«Qui ho ascoltato le vostre storie da Grohovaz al mio amico Marchionne»

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«Qui ho ascoltato le vostre storie da Grohovaz al mio amico Marchionne»

TORONTO | Una rivista sul tavolo basso da salotto, l’attenzione cade sul nome “Panoram Italia”: una commistione di italo-canadese che chiarisce l’approccio. Di riviste con questo nome ce ne sono molte in giro, una anche a casa nostra, pubblicata dall’Edit di Fiume. Eppure questa è particolare, senza quella “a” finale che la colloca nel mondo anglosassone e francofono ma con lo sguardo rivolto all’Italia, o meglio ancora, agli italiani canadesi. Ha scelto un formato grande come ai tempi di “Italia illustrata” ma con un’impaginazione moderna ed una pubblicità particolare che introduce alle attività economiche, associazioni, professioni di questa realtà di connazionali e corregionali d’Oltreoceano. In copertina, su uno degli ultimi numeri, il ritratto-disegno a tutta pagina di Sergio Marchionne. Il pensiero-flash è immediato “questa rivista gli assomiglia”: moderna eppure tradizionale, impegnata ma con discrezione, innovativa, unica nel suo genere, ben radicata sul territorio, vicina alla sua gente. A scrivere del manager recentemente scomparso è Pal di Iulio che è stato suo compagno di scuola, amico di famiglia, uomo di successo, con radici molisane.

Lo incontriamo in una mattinata di pioggia che spegne i colori di quest’autunno torontino. Il luogo da raggiungere è il Centro Colombo-Columbus Centre in fondo alla Lorenz che non è solo il nome della via, è uno degli esempi delle proporzioni della città, la strada infatti si perde a vista d’occhio e ci fa perdere la direzione, sud-nord, est-ovest. Dove sarà la distesa del lago Ontario che ci aiuterebbe ad orientarci? Acqua dolce ma per il resto un grande bacino che scorre verso l’Oceano Atlantico ad est, lungo il corso del San Lorenzo, passando dalle mille isole. Qui ogni riferimento ha più zeri.
Centro Colombo e Villa Colombo, un cuore che parla italiano nella grande metropoli. E’ la storia di un tentativo di contare, proprio in quanto italiani, che per tanti anni ha prodotto successo.
“Sono stato direttore del Columbus center fino al settembre 2015 – racconta Di Iulio – progettata a partire dagli inizi degli anni ‘70 ed aperta nel 1976. Io sono entrato nel 1979 quando mi hanno chiesto di dare una mano”.

Ma che cos’è questo centro?

“È un centro polifunzionale dove si svolgono tante attività, dalla cultura alle lezioni di ginnastica, alle manifestazioni e ricorrenze, mostre, convegni. Qui si tenne nel 1991 il primo incontro mondiale dei giuliano-dalmati organizzato dalla Federazione canadese, presieduta allora dal prof. Konrad Eisenbichler. Il tutto a pochi passi da Villa Colombo, il pensionato per i nostri anziani, dove il giovedì andavo ad incontrare, anche dopo aver lasciato il mio incarico, la madre di Marchionne, la signora Maria Zuccon di Carnizza, e a sentire i suoi racconti, veniva a trascorrere una giornata tra italiani una volta la settimana”.

Che cosa diceva del figlio famoso?

“Solo quando eravamo soli si lasciava andare a qualche confidenza: le signore del pensionato – raccontava – mi dicono che sono una donna fortunata ad avere un figlio così famoso. Ma è sempre via, lavora troppo, ne sono orgogliosa ma mi pesa la solitudine…”
Parole rubate, con l’affetto di chi riconosce i sentimenti di una madre. Persone coraggiose che hanno voluto abbracciare questa commistione di business e azione caritatevole, la famosa charity che in questo mondo ha un significato tutto particolare. Chi è ricco sente l’obbligo di distribuire i suoi soldi in beneficienza, perché ciò rende ancora più ricca la società. Ed è anche un retaggio storico di chi, proveniente dall’Europa medievale svuotata da divisioni e contrapposizioni religiose, vedeva nella carità e la regolazione dei flussi nelle città, l’unica salvezza dalle epidemie, le carestie, il disordine, la povertà.

È stato semplice creare questo centro?

“Non lo è mai, ma ci troviamo in una zona interessante, il Centro sorge dal restauro di una delle poche costruzioni in mattoni rossi del circondario che apparteneva originariamente alle suore conventuali del Buon Pastore diventato poi un centro di recupero delle donne perdute. Quando negli anni ‘70 si avviò il restauro e la costruzione delle nuove aree, chiedemmo consiglio alla locale comunità ebraica, già avviata e preparata ad affrontare progetti come questo. La loro spinta e vicinanza, è stata anche la molla che ha convinto la nostra gente ad abbracciare il progetto. Hanno capito che la casa di riposo non sarebbe stata una separazione ma un’occasione per tutti. Si è formata una cordata di finanziatori con in testa Tony Fusco. Oggi sono diverse centinaia le persone che vi soggiornano, sia in modo permanente che per l’attività diurna d’incontro e condivisione. Sono presenti dialetti di tutta Italia, anche quelli del nord-est”.
A conferma che la lontananza avvicini, unisca i vari punti del Bel Paese che visto da Oltreoceano ha un unico confine, il mare. Il detto “donne e buoi dei paesi tuoi”, in questa moltitudine si perde e si confonde, “ma bisogna dare un aiuto ai nostri majores” per superare i disagi della convivenza di chi l’inglese non l’ha mai imparo o l’ha imparato male.

