Quando le riforme sono indigeste

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Quando le riforme sono indigeste

I Sindacati in Croazia lanciano il guanto di sfida all’Esecutivo. Sono decisi a promuovere il referendum contro la riforma della Previdenza, per affossare le novità più impopolari. I Sindacati hanno capito che è giunto il loro grande momento per farsi valere e questo nonostante il buon momento economico del Paese.
Infatti sulla carta in Croazia la ripresa c’è. La Standard&Poor’s ha espresso una valutazione ottimistica sulle prospettive per l’immediato futuro. Inutile dire che l’uscita dalla zona detta figurativamente spazzatura è un segnale eccome incoraggiante, che infonde fiducia alle autorità croate. La speranza a questo punto è che anche le altre agenzie di rating seguano l’esempio della Standard&Poor’s. Ma anche se ciò non dovesse avvenire, questo non significa ancora che la percezione dei cittadini croati sulle prospettive del Paese e dell’economia coincidano con le previsioni degli analisti internazionali e siano nel segno dell’ottimismo.

La crisi della cantieristica e l’atteggiamento, in quest’ambito, delle forze politiche e dell’opinione pubblica è soltanto una spia di come sia difficile abbandonare vecchi schemi mentali ereditati dal passato e accettare le rigide imposizioni del mercato. Non per niente il governo fa di tutto per guadagnare tempo perché qualunque cosa faccia ci sarà chi avrà da ridire.
Ma dietro l’angolo si annida già un’altra sfida per l’Esecutivo, che rischia di mandare a monte la sua “conquista” riformistica più importante, ovvero la riforma della Previdenza, che prevede innanzitutto l’innalzamento a 67 anni dell’età pensionabile e una maggiore penalizzazione per il pensionamento anticipato. I Sindacati hanno capito che è giunto il loro grande momento per farsi valere. Se le regole ferree previste per i referendum hanno legato le mani a chi avrebbe voluto con “la democrazia diretta” modificare il sistema elettorale e colpire i diritti delle minoranze, non è affatto detto che ciò possa accadere nel caso della riforma delle pensioni. Qui i promotori del referendum per l’abolizione della riforma hanno buon gioco, in quanto sono in ballo i diritti di tutti coloro che aspirano alla quiescenza. E sono una massa, per cui raccogliere anche mezzo milione di firme – molte di più quindi delle 380mila necessarie – non dovrebbe rivelarsi un’impresa troppo ardua. E nemmeno in seguito spingere la gente a recarsi alle urne.
Gli analisti politici, i governanti, gli economisti diranno che siamo di fronte a un’esplosione di populismo, che il prezzo di un successo del referendum lo pagheranno le future generazioni che si ritroveranno con quiescenze ancora più ridotte all’osso oppure con un indebitamento ancora maggiore di quello attuale. Tutto vero. Certo la Previdenza è al collasso da tempo, il numero dei pensionati si avvicina pericolosamente a quello di chi è in rapporto di lavoro e paga i contributi, la crisi demografica è allarmante. Ma non è così da oggi. Già da tempo le pensioni stanno perdendo quota rispetto agli stipendi. Il peso di qualsiasi crisi ricade sulle fragili spalle dei pensionati, che tanto non è che possano scioperare. Inutile stupirsi se qualcuno si chiede se davvero doveva essere così…
Non è escluso che il governo attuale alla fine faccia come quelli passati che messi di fronte al rischio di una sconfitta referendaria – basti ricordare le iniziative sindacali contro l’outsourcing e contro la “monetizzazione” delle autostrade – faccia una mezza marcia indietro e cerchi un compromesso sulla riforma. Ma forte dell’assenza di un’opposizione compatta, l’attuale Esecutivo potrebbe essere tentato anche di andare al braccio di ferro con i Sindacati. Un confronto questo da cui lo sconfitto potrebbe uscire davvero con le ossa rotte, costretto a leccarsi a lungo le ferite…

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