vecchietti” in un giardino periferico, mentre la città avrebbe potuto offrire leccornie culturali e artistiche di ogni tipo.
Parlavano immergendo in un catino, che immaginai essere un gigantesco contenitore di inchiostro, ma in realtà era colmo di acqua, una lunga asta sulla cui estremità penzolava qualcosa di analogo a del materiale spugnoso. Si trattava di un pennello fai da te. In una manciata di secondi, abbassarono il volume della voce e, rapiti da lampi di estro, iniziarono a scrivere per terra.

Un’attività dell’anima

Non avevo mai visto nulla del genere e lo percepii subito come qualcosa che meritasse un approfondimento. Mi rivelarono di essere tutti in pensione ormai da qualche anno e di riunirsi, d’estate e d’inverno, a orari flessibili ma puntuali, per fare ginnastica insieme. Mi venne spontaneo chiedere delucidazioni sull’attività sportiva praticata con tanta dedizione e uno di loro, il più disinvolto, rispose: “Dell’anima!” e mi disorientò completamente.
A turno, dipinsero i contorni di numerosi caratteri cinesi, sostituendo la carta con la pavimentazione, imperfetta e scoscesa. Ognuno aveva un proprio spazio sul quale trascrivere stralci di poesie, frasi o ricordi isolati. Sembrava essere una sfida con sé stessi a ricercare segni complicati. Erano immersi in quell’istante. Nessuna cosa pareva distoglierli dall’obiettivo di inserirsi in un canale esclusivo ed entrare in una dimensione parallela al suono stridente delle cicale, alle urla dei bambini e al rumore isterico del traffico. Chi sudava gareggiando con l’acqua per evitare che si asciugasse precocemente, chi usava il pennello come estensione di un ritrovato equilibrio interiore.

I «trampolieri della calligrafia»

Terminata la trascrizione, attesero che il calore dell’aria e il tempo agissero e delle loro opere non rimase alcuna traccia. A quel punto, un sorriso corale conquistò il gruppo che, congratulandosi per le imprese compiute, mi invitò compatto ad aprire nuove danze calligrafiche.
Presero un pennello e me lo incastrarono tra le dita irrigidite dall’agitazione. Rimasi immobile fino a quando uno di loro mi diede uno scappellotto sulla spalla destra, come per incoraggiarmi ad affrontare il primo giorno di scuola.
Innanzi, si apriva un foglio di pietra, ampio e dispersivo. Non vi erano i quadratini inflessibili a cui ero abituata e che, all’università, il professore di lingua cinese ci faceva riempire con centinaia di sinogrammi. Piuttosto, una superficie libera a disorientare le poche sicurezze acquisite. Ricordo che riprodussi tremante il mio nome cinese, le linee di acqua rifletterono perfettamente il tocco incerto. Assomigliavano a orli malriusciti e mi dispiacque perdere il controllo delle emozioni. Il pennello le riportò come un sismografo che registra anomalie. Poi, vennero risucchiate dalla porosità del suolo e in esso si dispersero definitivamente. Pensai che fosse un allenamento vano, quasi sterile. Masticai delusione e amarezza che comunque trattenni in modo garbato.
Dopo pochi minuti, però, la mia insoddisfazione si ridusse a una lettura insignificante e le delucidazioni fornite dai “trampolieri della calligrafia”, così li soprannominai da quel giorno, aprirono un varco nell’ottusità di un’ospite occidentale.
Avevo, infatti, assistito al primo esercizio della mia vita sull’effimero. I cuori di quei signori non erano stati inondati di gratificazione per il risultato conseguito, bello o brutto, raffinato o sguaiato, bensì per il percorso intrapreso al suo ottenimento.
L’anno successivo, ritornai in quel parco con l’idea di salutarli e di intervenire al rituale maggiormente consapevole e matura. Intravidi solo tre di quei signori. Rimasi nascosta tra i cespugli a scrutarli attentamente. Un mosaico di bimbi seduti per terra, seguiva silenzioso l’ondeggiamento di pennelli ciclopici migliorati e adattati all’uso. Faceva molto caldo ma quell’angolo verde sembrava essere un’oasi graziata dalla temperatura rovente. All’improvviso, un piccolo di circa tre anni, a passeggio con la nonna, si sganciò dalla sua mano per correre fulmineo in direzione del gazebo e gridando a squarciagola ”Shū Yé yé … ShūYé yé!” (书爷爷 ShūYé “nonno della calligrafia… nonno della calligrafia!”), si aggiunse agli altri.
Uno alla volta, furono carpiti dal gioco dell’acqua e del pennello. Dipingevano e ripetevano ad alta voce la pronuncia dei caratteri, scrupolosamente accompagnati dai nonni adottivi. Un doposcuola speciale per molti di loro, grazie al quale sigillare legami generazionali ed elaborare la pazienza dell’attesa, il rispetto per gli errori, la gioia del completare un compito malgrado le difficoltà e i capricci. Urla e saltelli festosi, simili allo scampanellio di fine lezione, segnarono il loro rientro a casa. All’effimero si era aggiunta la bellezza del legame tra la Natura e le proprie radici culturali, dello spirito di squadra, del riguardo particolare, e non imposto, per le persone anziane, detentrici di poteri magici.

