Kek come Herrera negli anni Sessanta

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Kek come Herrera negli anni Sessanta

Una frase rubata dal noto mensile Guerin Sportivo sul tema la “rivoluzione della specie”. All’inizio il tecnico era una figura marginale. Poi arrivò Helenio Herrera, e niente fu come prima: aumentarono gli stipendi e la necessità di allenare pure tifosi e giornalisti (Matjaž Kek davanti allo specchio…). Così, da Rocco ad Ancelotti, da Trapattoni ad Allegri, gli allenatori hanno aggiunto una “t”: allen/attori! Prima l’allenatore era uno dei giocatori, quello più carismatico, che sceglieva gli undici da mandare in campo. Poi iniziò l’evoluzione tattica e quello dell’allenatore diventò un mestiere. È impensabile oggi un mondo senza Mourinho, Guardiola, Ancelotti, Sarri, Allegri, Klopp… E Matjaž Kek, sloveno che in Croazia è oggi quell’Helenio Herrera degli anni Sessanta dello scorso secolo. Per come concepisce il mestiere di allenatore. Un duro, perfezionista, dittatore con la filosofia machiavellica: il fine giustifica i mezzi. Tante volte abbiamo, infatti, assistito a partite inguardabili, ma che poi sono state vinte.
Ma il divorzio era nell’aria. Malgrado il fatto che il presidente Damir Mišković un anno fa avesse detto che non lo avrebbe cacciato nemmeno nel malaugurato caso di dieci sconfitte consecutive. Infatti, Kek ha tolto da solo il disturbo. Ha capito che la storia con il Rijeka era giunta al capolinea: un matrimonio in crisi e un rapporto che non si poteva più salvare. Dopo avere perso il controllo dello spogliatoio, aveva iniziato pure a perdere punti, cinque pareggi e due sconfitte. L’ultima, con il Gorica, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Onestamente si attendeva soltanto chi avrebbe compiuto il primo passo: Mišković con il licenziamento (avrebbe dovuto pagargli il contratto per due stagioni, 40.000 euro al mese), oppure sarebbe stato Kek a dire basta così.
Già dopo la partita con l’Istra 1961 (3-3 a Rujevica) ci fu un duro scambio di parole tra il tecnico e la dirigenza, tanto che Kek fece le valigie e se ne andò da Rujevica… ritornandoci due giorni dopo. Da quel momento è cambiata anche la musica nelle conferenze stampa, niente più parole al vetriolo e critiche contro tutto e tutti da parte del tecnico sloveno. Soltanto parole al miele. Di più: accettava con filosofia i pareggi e le sconfitte. Fino all’incontro con il Gorica.
Come già detto, Matjaž Kek ha riscritto la storia del calcio fiumano, vincendo il primo storico titolo di campione di Croazia, conquistando due Coppe nazionali e una Supercoppa. Il tutto a spese della Dinamo. In soltanto tre anni, dal 2014 al 2017, arrivarono anche tre partecipazione alla fase a gironi di Europa League. Nessuno come Kek. In cinque anni e mezzo ha sollevato l’asticella della qualità, ma anche i criteri societari. Nulla, infatti, sarà come prima. Al presidente Mišković, che lo vorrebbe consigliere personale, Kek lascia un patrimonio. Ma anche un obbligo concreto di continuare sulla strada tracciata dal tecnico di Maribor.
In dieci incontri della stagione in corso sono soltanto tre le vittorie, bilancio completato da cinque pareggi e due sconfitte. Troppo poco per una squadra che nella seconda parte dello scorso campionato, in primavera, aveva collezionato 35 punti in 16 incontri (11 vittorie, 2 pareggi, 3 sconfitte), con una differenza gol di 27-14. La squadra era più o meno la stessa di oggi, manca soltanto Bradarić. Qualcosa decisamente non funzionava nello spogliatoio, dove si costruiscono i trionfi. Kek merita un monumento per quanto raggiunto con il Rijeka, mentre la società un nuovo allenatore in grado di seguire le sue orme. Un’impresa ardua, ma ogni tanto bisogna cambiare.

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