Don Severino Dianich, ultimo testimone di una grande storia

Il 7 novembre a Pisa un convegno per rendere omaggio a Monsignor Ugo Camozzo e ai 25 religiosi che lo raggiunsero in Toscana dopo l’esodo. L’iniziativa dell’Associazione Fiumani Italiani nel Mondo coinvolgerà la Comunità degli Italiani, studiosi e parrocchiani che vorranno ricordare i "pretich" giunti da Fiume

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Don Severino Dianich, ultimo testimone di una grande storia
Don Severino Dianich nel suo studio con Franco Papetti. Foto Rosanna Turcinovich Giuricin

Seconda decade di aprile, il sole a picco, un gruppo di fiumani per le strade di Pisa deciso a incontrare un testimone importante della propria storia. Non è sempre facile la via da prendere: se fermare la memoria agli anni tra le due guerre mondiali, al dopoguerra o considerare come parte della storia di un popolo disperso anche ciò che è successo dopo, nell’esodo e fino ad oggi. Tutti momenti irrinunciabili e tutti da salvare. Con religioso rispetto. Il gruppo concorda sulla risposta.
Perché a Pisa? Per incontrare don Severino Dianich, il famoso teologo, dopo una doverosa premessa.
Lasciata Fiume nel 1947, Monsignor Ugo Camozzo, ultimo vescovo italiano di Fiume, divenne arcivescovo di Pisa – eletto dopo un periodo d’attesa al Seminario di Venezia. Siccome considerava Fiume sua città d’elezione (era nato a Milano), fece sapere ai parroci esuli, ormai sparsi in tutta Italia: “Sono a Pisa, se verrete sarò felice di potervi ospitare…perché qua ghe xe bisogno de integrazioni ministeriali, quindi voi che se seminaristi vegnì e che vegni anche i preti, quei che xe già in servizio”. Una frase raccolta dalla testimonianza di Monsignor Egidio Crisman, “fiuman patoco”, prima che ci lasciasse qualche anno fa. Amava esprimersi proprio così, mescolando lingua a dialetto, come avranno fatto molti dei preti che raggiunsero Monsignor Camozzo.

Ma quanti erano?

Sempre Monsignor Crisman: “Si mossero i vecchi canonici del Duomo di Fiume, che arrivarono intenzionati a dare quello erano in grado di dare. Noi giovani intanto, terminati gli studi, fummo consacrati da Camozzo, eravamo un bel gruppo di preti, compresi i ‘veceti’, 25 circa, tutti fiumani”. Ci fece avere anche un elenco che consultiamo con don Dianich: Giovanni Cenghia, Clemente Crisman, Egido Crisman, Alberto Cvecich, naturalmente Severino Dianich, Vittorio Ferian, Gabriele Gelussi, Floriano Grubesich, Mario Maracich, Rino Peressini, Fulvio Parisotto, Giuseppe Percich, Oscar Perich, Ariele Pillepich, Francesco Pockaj, Antonio Radovani, Giovanni Regalati, Aldo Rossini, Arsenio Russi, Janni Sabucco, Giovanni Slavich, Giacomo Desiderio Sovrano, Giuseppe Stagni e Romeo Vio, da Veglia Mario Maracich.
Giovanni Paolo Benotto, attuale arcivescovo di Pisa, li ricorda con particolare affetto: “Li chiamavamo i ‘pretich’ per questi loro cognomi così particolari”, racconta con affetto. S’intuisce che anche il loro italiano fosse diverso, non era certo il toscano dei pisani e qualche parola del dialetto fiumano, qua e là, emergeva curiosa e dispettosa.
Lo immaginiamo, quasi con commozione, mentre ci si appresta a raggiungere il luogo in cui vive, in una bella dependance nel giardino di una casa di riposo gestita dalle suore nel centro di Pisa, don Severino Dianich. “Vi sta aspettando”, ci accoglie così una suora. È alla sua scrivania, sorridente e cordiale, la simpatia reciproca è immediata. Franco Papetti e Diego Zandel illustrano il nuovo corso dell’Associazione Fiumani italiani nel Mondo, si parla della Voce di Fiume che don Dianich segue con interesse. Si ricorda tutti insieme l’esodo da Fiume, ognuno con delle reminiscenze particolari. “Ero solo un ragazzo – racconta don Severino – quando nel 1940 ci fu la dichiarazione di guerra, dopo pochi mesi avrei iniziato la prima elementare”. Don Severino, è stato uno dei seminaristi di Pisa, l’ultimo testimone vivente della schiera di “pretich” fiumani che nelle parrocchie circostanti servirono la comunità con uno slancio che tutti ancora ricordano. Ed è proprio lui, grande teologo, a cercare oggi di far comprendere alla gente, ai giovani in particolare, che il parroco non è una figura intoccabile, è un individuo al quale rivolgersi da pari. Lo ha dichiarato a un incontro di qualche mese fa. “Secondo me – dichiara – ha pesato e pesa tuttora molto, anche sui preti giovani, anzi, per loro è perfino accentuata, quella inveterata abitudine per cui il prete è considerato una persona ‘diversa’, con qualcosa in più di irraggiungibile, perché è una persona sacra. Tutto ciò fa enormi danni, come ho constatato anche durante il convegno nel mio gruppo di lavoro. Due preti africani, ad esempio, hanno raccontato come da loro nessuno mai osa fare una critica a un sacerdote. Da noi i preti sono criticatissimi, ma sui media, pochissimo invece faccia a faccia…”.
Una constatazione che rivela molto sulla modernità del suo approccio raggiunta in anni di coinvolgimento diretto nel grande e costante cambiamento del mondo che la teologia segue, interpreta, cerca di spiegare e a cui si adegua. Tutto ciò mediato dalla forza della sua personalità, dal fatto di essere estremamente autorevole perché ha il raro dono di andare dritto al nocciolo delle questioni, con poche parole ben indirizzate. Indole fiumana? Sorridiamo, come si trattasse di una battuta, di uno scherzo, ma con un consapevole fondamento di verità.