E ora?

“Si vorrebbe abbattere la struttura per costruire un modernissimo centro commerciale e altre realtà. Ancora una volta, Fusco ha preso in mano la situazione opponendosi ad un destino infausto. Combatteremo, ho sempre scelto di essere coinvolto in cose più grandi di me: una sfida che fa crescere. Accanto al mio lavoro di insegnante che mi permette di vivere bene, mi sono ritagliato questa fetta di volontariato che nutre l’anima. Sono in Canada da 63 anni. Venivamo etichettati come ‘spaghetti e polpette’. Dopo gli anni ‘80 eravamo Gucci, Pucci, Ferrari: è stato bello assistere a questa evoluzione anche perché abbiamo fatto il nostro dovere”.

Ne ragionava con Sergio Marchionne?

“L’eccellenza è uno stimolo, sia ispirarsi ad un esempio, che essere d’esempio. Sergio l’avevo conosciuto al liceo, ci frequentavamo, poi lui è ritornato in Europa. Ricordo che da ragazzi ci davamo appuntamento nel negozio della zia che si chiamava Pola. Quindici anni fa ci siamo ritrovati, tutti e due con radici del sud, lui abruzzesi, io molisane, per lui anche istriane. Mi chiamava quando arrivava a Toronto e insieme andavamo da sua madre. Nei periodi in cui lui non c’era, lei vedendomi arrivare diceva con una certa soddisfazione, ‘sei l’amico di Sergio’, soprattutto nell’ultimo anno. Anche i nipoti erano lontani, parte in Svizzera ed uno in Cina. Quando, dopo il terremoto dell’Aquila invitai Sergio a tenere una conferenza, venne, ci parlò della città, del proprio lavoro, della famiglia e delle foibe, non lo aveva mai fatto prima”.

Al Centro e a Villa Colombo ha incontrato altri personaggi del nostro mondo?

“Sì, il fiumano Giovanni Grohovaz, giornalista, scrittore, uno spiritaccio. Allora aveva 20 anni più di me ed era stato assunto per occuparsi di pubbliche relazioni. Ma era molto emotivo, s’infiammava e allora dovevo cercare di calmarlo. È sepolto sulle rive di un lago, amava molto la natura canadese, la sua targa era Fiume 1. Anche il suo cottage aveva un nome fiumano. Sono andato a trovarlo nel cimitero e ho chiesto a mio figlio Davide, di recitare una preghiera per lui. Con mia grande sorpresa ha intonato la preghiera del ringraziamento che si dice a tavola. Stavo per riprenderlo ma non l’ho fatto, sono convinto che a Gianni sarebbe piaciuta, era una buona forchetta ed amava la compagnia. Sono stato amico di Giuliano Superina, anche lui scriveva, i suoi figli sono medici e poi di Tino Baxa. Suo figlio è professore universitario. Ho conosciuto tanta gente che forse non capivo, ero ancora giovane. Solo con gli anni ho compreso. Ha conosciuto Joso Spraglia, uno dei più rinomati ristoratori di Toronto, dove si mangia alla dalmata. Ci andavo spesso perché in Canada non si facevano i cappuccini e gli espressi che lui riservava ai suoi clienti, ero curioso delle loro storie”.

Tutto questo lo racconta sulle pagine del bimestrale “Panoram Italia”.

“È un esperimento partito nel 2003/4, da un’idea di Antonio Zara, che è nato a Guglionesi, un paesino del sud Italia dove si parla serbocroato e albanese, è convinto che i suoi avi arrivassero dall’altra sponda dell’Adriatico e probabilmente è così. Fondò da giovane una grande tipografia, diventando un editore di successo. E’ fiero di essere molisano. A Toronto si pensa più al dollaro, ma a Montreal dove Zara vive e lavora, c’è maggior impegno politico. Ha iniziato pubblicando solo nell’area di Montreal, un’attività autofinanziata. Ricordo che mi disse: ‘compro una macchina ogni quattro anni invece che ogni due ma sono contento di fare cultura’. Gli utili sono modesti ma la soddisfazione è grande. Si è chiesto se era possibile ampliare su Toronto e l’avventura è partita con la versione italiano-inglese a Toronto e italiano-francese a Montreal”.

Linea del giornale?

“Vivere nello spirito dello stile italiano-Living italian style”. L’Italia è molto amata e noi siamo un punto di collegamento”.
Pal di Iulio in questi giorni è in Italia, dove con un gruppo associativo, sta visitando i cimiteri militari per rendere omaggio ai soldati delle due grandi guerre che hanno segnato la storia mondiale. Un gesto di pietas, di giusto ricordo, ma anche l’occasione per portare un fiore sulle tombe dei suoi morti. Ci sono persone che abitano il mondo: qui la casa, la gli affetti, altrove ancora il lavoro. Gente che è andata lontano, cambiando prospettiva e punto di vista e che a volte, con la loro esperienza ed il vissuto, ci fanno sentire a casa qui e dappertutto.

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