INSEGNANDO S’IMPARA Dimmi come ti vuoi chiamare

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INSEGNANDO S’IMPARA Dimmi come ti vuoi chiamare
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Il presente bozzetto è la logica continuazione dei due precedenti (nozze e burocrazia). Lo spunto arriva da un recente episodio in cui una concittadina umaghese si è vista interrompere i versamenti della pensione di reversibilità del defunto marito senza nessuna spiegazione, per poi scoprire che l’ente pensionistico italiano e la banca istriana viaggiavano su binari diversi riguardo al suo cognome. Pur avendo entrambi una sfilza di documenti attestanti la sua identità, l’ente italiano aveva avviato la propria procedura esclusivamente con il nome da nubile, mentre alla banca risultava anche il nome da sposata. Nel dubbio cosa fare? L’ipotesi di contattare la persona in questione per risolvere il malinteso non è nemmeno stata presa in considerazione (troppo ragionevole). Invece è stato adottato il tipico atteggiamento burocratico di fare ognuno secondo le proprie regole e, viste le discrepanze, rimandare tutto al mittente.
Burocrazia a parte, il problema di fondo riguarda l’universo femminile ed è quello di come regolarsi con il cognome quando ci si sposa. La questione non è solamente amministrativa, ma vi rientrano anche fattori culturali, la tradizione e varie contingenze individuali. A scanso di equivoci, va sottolineato che qui non si vuole prendere posizione a favore o contro decisioni che sono di natura squisitamente personale, ma si desidera illustrare alcuni risvolti pratici della questione.
Da quanto detto sopra, si evince che in Italia si taglia la testa al toro e, per facilitare le procedure burocratiche di tutta una vita, è più semplice lasciare le cose come stanno e trattare la persona come un’entità completa già dalla nascita. Come dire, parafrasando Dante, “più che l’amor, potè la carta”. Che poi ad un certo punto della vita Anna Rossi si sposi e venga registrato il dato “in Bianchi”, il secondo cognome non interferirà con tutti gli altri documenti e dati anagrafici di Anna Rossi (codice fiscale, passaporto, carta d’identità, patente, ecc.) in quanto l’aggiunta del cognome da sposata non è obbligatoria.
In Croazia, in linea generale, il trend è quello di aggiungere il cognome del marito al proprio, il che va benissimo, ma sarebbe interessante vedere quali reazioni susciti la scelta di non cambiare nulla e tenersi il nome con cui si è nate. È a questo punto che spesso scattano le pressioni di altro tipo, a partire dall’impiegato dell’ufficio anagrafe che con sguardo interrogativo chiede “Sei proprio sicura? Non preferiresti fare altrimenti?”. Sembra banale, ma la questione del lasciare inalterato il proprio cognome è ancora vista come un attacco alla mascolinità e alla patriarchia e le prime a protestare sono le donne, ovvero le mamme di lui, che lo prendono come un affronto personale. Un mio illuminatissimo amico di Umago, che al riguardo non aveva nessun’opinione particolarmente sentita, confessò che sua madre non avrebbe mai accettato una nuora che “rifiutasse il mio cognome”. Freud neanche si scomoda.
Per quanto riguarda la situazione quassù, secondo una ricerca della BBC del settembre 2020 negli Stati Uniti la percentuale delle donne che adotta il cognome del marito si aggira sul 70 p.c. mentre in Gran Bretagna è del 90 p.c. (dati 2016). Da notare che in nessuno dei due paesi la prassi è obbligatoria. Tra le ragioni di queste cifre così alte, l’articolo cita la tradizione, la prassi consolidata e, alla nascita dei figli, il desiderio di “far famiglia” tutti con lo stesso cognome. Sarebbe interessante vedere studi combinati in cui queste statistiche vengono messe in relazione ai tassi di divorzio, che in questi paesi si aggira sul 41-45 p.c.
Per alcune donne famose il cognome fa (o ha fatto) la differenza. Devo ancora trovare qualcuno che sostenga di essere un fan di Anna Mae Bullock, ma sono milioni quelli che si sono scatenati per Tina Turner. Per tenersi il nome che le aveva portato il successo, la cantante dovette fare notevoli concessioni al detestato ex marito Ike durante le procedure del divorzio. Da notare che rimase Tina Turner anche dopo il suo matrimonio con il tedesco Erwin Bach. I fan delle Girls Aloud ricordano Cheryl Tweedy che dopo il primo matrimonio è diventata Cheryl Cole, per tornare Tweedy dopo il divorzio. Al secondo sì ha acquisito ben due nuovi cognomi, Fernandez-Varsini, per ritornare Tweedy quando le cose non hanno funzionato per la seconda volta. In Italia, la ragazza avrebbe speso una fortuna solo in bolli per l’anagrafe.
La decisione di adottare il nome del marito non ha nulla a che vedere con l’intelligenza di una donna. Riporto qui tre esempi di donne dalle innegabili doti cerebrali, che avevano già dato prova delle loro capacità prima di sposarsi, guarda caso tutte e tre nel campo della giurisprudenza, ma che hanno comunque rinunciato al cognome con il quale si erano fatte onore sul campo. Così Hillary Rodham diventa Clinton, Michelle Robinson diventa Obama e Amal Alamuddin diventa Clooney.
A volte le cose non vanno tutte per il verso giusto, come ha raccontato recentemente al Guardian l’artista e regista Sam Taylor-Woods. Nel 2012 lei e il neo-marito Aaron Johnson, hanno forgiato il cognome Taylor-Johnson per entrambi. Però lo scorso dicembre, alla mostra dei suoi ultimi lavori a Roma, hanno partecipato pochissime persone. Siccome Sam è piuttosto nota nei circoli artistici, ha attribuito questo amaro insuccesso al fatto che il pubblico italiano non ha riconosciuto nel nuovo nome la famosa artista Sam Taylor-Woods.
Concludiamo con una storia emblematica che riguarda la scrittrice americana Erica Jong, veterana di quattro matrimoni, che durante il suo secondo matrimonio con lo psichiatra di origine cinese Allan Jong vide esplodere il suo successo letterario con il celeberrimo romanzo “Paura di volare” (le cui vendite sfiorano le 20 milioni di copie). Con il risultato che una scrittrice ebrea, Erica Mann verrà per sempre ricordata con un nome cinese, in virtù di un breve matrimonio finito già nel 1975.

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