La vita dopo l’esodo

La visita procede spedita, ci si sofferma sulla vita dopo l’esodo e gli anni in seminario. Don Dianich ha trascorso molto tempo a Roma, i primi periodi come matricola dell’Università Gregoriana: “In quegli anni – ricorda – era difficile accostarsi alla letteratura teologica di buon livello senza conoscere il francese e il tedesco. Così iniziava un’avventura, sia negli studi che nelle molte esperienze che Roma offriva”. È stato testimone nel corso dei decenni delle grandi trasformazioni della società e della chiesa, sin da quel concilio dell’ottobre 1962 che ricorda nel suo libro “Troppo breve il mio secolo”. A leggerlo tutto d’un fiato perché avvincente, ci si accorge che avrà bisogno di essere ripreso in mano e analizzato a più riprese perché contiene verità difficili da raggiungere seguendo la mera informazione. Don Severino, teologo di fama internazionale, è un testimone del secolo breve, ha viaggiato in tutto il mondo godendo di un osservatorio privilegiato, dentro i parametri teologici, con una rara capacità analitica e la possibilità di intravvedere cambiamenti e nuove speranze.
E solo dopo molte parole, si svela la vera ragione della visita dell’AFIM a Pisa: il 7 novembre, nella città in cui andarono esuli il vescovo Camozzo e i 25 religiosi Fiumani si svolgerà un convegno con studiosi di chiara fama, alla presenza dell’Arcivescovo Paolo Giovanni Benotto, dello stesso don Severino Dianich, di Marko Medved storico fiumano, docente di teologia, che sta per pubblicare un volume sull’ultimo vescovo italiano di Fiume, Monsignor Ugo Camozzo, di altri studiosi di Pisa e, dulcis in fundo, dei parrocchiani che conobbero i preti fiumani e che con loro affrontarono un lungo periodo di interazione e crescita. Un altro modo di evidenziare l’eccellenza fiumana nel mondo.

Momenti di ricomposizione

 

Al momento dei saluti, gli abbracci di rito, per sottolineare il valore di una giornata incancellabile che ora permetterà di raggiungere nuovi traguardi della memoria, insieme. Il 7 novembre e per tutta la mattinata nella sala del Vescovado messa a disposizione dall’Arcivescovo si svolgerà il dibattito aperto a tutti coloro che vorranno partecipare, per conoscere, per testimoniare, per esserci coscienti che questi momenti di ricomposizione della memoria e delle genti è fondamentale per chiunque: un ritorno dentro la grande famiglia di esuli e rimasti.

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