Un’inclusività contagiosa

La calligrafia ad acqua, meglio conosciuta con il nome di “ground writing” (地书 dì shū), è nobilitata da concetti profondi che riconoscono nei caratteri cinesi, disegnati sulla pietra o su altre pavimentazioni e successivamente fagocitati dall’universo, il principio della caducità.
Si gode del momento creativo, delle sensazioni che esso rimanda e sulle quali ci si sofferma a riflettere per migliorarsi, mentre l’opera forgiata si cristallizza, svanendo per sempre. Potremmo definirla una forma di meditazione ma anche di attività psico-fisica. Un numero crescente di anziani la inserisce nella consuetudine giornaliera quale disciplina regolatrice di molteplici funzioni motorie che mantengono attiva la concentrazione e stimolano la coordinazione degli arti. L’inclusività tra partecipanti di età ed estrazioni diverse che ne scaturisce è contagiosa, induce a una condivisione diretta. Insieme si osserva e si memorizza lo scorrere sereno e ineluttabile del momento, accettandolo.
Probabilmente, è questo il fascino della vita. L’essere consapevoli che sia recintata da margini temporali soltanto se la si guarda da uno strato epidermico. Spingendoci oltre a scoprirne sapori e tonalità, ci affrancheremmo da pesi ingombranti. Il genere umano possiede combinazioni illimitate sia per cogliere gli istanti da imprimere sulla pellicola del tempo, sia per decidere l’attitudine con la quale viverli, determinando la qualità dello scatto fotografico di emozioni e di stati d’animo.
Era questo il punto focale, il messaggio che il gruppo di calligrafi amatoriali aveva cercato di condividere con entusiasmo.

La «regina della notte»

Si apprendono numerose lezioni nella vita e la Natura sa essere un’eccellente maestra. Non a caso, da essa si traggono costanti fonti di illuminazione. Alcune piante, ad esempio, possono essere considerate ambasciatrici di temporaneità. L’Epiphyllum Oxypetalum o fiore Kadupul è una fra esse. Appartenente a una varietà di cactus, i suoi fiori sono profumati e spettacolari, sbocciano durante la notte per chiudersi nelle prime ore dell’alba. In un breve lasso di tempo, la regina della notte si regala nella sembianza migliore che il cosmo le consente. Potremmo dire che si impegna al massimo delle proprie capacità, pur sapendo di durare pochissimo. Una fugacità manifesta, uno splendore passeggero che lascia comunque un’impronta in coloro che hanno il privilegio di osservarla nel suo fiorire transitorio, ma non per questo meno prezioso.
La cerimonia di dispersione dei mandala in Tibet è un’eco a tale predisposizione del cuore. Le polveri colorate che li hanno partoriti vengono spazzate via dai monaci a ritmi cadenzati e sacri mentre i minutissimi frammenti, da entità di attaccamenti terreni, ritornano al tutto.
L’effimero non necessita di cose complicate, anzi. Ama la semplicità ed è per questo motivo che nell’acqua identifica una compagna ideale di percorso.
Così, quando fantasie e desideri abbozzati sulla riva del mare vengono inghiottiti dagli abissi e la sabbia è pronta ad accoglierne di ulteriori, o quando la luna si concede nelle sue fasi argentee di nascita e declino, o quando ancora le luci suggestive dell’alba si irradiano migliorando i luoghi, ecco, questi precisi attimi ordinari ma unici narrano la singolarità del fluire. Edificano palcoscenici su cui cielo e acqua si rincontrano nella loro spettacolare mutevolezza mentre l’umanità apprende.
Albert Einstein sosteneva che “ogni cosa si possa immaginare, la Natura l’ha già creata”. E l’effimero non fa che ricordarcelo.

*Referente Senior per Progetti Commerciali e Culturali Sino-Europei

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