ETICA E SOCIETÀ Quando le scuse iterano lo stereotipo

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ETICA E SOCIETÀ Quando le scuse iterano lo stereotipo
Robert Ferlin. Foto Goran Žiković

Sono rientrato pochi giorni fa da Sarajevo. Grande ospitalità all’Università, come nel resto della città, ottime discussioni al convegno anche con colleghi/e dall’Italia e dalla Germania.

Ma volevo parlare d’altro, ispirato da alcune analogie locali. Negli anni della guerra un soldato olandese nelle forze dell’UNPROFOR ha scritto su una parete delle squallide frasi denigratorie nei confronti delle ragazze bosniache. A quest’oscenità morale ha risposto un’artista bosniaca, Šejla Kamerić, con dei lavori che vi consiglio di trovare su internet. Quest’episodio è uno di quelli che fanno pensare all’insensibilità umana. Che genere di piacere si può provare, se si è sani/e di mente, nell’umiliare altre persone? C’è il cafone che pensa di essere spiritoso. E i cafoni ci sono ovunque. Lo stesso vale per gli impulsi discriminatori. In questi giorni sono interdetto quando leggo in rete chi se la prende con una supposta lobby gay che avrebbe fatto vincere un cantante con appartenenza di genere atipica a un festival. Una cosa banale come un festival di musica leggera è un pretesto per scatenare offese e discriminazioni. Come ho detto, gente così esiste ovunque. Il problema è grave quando questa gente è presente nelle parti della società dalle quali ci si attende che siano trainanti verso il progresso.

Pensiamo ad altri casi possibili, per alcuni insegnamenti. Una riunione del management di un’azienda tedesca. Uno dei presenti ha l’infelice idea di fare una battuta con lo sciocco stereotipo sulla promiscuità delle bionde. Ripreso per atteggiamenti discriminatori dice che non voleva offendere le colleghe presenti e che pensava alle bionde come Zsa Zsa Gabor che ha avuto nove mariti. Ritengo che quanti mariti (o mogli) o amanti una persona ha avuto o ha riguarda solo la persona e quelle che hanno relazioni con lei. Ma l’offesa esiste in quanto si implica l’associazione per cui le bionde sarebbero frivole e, quindi, non adatte a ruoli dirigenziali (l’analogia comune per cui la promiscuità si vincola a frivolezza, ad esempio, nel lavoro è, peraltro, stupida). Dire nelle presunte scuse “non parlavo delle colleghe, ma delle bionde come Zsa Zsa Gabor” vuol dire iterare una generalizzazione offensiva. Dopo aver fatto una battuta generalizzante sulle bionde, la presunta scusa itera l’idea che le bionde, in generale, sono poco attendibili e le colleghe sono solo eccezioni (ma comunque inserite in un gruppo descritto con uno stereotipo denigrante).

Immaginiamo un’università americana. Un professore racconta durante una lezione una barzelletta sulle persone di origine africana descritte come cannibali. Richiamato, replica con delle, chiamiamole scuse, dicendo che non parlava degli/le studenti e studentesse ma delle persone africane o di origine africana come Bokassa (peraltro, l’accusa di cannibalismo non è stata confermata nel processo). Nuovamente, le scuse sono solo un modo per iterare l’ingiuria e lo stereotipo negativo.

Fiume. Conosciamo tutti/e l’episodio con il giornalista. Nelle scuse dice che non parlava della CNI residente nei nostri territori ma di persone che associa a simpatie fasciste o ridefinizioni territoriali. Non ho lo spazio per commentare questi casi e ho già scritto recentemente in due occasioni di memoria storica e (anti)fascismo (ma ringrazio cortesemente anche qui tutti/e quelli/e che in futuro si asterranno da ambiguità, o, peggio, manifestazioni esplicite di simpatie fasciste o riprogettazioni dei confini in Europa). Ritorno al tema di questo testo. Non si tratta di scuse plausibili. Al contrario, poiché si trattava di una battuta legata a una bandiera, si associa un’intera nazione al suo contenuto e messaggio. Le persone escluse dalla battuta sono rappresentate quali eccezioni, il giudizio generalizzato e lo stereotipo non sono smentiti. Anche perché si trascura, ad esempio, la recente celebrazione della liberazione dal fascismo, quando la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha fatto benissimo a ricordare che la fine del regime ha posto le basi per la ricostruzione della democrazia. E si trascura che l’ambiguità verso l’antifascismo non affiora solo in Italia. In Croazia si è sentito non una volta da persone non marginali, ad esempio, che i partigiani sono gli occupatori di Zagabria.

In quanto al giornalista, bastava dire – scusate, ho espresso una battuta infelice. Capita a tutti/e.

*Professore ordinario di Filosofia Politica

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